SONO IMPEGNATI A SPOLPARE L’OSSO

Con la legge di bilancio devono decidere come spartirsi i soldi delle casse dello Stato.  Ogni partito punta ai suoi interessi e a quello dei suoi elettori di prima fede. Finanziamenti agli industriali, qualche obolo ai lavoratori dipendenti e poco o niente per i servizi sociali.
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Con la legge di bilancio devono decidere come spartirsi i soldi delle casse dello Stato.  Ogni partito punta ai suoi interessi e a quello dei suoi elettori di prima fede. Finanziamenti agli industriali, qualche obolo ai lavoratori dipendenti e poco o niente per i servizi sociali.

Entro il 31 dicembre la legge di bilancio, contenente la manovra triennale di finanza pubblica, deve essere approvata. La manovra fiscale, nella propaganda dello Stato “democratico”, dovrebbe rappresentare il modo in cui lo Stato destina i capitali, raccolti attraverso l’imposizione fiscale e il debito pubblico, alla spesa pubblica al “servizio dei cittadini”. In realtà, la maggior parte di queste risorse ritorna ai padroni attraverso una serie di misure che vanno dagli “aiuti all’economia”, alle spese militari che arricchiscono prima di tutto gli industriali impegnati nella produzione di armi, al pagamento degli interessi sul debito pubblico a favore delle banche, i maggiori investitori, e ai ricchi in generale. Solo una parte della spesa sociale, affinché il processo di produzione proceda senza intoppi, viene impegnata per i servizi essenziali, tra i quali, per consistenza degli investimenti, spicca il finanziamento delle forze della repressione: poliziotti e carceri. Coercizione e controllo sociale sono fondamentali per il sistema.

I soldi che vanno agli industriali

Nell’ultima manovra, le imprese sono direttamente rappresentate nel bilancio da un capitolo importante anche se non in termini percentuali, il 14.1%, sotto la voce affari economici, ma parliamo di circa 4 mld. Ma i soldi sono molti di più, disseminati negli altri capitoli di spesa. Gli interventi unitari ed anche gli aiuti ai singoli imprenditori vanno dal credito d’imposta per l’acquisizione dei beni strumentali connessi con la Zona Economica Speciale (ZES) unica del Mezzogiorno per 1,8 miliardi; alla realizzazione del ponte sullo stretto di Messina che per avvio dei lavori vale 2.3 miliardi; dalle meno tasse per chi assume, al rifinanziamento della nuova Sabatini con 50 milioni per le piccole e medie imprese per acquisto di beni strumentali. La manovra sarà finanziata con un extra deficit da 15,7 miliardi combinato con il rincaro delle accise sui tabacchi e una “razionalizzazione” (leggi tagli) sui ministeri e sugli enti locali più legati ai servizi essenziali per i cittadini; mentre della possibile tassazione ai profitti del caro-tassi di banche e dalla Global minimum tax, ovvero la nuova imposta minima sui “giganti” societari, tanto sbandierata nei mesi scorsi, rimane solo un’apparente dichiarazione di principio di un prelievo del 15% dei profitti, tutta da verificare e quantificare vista la maestria delle aziende nel ritoccare i bilanci, cosa resa loro ancora più facile dalle innumerevoli scappatoie che la normativa concede.

L’obolo ai “lavoratori”, il favore agli imprenditori

A favore dei “lavoratori”, sulla carta, c’è la riduzione dei contributi previdenziali a carico dei dipendenti a cui sono destinati quasi 11 miliardi. Il taglio del cuneo fiscale viene introdotto come strumento per combattere gli effetti dell’inflazione sul reddito dei lavoratori dipendenti, ma nonostante la mole, individualmente è un misero obolo che vale poco rispetto ad un’inflazione dichiarata del 5.7%, ma che sui prodotti alimentari arriva ufficialmente all’11%. Anche su questo, lo Stato, con il taglio del cuneo, ha fatto l’elemosina agli operai e un favore agli imprenditori che scaricano sulla spesa pubblica un misero aumento dei salari che rimangono da fame e che, rispetto all’inflazione, si riducono costantemente. Non a caso, in America gli operai hanno costretto i padroni a reintrodurre la Cola, una sorta di adeguamento al carovita, ed ottenuto un sostanzioso aumento salariale, anche se lontano dalle richieste alla base della mobilitazione. Da noi, i padroni continuano a macinare profitti e agli operai toccano solo le briciole del cuneo fiscale a carico della spesa pubblica. Anche su questo però, gli imprenditori storcono il naso. Da un lato auspicano che la misura sul cuneo diventi permanente, perché è meglio che l’incremento salariale per contrastare gli effetti dell’inflazione lo paghi, o meglio, faccia finta di pagarlo, lo stato e non direttamente i loro dividendi, dall’altra temono che questo provvedimento distoglierà utili risorse dalla produzione e quindi dai profitti. Intanto lo Stato da un lato rassicura i padroni sulla temporaneità del provvedimento e dall’altra rassicura che i soldi continueranno ad andare principalmente a loro eliminando il reddito di cittadinanza e facendo la guerra al salario minimo. Il taglio del cuneo, ma anche l’estensione dell’aliquota Irpef del 23% fino a soglia 28.000 euro, sono palliativi per il solo 2024 che non cambieranno granché il potere di acquisto dei salari mentre per la borghesia il lauto banchetto continua. Per il superbonus, per esempio, al di là delle dichiarazioni ufficiali, il credito d’imposta sfiorerà i 100 mld nel 2024.

Legnate sul fronte delle pensioni

La generosità dello Stato non si limita a questo. Sul fronte pensioni sono altre legnate. Il governo con la manovra prevede in tutte le forme di pensionamento anticipato (quota 103, peggioramento dell’APE e opzione donna) una riduzione della pensione in cambio della sua erogazione anticipata e la scomparsa del calcolo retributivo degli importi. L’obiettivo è quello di calcolare l’importo degli anni di pensione anticipata interamente col sistema contributivo, abbassando inoltre il limite di importo massimo consentito dell’assegno mensile. Non tutti però vengono colpiti. Infatti, si trovano fondi aggiuntivi per le integrazioni salariali delle forze armate e delle forze dell’ordine e nulla viene detto sulla estensione della legge Fornero anche a queste categorie, malgrado questa “armonizzazione” con gli altri dipendenti pubblici sarebbe dovuta scattare già dal 2012. Per gli altri il peggioramento è assicurato. Per ora solo i medici, grazie alla loro mobilitazione, sembra che abbiano ridimensionato l’attacco alle loro pensioni.

Le menzogne sulla sanità

La Sanità in generale, sulla carta, sembra l’unico settore che ha avuto qualcosa in più, ma nella realtà, le risorse sono comunque limitate e destinate essenzialmente per il rinnovo dei contratti del personale, il servizio sanitario continuerà a peggiorare nel complesso. La problematica delle liste di attesa è stata formalmente affrontata, perché non se ne poteva fare a meno, ma le risorse destinate, 280 milioni, non basteranno per risolvere le tante richieste, l’accesso al servizio sanitario resta comunque un percorso ad ostacoli, spingendo le urgenze verso la sanità privata e per chi non se lo può permettere, parliamo di operai, lavoratori e pensionati poveri, o si finisce col sottrarre reddito al sostentamento, o si crepa.

Il chiacchiericcio dell’opposizione

Il governo Meloni ha confezionato e blindato una manovra che ribadisce le priorità del proprio intervento, se ce ne fosse stato bisogno, un documento programmatico che attesta i termini del suo mandato fatto di lacrime e sangue per gli operai e i lavoratori dipendenti. I partiti dell’opposizione e i sindacati, essendo sostanzialmente d’accordo con l’indirizzo di fondo del governo, cioè favorire la produzione e salvaguardare i profitti, hanno espresso solo una finta opposizione alla manovra, limitandosi a qualche chiacchiericcio sulla stampa e a proporre una miriade di emendamenti che puntualmente il governo ha snobbato. La realtà è che in tempi difficili il capitale non può mostrare nessun segno di debolezza, la condizione operaia non può che peggiorare e tra chiusure di fabbriche e aumento dello sfruttamento c’è sempre meno spazio per la fantasia di un presunto “Stato sociale comprensivo e inclusivo” cavallo di battaglia del passato per salvaguardare il sistema dei padroni.

S. C.

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