Davanti al blocco dei cancelli è convenuto a tutti sospendere i licenziamenti. Dal governo, ai politici dell’opposizione, ai capi sindacali, ognuno si prende il merito della revoca. Ma è solo un rinvio, come saranno gestiti i 12 mesi sarà un problema. Degli interessati sostenitori del momento è meglio non fidarsi così si potrà arrivare alla scadenza sul piede di guerra.
Il 2 dicembre Stellantis annuncia di non voler rinnovare la commessa alla società di logistica Trasnova e di reinternalizzare le attività utilizzando la forza-lavoro interna in esubero. Trasnova è un’azienda dell’indotto di Stellantis che dà lavoro a 97 operai tra gli stabilimenti di Pomigliano, Piedimonte San Germano, Melfi e Mirafiori, addetti alla movimentazione nei piazzali delle auto che devono essere caricate sulle bisarche. Considerando i subappalti che la stessa Trasnova opera nel suo settore, gli operai coinvolti, con le imprese Logitech, Teknoservice e Csa, diventano circa 400. In 30 anni questi operai sono passati di società in società attraverso un piano iniziale di esternalizzazione e poi un circuito di cambi di appalti: da Fiat Auto a Logint, da Logint a Novafero, da Novafero a Trasnova. Ora la chiusura del cerchio. A Pomigliano gli operai licenziati sono 53. Organizzati con la Fiom, avviano un presidio all’ingresso merci dello stabilimento impedendo fisicamente l’accesso ai tir che trasportano i componenti e i materiali necessari alla produzione. Dopo la prima giornata di presidio Stellantis mette tutti gli operai in CIGO, motivando la sospensione della produzione con il mancato approvvigionamento delle merci a causa del blocco operaio. Difficile credere che un’azienda come Stellantis non possegga sufficienti scorte per garantire la prosecuzione della produzione in caso di eventi eccezionali. Le ragioni di questa decisione vanno piuttosto ricercate all’interno di una precisa strategia con cui si cerca di separare tale esigua componente operaia dall’altra impiegata nella produzione, disinnescando possibili convergenze, e additando quegli operai licenziati, “esterni alla fabbrica”, come i soli responsabili delle giornate pagate con il misero assegno della cassa integrazione. Per la verità, ci pensano già i sindacati a mettere il piede sul freno e a non estendere la lotta agli operai Stellantis, tenendo la vertenza dell’indotto su un piano distinto. Una pratica che aveva già contrassegnato le giornate di sciopero del mese di ottobre (18 e 25 Ottobre), quando lo sciopero degli operai della filiera dell’automotive fu proclamato una settimana dopo quello che riguardava i soli metalmeccanici. Se il padrone dunque trae vantaggio da una condizione di separazione e messa in concorrenza tra settori della classe operaia, i rappresentanti sindacali non fanno nulla per ricucire questi strappi. Anzi, li assecondano. Al presidio sono invece invitati i soliti personaggi politici che colgono l’occasione per rimpolpare le loro passerelle propagandistiche a uso e consumo dei media, da cui emerge la loro immancabile compassione per gli operai gettati sul lastrico cui promettono un immediato sostegno parlamentare. I benemeriti avvoltoi che con diverse casacche vediamo da decenni frequentare i piazzali delle fabbriche quando la situazione permette di racimolare qualche voto.
Le lettere di licenziamento annunciate si materializzano il 7 dicembre, con la volontà da parte dell’azienda di cessare tutti i contratti in essere dal 31 dicembre. Segue Logitech che avvia una procedura di licenziamento per 101 lavoratori e Tecnoservice per 51. Per un totale di 249 licenziamenti. Sembra che non ci siano sbocchi per la vertenza degli operai dell’indotto, eppure appena 3 giorni dopo viene convocato un tavolo al Ministero delle Imprese (MIMIT) al quale partecipano rappresentanti di Stellantis e dei sindacati, oltre al governo. Bastano poche ore per trovare una soluzione. Stellantis annuncia una proroga della commessa a Trasnova per altri 12 mesi e Trasnova revoca le lettere di licenziamento. Una prospettiva magra per gli operai, nella misura in cui non prevede una soluzione definitiva per un settore come quello dell’indotto Stellantis attraverso il quale devono passare i primi pesanti ridimensionamenti. Ma per gli operai è una boccata d’ossigeno, il rischio di licenziamento immediato scongiurato, un anno di salario in più, sebbene sembri destinato ad essere un salario soggetto ad altra cassa integrazione. È evidente che da parte di tutti i soggetti coinvolti non c’è stata la volontà di affondare ancora il colpo in una fase che per la stessa società Stellantis (con le dimissioni dell’ex ad. Tavares e un avvicendamento ai vertici ancora da definire) è di transizione. Elkann, peraltro atteso in Parlamento dopo il tavolo del prossimo 17 dicembre, ha tutto l’interesse a non intraprendere il “nuovo corso” con una sfilza di licenziamenti. D’altronde sul tavolo istituzionale ballano parecchi milioni per il settore automotive e se per gli operai è una boccata d’ossigeno ottenere una proroga di 12 mesi, lo è in misura ancora maggiore per Stellantis garantirsi una nuova fetta di finanziamenti previsti dal governo Meloni. Ricordiamoci che in altri momenti e contesti non sono bastati mesi di presidio e di discussioni nelle sedi ministeriali per trovare la quadra alle chiusure di comparti o intere fabbriche. Quando la stessa Fiat dovette sbarazzarsi dei 316 operai deportati nel reparto confino di Nola non esitò a far accorrere tutto l’ingente schieramento di forze di polizia per sgomberare l’area. Adesso ciascuno potrà parlare dei propri meriti: il governo che sta sbandierando il suo intervento decisivo, le opposizioni che rivendicano di aver esercitato la giusta pressione e di essere stati dalla parte degli operai, i sindacati che ottengono un contentino e non ci perdono la faccia, che possono spendere nei confronti degli altri operai Stellantis, e la società che può continuare a raccontare che non c’è nessuna volontà di dismissione in Italia mentre incassa altri soldi. A pochi quindi sarà sembrata una beffa quanto accaduto appena l’indomani della chiusura della vertenza Trasnova, cioè l’avvio dell’apertura di una gigafactory per la produzione di batterie per auto elettriche che Stellantis farà in joint-venture con l’azienda cinese Catl in Spagna, dopo mesi di chiacchiere di un progetto simile da avviare a Termoli. Il governo nei fatti non si oppone ai piani dell’azienda, lascia fare. Sa che la crisi da sovrapproduzione che sta investendo il settore automobilistico porterà Stellantis a dare inevitabilmente seguito al suo piano di dismissione, di tagli dei costi e del personale, sulla scia di altri marchi occidentali. In quanto soggetto istituzionale è chiamato pure a conservare una parvenza di autorevolezza, di (falsa) indipendenza, a tessere mediazioni con i sindacati, a loro volta oberati dallo stesso ruolo di rappresentanza, e unitamente a loro, a tenere per quanto possibile la spia della fibrillazione sociale entro livelli controllabili e gestibili. Non devono illudersi gli operai Stellantis, quando le contingenze politiche e le necessità economiche saranno diverse, non basteranno sempre 6 giorni di presidio e 4 ore di incontro al Ministero per evitare i licenziamenti. È necessario che si attrezzino fin da subito e si organizzino in previsione della tempesta che i padroni dell’automobile stanno facendo arrivare.
A. B.