A POZZUOLI SI GIOCA SULLA VITA DELLA POPOLAZIONE

L’ultima emergenza bradisismica e gli annunciati interventi di governo ed autorità locali per fronteggiarla, analizzati criticamente, danno un quadro preciso di quanto nei campi Flegrei si stia giocando sulla pelle della popolazione.
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L’ultima emergenza bradisismica e gli annunciati interventi di governo ed autorità locali per fronteggiarla, analizzati criticamente, danno un quadro preciso di quanto nei campi Flegrei si stia giocando sulla pelle della popolazione.

Una società divisa in classi risponde e reagisce alle catastrofi naturali confermando immancabilmente la propria struttura classista. Come sul Titanic morirono in percentuale di gran lunga più alta i passeggeri più poveri, quelli della terza classe, così il costo maggiore dei disastri naturali, anche di quelli non generati dall’uomo, ricade sulle spalle delle classi inferiori. Una conferma, per fortuna finora senza morti, l’abbiamo dalle ultime tre crisi bradisismiche nei Campi Flegrei. Nella prima crisi, siamo nel 1970, il quartiere più popolare di Pozzuoli, il Rione Terra, fu sgombrato con la forza e gli abitanti, in gran parte proletari e sottoproletari, ricollocati, qualche anno dopo, in un quartiere di edilizia popolare costruito all’uopo in periferia, il Rione Toiano. La seconda crisi, quella del 1982-85, coinvolse un’area più vasta della città ed un numero maggiore di abitanti. Anche in questo caso, la soluzione fu l’allontanamento dal centro degli strati meno abbienti della popolazione ed il loro trasferimento in un nuovo mega quartiere di periferia, Monteruscello. Da sottolineare che, malgrado i roboanti progetti di decongestionamento abitativo dell’area centrale, in pratica ad essere allontanati furono essenzialmente i locatari, mentre ai proprietari degli immobili, che non furono in maggioranza abbattuti, fu concesso o di rientrare, ristrutturando alla meno peggio le abitazioni con un contributo statale, o di venderle o fittarle. Conseguenza: un aumento della densità abitativa e del numero di persone a rischio nell’area. Ma il carattere di classe delle misure allora prese non si limitò solo all’allontanamento nella periferia degli strati popolari, tanto per elencarne qualcuna: si provvide ad escludere minuziosamente dalla “zona A”, quella evacuata, l’area industriale, per consentire il prosieguo delle produzioni, malgrado le scosse. Lo stesso contributo di £ 350.000 dato agli sfollati per trovare una autonoma sistemazione si trasformò in un enorme trasferimento di risorse a favore dei proprietari delle seconde case del litorale domitio. Una puntuale critica a caldo di quegli avvenimenti la si legge nell’articolo che scrivemmo nel lontano dicembre del 1983, il cui unico punto debole, che si evidenzia però a 41 anni di distanza, sta nell’eccessiva giovanile fiducia di allora sulle capacità strategiche delle classi dirigenti.
Alleghiamo questo articolo come utile memoria storica.
Passiamo ora all’analisi critica di quest’ultima emergenza bradisismica. In che cosa la gestione borghese di questa crisi si differenzia da quelle precedenti? Mentre nelle prime due la molla e al tempo stesso la giustificazione che fece scattare le evacuazioni fu la messa in sicurezza della popolazione esposta, adesso sembra che questo problema non sfiori proprio governo e amministrazioni locali. E’ come se ci si trovasse di fronte ad un processo perfettamente prevedibile e tranquillamente gestibile. Eppure assistiamo ad un sollevamento del suolo che dura da quasi venti anni, con un susseguirsi di sciami sismici che hanno raggiunto una potenza mai verificatasi nelle precedenti crisi.
In pratica, mentre nelle due crisi precedenti, il timore di dover affrontare i costi sociali e politici di una possibile catastrofe aveva spinto i governi dell’epoca a sostenere le spese di una evacuazione e delocalizzazione di migliaia di persone, operando, come si è visto, con il massimo riguardo possibile verso gli interessi delle classi superiori, ora questo timore è assente nelle scelte del governo, che si preoccupa soprattutto di evitare i costi economici di nuove e, questa volta, più massicce evacuazioni. Possiamo tranquillamente considerare questo come un effetto indiretto del completo stato di attuale disorganizzazione degli operai.
Il governo Meloni, posto di fronte alla scelta di evacuare migliaia di persone, col rischio che ancora una volta il fenomeno si arresti senza nessuna eruzione, e quello di lasciare in loco la popolazione, malgrado i preoccupanti segnali che il vulcano sta dando, ha optato finora per la seconda soluzione, scegliendo coscientemente di far correre un enorme rischio a migliaia di persone. Lo spirito di questa decisione si avvicina per molti versi a quello del premier inglese Boris Johnson quando all’inizio della pandemia scelse di non fare nulla per contrastare il diffondersi del virus del covid.
Gli argomenti che confermano in pieno questo nostro giudizio si fondano sulle stesse dichiarazioni di istituzioni scientifiche e politiche e vale la pena illustrarle brevemente.
La prima cosa che è stata fatta è separare il rischio sismico da quello vulcanico, anche se è evidente l’arbitrarietà di questa decisione, in quanto l’origine dei terremoti è vulcanica e lo stesso intensificarsi e riavvicinarsi delle sequenze sismiche potrebbe essere il segnale di un approssimarsi di una crisi vulcanica. Certo, tenere separate le due forme di rischio ha l’effetto di tranquillizzare le persone, collocando nei fatti il problema di un’eventuale eruzione nello sfondo impreciso ed improbabile di un lontano futuro e facendo concentrare l’attenzione su un lato apparentemente più gestibile e controllabile, come la tenuta antisismica delle abitazioni. Ma anche dal solo lato del rischio sismico, il governo non ha fatto in sostanza nulla. Musumeci stesso ha dichiarato più volte, l’ultima pochi giorni fa in Commissione Ambiente, che degli oltre 15.000 edifici inclusi nella zona ritenuta a più alto rischio sismico (zona più ristretta rispetto a quella a rischio vulcanico) finora sono stati valutati solo 4.000, di cui circa 1.250 sono risultati ad elevato rischio sismico. Con la più potente scossa che si è avuta il 20 maggio, con una potenza di 4.4 di magnitudo numerosi edifici sono stati danneggiati, tanto da essere sgombrate quasi 300 famiglie. Gli esperti però non escludono che le future scosse possano raggiungere la magnitudo 5.0, per capirci circa 16 volte più potente di quella di 4.4 del 20 maggio. E’ facile immaginarsi che effetti devastanti si avrebbero nella zona più vicina all’epicentro. I terremoti di questo tipo, cioè vulcanici, hanno una origine, ipocentro, poco profonda, circa a 3 km se non meno di profondità, per cui gli effetti in superficie sono assai più intensi rispetto ai terremoti di origine tettonica, che, se pur di magnitudo maggiore, originano a profondità di gran lunga superiori.
C’è da domandarsi allora come mai il ministro Musumeci, che non teme di definire criminali le politiche abitative degli ultimi 70 anni nei Campi Flegrei, non sgomberi d’urgenza almeno gli abitanti di questi 1.250 edifici altamente vulnerabili, lasciandoli invece tranquillamente ad aspettare l’eventuale nuova potente scossa.
Ma anche dal lato del rischio vulcanico, il governo, a parte il potenziamento della rete di monitoraggio, non sta prendendo provvedimenti. Se l’imminenza di una eruzione è unanimemente smentita, per fortuna, da tutti, leggendo i documenti della Commissione Grandi Rischi, vediamo che non si esclude che si possano verificare, praticamente senza preavviso, una o più esplosioni freatiche. Per capirci, l’esplosione freatica non coinvolge il magma, ma è data dalla violenta fuoriuscita di masse di fango bollente, a causa del riscaldamento e dell’aumento di pressione cui sono sottoposte da anni le falde idrotermali. Le aree più esposte a questo rischio sono quelle di Solfatara – Pisciarelli e dell’Averno. Una esplosione freatica può avere grandezze variabili fra poche decine di metri e quasi un km. Ora, vi immaginate gli effetti di una simile esplosione in un’area densamente abitata, come ad es. quella di Pisciarelli? Quante centinaia di persone finirebbero seppellite dai detriti o bollite nel fango?
Anche il rischio geochimico, cioè il rischio di una espulsione letale di una gran quantità di gas tossici, se pur contemplato come possibilità nei documenti ufficiali, viene completamente trascurato, sottolineando che comunque riguarderebbe zone ristrette della caldera.
Gli stessi piani di evacuazione sono stati pensati ipotizzando un tempo di preavviso dall’eruzione di almeno 72 ore, eppure vulcanologi del calibro di Mastrolorenzo e Di Natale insistono che è molto difficile prevedere l’inizio di una eruzione. A confermare questa completa inadeguatezza dei piani di evacuazione ha provveduto la stessa Protezione civile nazionale, che in un comunicato del 30 maggio scorso, riportando quanto deciso nella Commissione Grandi Rischi, scrive: “Sebbene la casistica illustrata confermi che soltanto una parte delle crisi vulcaniche analizzate è culminata in attività eruttiva, nella maggioranza dei casi il processo di riattivazione vulcanica si manifesta inizialmente su tempi piuttosto lunghi (mesi, anni) attraverso fenomeni sismici, fenomeni di deformazione del suolo e variazione dei parametri geochimici. Tale fase è seguita da una seconda di rapida accelerazione pre-eruttiva, nella quale i segnali geochimici, sismici e deformativi subiscono un ulteriore incremento. Questa fase pre-eruttiva si sviluppa su tempi brevi, generalmente nell’ordine di ore o giorni. Alla luce di queste criticità la Commissione ha sottolineato l’importanza di considerare un pronto aggiornamento dei livelli di allerta dei Piani di Emergenza dei Campi Flegrei, al fine di rendere coerenti le indicazioni operative con lo stato attuale delle conoscenze scientifiche”. Ma come possiamo pensare che si possano evacuare in poche ore centinaia di migliaia di persone? Una follia! In occasione dello sciame sismico del 20 maggio, la protezione civile si è dimostrata completamente impreparata, eppure era da mesi che si diceva che bisognava attendersi scosse più potenti. La città di Pozzuoli è risultata completamente intasata dal traffico delle auto che cercavano di allontanarsi.
Insomma, le scelte dell’attuale governo stanno esponendo a rischio della vita i numerosi abitanti dei Campi Flegrei, evidentemente perché per Meloni e compagni il gioco, risparmiare le spese per una eventuale evacuazione, vale la candela, non salvaguardare la vita delle persone. In questo senso assume un senso sinistro questa irritante frase di Musumeci: “Chi ha scelto di vivere nell’area dei Campi Flegrei sapeva di vivere in un’area difficile che presenta rischi. Ci ricordiamo della vulnerabilità dell’area solo quando la terra trema e arriva la scossa e questo è un grande limite”.
Ma il punto più basso di gestione della crisi il governo l’ha raggiunto nelle misure immediate di sostegno alla parte di popolazione più colpita dalla recente crisi sismica. In verità sarebbe meglio parlare di “non misure di sostegno”, visto che nulla praticamente è stato predisposto per questo. Va sottolineata la completa complicità e subalternità dei sindaci locali, di Pozzuoli, Bacoli e Napoli, che, pur appartenendo tutti allo schieramento politico di opposizione, invece di denunciare le inadempienze del governo, lo coprono e sostengono. Josi, il sindaco di Bacoli è solo insorto contro le parole di Musumeci riportate sopra, ribadendo la volontà di continuare a vivere nella zona, come se un’eventuale eruzione ci desse la possibilità di scegliere. La figura peggiore, però, l’ha fatta il sindaco di Pozzuoli che ha avuto il coraggio di vantarsi sulla tempestività degli aiuti. Ma quali aiuti? Agli sfrattati è stata offerta, e neanche subito dopo l’evento, solo una brandina nel palasport di Monteruscello, in piena promiscuità. Ancora il 23 maggio, a tre giorni dalla scossa, il sindaco precisava sulla sua pagina facebook, che “per chi risulta sgomberato e per chi intende dormire fuori casa, l’unico luogo per poter pernottare in maniera stabile resta il Palatrincone di Monterusciello. Le aree di attesa sono aree temporanee, dove non troverete brandine, dove non saranno somministrati cibi caldi, aree da utilizzare solo in caso di nuove scosse o per una sosta breve”. Collocazioni alternative alle brandine sono state date solo dopo, ma con estrema lentezza e seguendo un ordine di graduatoria, e quali sono state? L’assegnazione temporanea in alberghi lontani anche circa 50 km. E’ facile comprendere come la maggioranza degli sfrattati a cui sono state fatte queste proposte abbia rifiutato, optando per scelte autonome alternative, come stare a casa di parenti o, per i pochi che potevano permetterselo, fittandosi altre case fuori Pozzuoli. Continuando il proprio lavoro a Pozzuoli, con magari i figli frequentanti le scuole puteolane, diventa improponibile andare a vivere ad es. in un albergo di Casagiove, a 45 km da casa. Gli sgomberati sono così praticamente abbandonati a se stessi. Nel frattempo, in assenza di un qualsiasi impegno del governo di finanziare la ristrutturazione dei palazzi pericolanti, gli sgombrati sono trattati seguendo la procedura ordinaria. Si intima lo sgombero immediato del palazzo e le misure urgenti di messa in sicurezza. Se i malaugurati abitanti vogliono rientrare, i lavori di adeguamento sono a carico loro. Sta fiorendo così già il business dei tecnici strutturisti che indicano i lavori di adeguamento necessari, rigorosamente a spese dei proprietari.
Intanto, mentre prosegue a rilento il lavoro dei tecnici per valutare le condizioni degli edifici, verifiche assurdamente effettuate su richiesta e non secondo un piano preciso e a tappeto, le tende installate in alcune aree di Pozzuoli sono state frettolosamente rimosse. Le tendopoli in centro potevano smentire l’immagine di tranquillità che si vuole dare per non danneggiare ulteriormente le attività dei ristoranti e del settore turistico. Governo e sindaci sono saldamente uniti, al di là delle sigle politiche di appartenenza, nella difesa degli interessi economici dei ceti intermedi, commercianti, ristoratori e albergatori.
La scelta del governo di giocare sulla vita della popolazione si è spinta anche nel non prendere nessuna misura a sostegno di chi vuole anche solo temporaneamente allontanarsi dalla zona di massimo rischio. Si sta consentendo ai proprietari delle seconde case del litorale domitio di approfittare della situazione di aumentata domanda, triplicando o quadruplicando le offerte di fitti. Nell’83 l’ordine di evacuazione fu accompagnato subito da una procedura di requisizione delle seconde case del litorale domitiano, che nei fatti costrinse i proprietari a fittare le loro case agli evacuati, ad un prezzo (le famose £ 350.000 di contributo dato agli sfollati per una sistemazione autonoma), comunque più alto di quello che era allora stabilito dal mercato delle locazioni in quell’area. Il governo attuale fa peggio: lascia operare liberamente le leggi di mercato, dando libero sfogo al naturale istinto di sciacallaggio delle classi medie. Stesso discorso con le strutture alberghiere. Nell’83 quelle che servivano furono requisite alle condizioni fissate dallo Stato, oggi invece Regione e Federalbergatori hanno stilato una convenzione che mette a disposizione, a prezzi convenienti per loro, le strutture alberghiere disponibili all’operazione, cioè quelle che, lontani dai flussi turistici, e quindi da Pozzuoli, fanno normalmente in questo periodo meno affari, infatti, si badi bene, questa disponibilità è anche per tempi limitati, prima del periodo estivo vero e proprio.
Anche se stordita dalla gravità degli avvenimenti, la parte meno abbiente della popolazione, senza che alcuna formazione politica di governo od opposizione, in qualche modo la rappresenti, sta dando primi segnali di tentativi di organizzazione. Si assiste a piccole, timide, forme di protesta, destinate inevitabilmente a radicalizzarsi se la crisi bradisismica continuerà ad aggravarsi. Pesa su questo la modifica della composizione sociale del territorio, che nell’83 era in gran parte composta da operai delle grandi fabbriche, mentre ora, completato quasi il processo di deindustrializzazione, dominano le figure dei lavoratori precari del terziario e del commercio. Una cosa è certa, il punto di riferimento delle scelte del governo è la triste esperienza dell’Aquila, per cui se, malauguratamente, si perdesse la scommessa che i politici stanno facendo sulla pelle degli abitanti flegrei, essi cercherebbero di scaricare le loro responsabilità sulla coorte di scienziati e tecnici consenzienti. Giochetto che diventerà più difficile col crescere della protesta sociale.
A.V.

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