Come potrebbe una società fondata sullo sfruttamento, cioè sul furto del lavoro non pagato degli operai, perseguire veramente chi porta alle estreme conseguenze lo sfruttamento?
I giornali borghesi e gli altri mezzi di comunicazione hanno dato molto risalto alla terribile morte per dissanguamento del bracciante punjabi Satnam Singh, cercando di presentare la sua morte come un avvenimento eccezionale dovuto ad un padrone privo di scrupoli, una rara mela marcia. Nella narrazione di comodo, lo sfruttamento del lavoro umano non è il sistema su cui si regge l’attuale società in tutti i vari settori, edilizia industria, agricoltura e servizi. In questa narrazione lo sfruttamento è solamente quello sui lavoratori stranieri da parte di pochi imprenditori disonesti, con la collaborazione dei caporali spesso, ma non sempre kapò stranieri.
Vorrebbero darci ad intendere che il problema siano solo i caporali e non soprattutto i padroni e il loro sistema di associazioni a delinquere.
La cronaca della strage quotidiana di operai li smentisce inesorabilmente.
La vicenda è nota. Satnam Singh, bracciante punjabi di 31 anni, è morto in ospedale dissanguato il 19 giugno 2024. Due giorni prima, nell’azienda agricola dell’agro pontino in cui lavorava con altri braccianti, tra cui la moglie, un macchinario per la plastificazione gli aveva letteralmente strappato un braccio e rotto entrambe le gambe!
La preoccupazione urgente e principale del padrone, Antonello Lovato, è stata quella di far scomparire qualsiasi legame tra Satnam, bracciante a nero, e la propria azienda agricola, scaricando tempestivamente a casa insieme alla moglie il lavoratore che perdeva sangue, in fin di vita, il braccio amputato macabramente deposto di fianco alla coppia, in una cassetta di plastica per le verdure.
Antonello Lovato intenzionalmente procede subito in maniera sistematica e lucida. Ordinando agli altri braccianti di tacere su quanto accaduto, pare che abbia sequestrato loro anche i passaporti.
Alacremente si adopera per rimuovere qualsiasi traccia dell’accaduto, lavando il furgone pieno di sangue, e l’area dove è situato il macchinario.
Non ha contemplato, il padrone, neanche per un attimo di allertare il 118.
Un intervento immediato, sostengono a posteriori i medici, avrebbe salvato sicuramente la vita di Satnam!!
Una determinazione omicida evidente quella di Lovato, un senso di totale e completa impunità non casuale, ma dovuta alle decine di migliaia di inchieste sui morti ammazzati sul lavoro, spesso archiviate, con i padroni, gli imprenditori condannati a pene irrisorie, con la sospensione condizionale. La non menzione della mite condanna nel casellario giudiziario.
L’azienda della famiglia Lovato insieme ad altri 15 imprenditori era sottoposta ad indagine per utilizzo di manodopera a nero e di caporalato da oltre sei anni.
Qui nell’agro pontino tutti, da anni sono a conoscenza dell’impiego di migliaia di braccianti a nero, ricattabili e senza permesso di soggiorno. Il sistema è ben collaudato e ha ramificazioni a vari livelli anche istituzionali, nel 2014 oltre 40 imprenditori agricoli furono indagati con le medesime imputazioni.
Non vi sono tracce di rinvio a giudizio e condanne!
Nel 2021 i braccianti a nero nei campi sono stati, nelle sottostimate cifre ufficiali, 230 mila, un quarto della forza lavoro di tutto il settore agricolo, non solo in Puglia, Sicilia, Calabria e Lazio ma anche nelle regioni a vocazione agricola del nord come Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto, Marche e Toscana (Avvenire 29/11/22).
Questo genere di associazione a delinquere è dunque diffusa e sedimentata in tutte le aree di produzione agricola intensiva e mono colturale, laddove il genere di coltura ha bisogno di molta manodopera a bassissimo costo, concentrata in un periodo di tempo determinato. Le istituzioni locali, le prefetture, la magistratura, non possono ignorarne le dimensioni e la diffusione sia a livello nazionale che locale, è perciò palese che queste istituzioni sono funzionali al perpetuarsi di codesta criminale situazione.
In altre occasioni un comune reato contro la proprietà, di un rapinatore di banche, per esempio, prevede l’arresto e la custodia cautelare a causa del pericolo di reiterazione del reato stesso. Eppure, nel caso di Antonello Lovato la cui determinazione omicida è apparsa da subito chiara, sono passati ben 16 giorni tra la custodia cautelare ed il reato commesso. Esattamente 16 giorni sono stati necessari per passare dall’accusa di omicidio colposo a quella di omicidio “doloso”. Forse i magistrati pontini hanno voluto concedere il tempo necessario ad Antonello Lovato di portare a termine le sue macabre pulizie, intimidire i testimoni e inquinare ulteriormente le prove dell’assassinio di Satnam Singh?
Oppure come nel passato speravano che tutto potesse risolversi con le solite inchieste addomesticate, come negli omicidi dolosi dei due operai pontini Venanzio Feliziani e Umberto Musilli? Due morti molto simili nel modus operandi padronale a quelli di Satnam, andati praticamente impuniti e citati nel libro di D. Fantasia “Il segreto di Lorenzo” ( https://www.operaicontro.it/2024/02/07/il-segreto-di-lorenzo-testimone-di-omicidio-sul-lavoro-di-delio-fantasia/ )
C’è da chiedersi se l’accusa di omicidio doloso, cioè dell’uccisione intenzionale di una persona da parte di un’altra, abbia concrete possibilità di reggere nel corso del processo, anche perché in questa eventualità perché non dovrebbe applicarsi retroattivamente a tutti gli operai morti ammazzati sul lavoro con il conseguente arresto e detenzione di tutti i padroni responsabili?
Non facciamoci illusioni. Non accade ora e non potrà accadere fino a quando gli operai non avranno la forza di imporre una organizzazione sociale che non si regga sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo!
M. C.
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