LA MELONI E LO SCIOPERO GENERALE

Ci vuole molto di più di uno sciopero generale di normale riuscita per farle smettere di raccontare fandonie sulla situazione sociale di operai e lavoratori poveri. I tempi sono cambiati e non ci sono alternative o scioperi duri o lamentose processioni.
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Ci vuole molto di più di uno sciopero generale di normale riuscita per farle smettere di raccontare fandonie sulla situazione sociale di operai e lavoratori poveri. I tempi sono cambiati e non ci sono alternative o scioperi duri o lamentose processioni.

Allo sciopero generale del 29 novembre, con massicce adesioni nelle fabbriche e nelle piazze, la Meloni ha risposto che si è trattato di uno sciopero “ideologico”, le cui rivendicazioni a suo dire, sarebbero già state esaudite dal suo governo, quindi lo sciopero non serviva, se non per motivi “ideologici”.
In una trasmissione televisiva la Meloni dice testualmente che il suo governo “Ha aumentato i salari, ha aumentato l’occupazione, ha diminuito la disoccupazione, ha aumentato l’occupazione femminile, ha aumentato i contratti stabili, ha diminuito il precariato, ha aumentato le pensioni minime, ha aumentato il fondo sanitario nazionale”.
Una collana di fandonie. La Meloni non ha aumentato nessun salario. Semmai ha ritoccato ciò che il governo Draghi aveva iniziato (detto “taglio del cuneo fiscale” insieme a una “rimodulazione delle aliquote). In altre parole ha spostato una piccola parte delle cosiddette “trattenute” su salari e pensioni, dirottandole dal fisco alla busta paga e all’assegno della pensione.
Questo è quello che la Meloni chiama “aumento dei salari”, si tratta di pochi euro già in busta paga, (che comunque non hanno sborsato i padroni) destinati e quindi sottratti a Sanità, Trasporti ecc. ecc.
In tema di “più occupazione, meno disoccupazione”, la Meloni va presa in parola. Con alcune precisazioni però fondamentali che sono: salari da fame con più occupazione e meno ore lavorate, significa un aumento in ampiezza e profondità, della moderna schiavitù, più sfruttamento e soldi che finiscono molto prima del giorno di paga.
A giugno 2024 l’Istat certificava che l’Italia è l’unico paese Ue, in cui nel 2023 le retribuzioni reali sono inferiori a quelle del 2013. Agli operai non c’è bisogno che lo dica l’Istat, lo ricordiamo alla Meloni e quelli come lei.
Meloni dice di aver “diminuito il precariato”, ma evidentemente si riferisce ai suoi famigliari, parenti e amici, di cui si è circondata nel governo: persone fidate, con un bel “stipendio”, anche loro liberi di sparare cazzate sulla pubblica piazza, che non sarebbe nulla di male, se non ricoprissero cariche pubbliche.
Quanto “all’aumento delle pensioni minime”, passando da 614,77 a 616,57 euro al mese, è vero che aumentano di 1 euro e 80 centesimi lordi al mese. Anche qui si vede il pelo sullo stomaco della Meloni. Altro bluff è “l’aumento del fondo sanitario”, che invece cala rispetto al Pil.
Chissà se quando fa certe affermazioni, e gli capita spesso, la Meloni pensa di darla a bere alla stragrande maggioranza degli elettori che, alle elezioni politiche del 2022, non hanno votato i 3 partiti che poi hanno formato il governo, oltre a quelli che non hanno proprio votato.
O forse gli basta che, quella minoranza che ha votato per i 3 partiti di governo, fingano di credere alle fandonie che racconta, gratificati dalla politica del governo, per loro un fisco un tanto al chilo, una ventina di condoni, meno tasse o pizzi di Stato, Flat tax, Concordato preventivo, e manco a dirlo, non un euro in più di tasse su profitti e dividendi, nemmeno nelle aziende e nei settori dove profitti e dividenti sono aumentati o impennati.
Se il governo fa orecchie di mercante, come se lo sciopero generale non l’abbia sfiorato, in ogni fabbrica, in ogni posto di lavoro salariato, bisogna prenderne atto. Collettivamente decidere forme di lotta più incisive che, dopo la loro attuazione, non permettano al governo di girarsi dall’altra parte, come se nulla fosse successo.
Saluti Oxervator.

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