I segnali sono chiari, Melfi va verso la chiusura a meno che si inizi da subito a contrastare questo piano. Non per ottenere impegni e promesse che vengono smentite ogni giorno dai fatti ma reagendo colpo su colpo sui ritmi, sul personale che manca sulle linee, su sicurezza ed igiene. Degli operai forti, che si difendono sulle condizioni di lavoro, non è facile farli fuori.
Ora che tutte le pecore operaie sono tornate all’ovile tiriamo le somme.
Le trasferte hanno dimostrato due cose.
La prima è che il padrone fa quello che vuole (e questo lo sapevamo già), la seconda è che ci siamo accorti che è possibile lavorare “meglio”.
Siamo stati nello stabilimento di Pomigliano, di Termoli, in Val di Sangro e Francia e abbiamo lavorato certamente non “quasi decentemente”, ma almeno in condizioni meno peggiori. Con questo non vogliamo assolutamente sottovalutare le problematiche presenti negli altri stabilimenti, anzi, in tutti si registra uno sfruttamento continuo, e tutti sono accomunati da carichi di lavoro oltre ogni limite, dalla sporcizia, da continui ricatti e dalla mancanza di qualsiasi tutela. Questo avviene ovunque, siamo tutti schiavi alle prese con un dittatore che pensa solo al proprio profitto, ma il MODELLO MELFI detiene il primato.
Con modello Melfi intendiamo un approccio volutamente negativo che spinge lo schiavo a lasciare il posto di lavoro perché distrutto prima a livello psicologico e poi fisico.
In molti hanno prolungato la trasferta proprio per restate lontani da Melfi perché il turno di lavoro in quello stabilimento è un incubo e in molti casi si preferisce restare in cassa integrazione e perdere soldi invece di lavorare.
È ovvio che i problemi ci sono stati anche in trasferta, ma il centro del discorso è capire perché a Melfi l’operaio è il problema da annientare.
Abbiamo notato che nello stabilimento di Pomigliano e Termoli l’organico giornaliero concede un esubero, questo permette di avere operai fuori linea che all’occorrenza possono aiutare i colleghi, inoltre questa gestione del personale fa sì che il team leader non sia in postazione e quindi in caso di necessità può intervenire. A Melfi l’organico è ridotto all’osso, spesso i team leader sono in postazione e una PISCIATA diventa un problema enorme da affrontare. Chi ti manda in bagno se non ci sono fuori linea, se il team leader è in postazione e soprattutto se le postazioni sono talmente cariche che nessuno è in grado di sostituirti per pochi minuti? Considerando che in molti domini c’è un esubero di 3/4 persone sarebbe molto facile aggiungere un fuori linea, ma l’azienda non può permettersi sprechi, bisogna pagare lo stipendio ai manager milionari.
Come si passa da essere lo stabilimento con una grande capacità produttiva e un polo tecnologico all’avanguardia a una carcassa da smantellare?
I piani di Stellantis sono chiari.
Melfi deve chiudere.
Un conto però è chiuderla dall’oggi al domani, un altro è creare il presupposto che porti alla chiusura.
Si riduce la capacità produttiva, si internano le produzioni fino ad ora fatte dalle aziende dell’indotto, si riduce il numero degli operai, costringendoli ad accettare le uscite volontarie e vengono assegnati modelli elettrici con un costo base superiore a 50.000 €.
Come può uno stabilimento sopravvivere con una produzione esclusivamente elettrica e di alta gamma?
Ecco spiegato il piano di Stellantis.
E noi cosa abbiamo fatto?
Abbiamo abbozzato un finto sciopero solo dopo aver chiesto il permesso ai bidelli. Quello non è stato uno sciopero, il padrone ha fatto finta di allungare la catena per un secondo e ci siamo sentiti rivoluzionari, il giorno dopo tutto è rientrato e le situazioni lavorative sono peggiorate. Non c’è stato nessuno sciopero, solo una presa in giro.
In assemblea la Fiom come sempre aspetta l’unità operaia che non c’è mai stata e nel frattempo assiste inerme alla cancellazione del turno di notte, al peggioramento della situazione lavorativa e, cosa ancora più grave, non interviene sul tema della sicurezza. Questi carichi di lavoro associati a ritmi insostenibili creano un mix pericoloso, a questo uniamo il caldo che a breve soffocherà lo stabilimento e il morto ci scappa sicuro.
Serve un presidio costante. Incontri e riunioni non servono più a nulla, bisogna impugnare la situazione e fermare tutto. A cosa serve rimetterci la pelle se l’obiettivo è la chiusura? E allora blocchiamo tutto, pretendiamo un quadro produttivo a lungo termine e condizioni di lavoro e salariali migliori e poi ripartiamo, altrimenti è tutto inutile.
L’assemblea della Fiom ha avuto per la prima volta uno scenario catastrofico ma come sempre non scende in campo.
La Fiom aspetta i lavoratori e i lavoratori aspettano la Fiom, ma poi queste pecorelle avranno le palle di fermare tutto?
In questa eterna incertezza i bidelli ci sguazzano e continuano a servire il padrone.
Continueranno a massacrarci fino a quando non avranno raggiunto il loro obiettivo.
Ninco Nanco, operaio Melfi
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