La conclusione di un rivoltoso dopo tre giorni di guerriglia di strada: “ incendiare, bruciare, fare rivolte, non risolve niente. Però oggi mi sono svegliato e vedo che ci state dando voce, a noi abitanti di zone di merda, a noi dimenticati…”
Caro Operai Contro, sembra per ora tornata a covare sotto la cenere, la rivolta che per 3 giorni e 2 notti ha infiammato “Corvetto”, nella periferia di Milano, dove i giovani muoiono prima di incominciare a vivere. Problemi abitativi, infrastrutture scadenti o inesistenti, salario poco e a singhiozzo con i contratti precari, spesso sotto il ricatto del lavoro in nero, o si è fuori. Scarse o zero centri ricreativi e culturali, svaghi e spazi da inventare, neanche un pezzo di prato per dare 2 calci a una palla.
Una rivolta da più parti assimilata a quelle delle Banlieue francesi. L’accoppiamento potrebbe risultare un pericoloso esempio e innescare ribellioni, dalla condizione di disagio sociale della cintura milanese.
Per scongiurare che ciò accada, si è messo in moto il mondo benpensante a dire che le 2 situazioni sono molto diverse fra loro, quindi a bocciare il paragone.
Tra quanti si sono affrettati a negare che la polveriera Corvetto, possa essere contagiosa, citiamo la sociologa Ilenya Camozzi, docente in Sociologia della Cultura all’Università Bicocca di Milano, e lo stesso questore di Milano B. Megale.
Sembra che a calmare le acque abbia, contribuito la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati, del carabiniere alla guida dell’auto che inseguiva i 2 giovani sullo scooter e che i giovani rivoltosi, ma non solo, accusano di aver speronato lo scooter provocando la tragedia.
Ramy Elgami, 19 anni di origini egiziane viveva da 11 anni con la sua famiglia al quartiere Corvetto. Prima di sfracellarsi contro un muro su uno scooter inseguito da un auto dei carabinieri.
Alla guida dello scooter c’era il suo amico Fares Bouzidi tunisino di 22 anni, non è ancora fuori pericolo, Ramy era seduto dietro. Non si sono fermati a un posto di blocco e da qui è scattato l’inseguimento, finito con lo schianto 20 minuti dopo.
Nei primi giorni i telegiornali descrivevano Ramy come un ladruncolo, dicendo che aveva in tasca dei soldi, una catenina, uno spray al peperoncino. La solita litania razzista per alimentare il luogo comune che gli immigrati sarebbero tutti ladri, profittatori, inaffidabili. Replica la famiglia di Ramy: “Faceva l’elettricista, non aveva bisogno di rubare”.
“Noi vogliamo solo la verità, fateci vedere le telecamere di cosa è successo quella notte, se no non ci daremo pace” – dicono a chiunque arrivi in quartiere gli amici di Ramy.
Arrivano anche giovani da altri quartieri a chiedere la “verità”. Sollecitandola appiccando incendi di cassonetti, svuotando estintori, lanciando petardi e bottiglie come cordone “sanitario” a rimarcare le dovute distanze con le forze dell’ordine, quando non è scontro diretto, assalti e devastazioni all’autobus 93. Così riportano le cronache locali.
Dopo 3 giorni e 2 notti di battaglia sono arrivate i rinforzi della polizia, con mezzi e uomini che piantonano il quartiere giorno e notte.
Il disagio sociale nelle periferie della “Milano Capitale” e le possibili ribellioni che vi covano, sono indirettamente confermate dal questore Megale, quando dichiara che, col supporto del Viminale, “Abbiamo già dei rinforzi strutturali anche abbastanza consistenti, 500 uomini tra tutte le forze di polizia e che prevalentemente andranno a rinforzare proprio i presidi nelle zone disagiate”.
Gli fa eco Nadir, egiziano di 23 anni, che all’edizione locale di un giornale, dopo 3 giorni di rabbia ed episodi di guerriglia per le strada, rilascia questa considerazione: “Incendiare, bruciare fare le rivolte non risolvi niente. Però oggi che mi sono svegliato e vedo che ci state dando voce, allora in questa zona di merda, e a noi che ci hanno dimenticato qui, allora dico che sarà il modo giusto per farlo e farci sentire”.
Saluti Oxervator.
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