“ZUKUNFT VOLKSWAGEN”

“FUTURO VOLKSWAGEN” è il titolo all’accordo fra sindacati e manager della casa automobilistica. I capi della Ig Metal hanno sacrificato  il 10% del salario e la forza operaia in cambio di garanzie occupazionali. Non chiuderanno le fabbriche ma le svuoteranno con 35 mila operai. Agli operai tedeschi il giudizio definitivo.
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“FUTURO VOLKSWAGEN” è il titolo all’accordo fra sindacati e manager della casa automobilistica. I capi della Ig Metal hanno sacrificato il 10% del salario e la forza operaia in cambio di garanzie occupazionali. Non chiuderanno le fabbriche ma le svuoteranno con 35 mila operai. Agli operai tedeschi il giudizio definitivo.

Dopo mesi di scontri, minacce di chiusure e licenziamenti, dopo lo sciopero di 100.000 lavoratori ai primi di dicembre, si è conclusa la trattativa tra Ig Metall e Volkswagen. Iniziata il lunedì, ci sono volute 70 ore di riunioni diurne e notturne per arrivare il venerdì successivo, 20 dicembre 2024, alla firma sull’accordo denominato ‘Zukunft Volkswagen’ (‘futuro Vw’), che avrà valenza fino al dicembre 2030. Tutti d’accordo nel Consiglio di sorveglianza, sia i dieci sindacalisti di Ig Metall e di fabbrica, che i dieci rappresentanti del capitale (azionariato privato e di stato della Bassa Sassonia, che ne ha il 20%).

D’ACCORDO ANCHE GLI OPERAI?
D’accordo anche gli operai? Toccherà a loro fare i conti veri sullo scambio salario-posti di lavoro, che taglia i salari e di fatto non elimina i licenziamenti mascherati.
Già a vedere i grandi numeri ce n’è per dubitarne. 743 mila automobili in meno – tagliano la produzione per rispondere alle circa 500 mila della sovrapproduzione di quest’anno. Meno auto da produrre, meno fatica sulle linee? Nemmeno per sogno, le restanti dovranno essere prodotte con 35 mila operai in meno. Inoltre gli operai che rimarranno sulle linee perderanno gli aumenti salariali dei prossimi anni e migliaia di euro di bonus previsti in precedenti accordi. Nei comunicati stampa aziendali viene sbandierato agli investitori che la riduzione dei costi ottenuta sui salari degli operai è di 1,5 miliardi all’anno. I quali, sommati con la riduzione della produzione, daranno un contenimento complessivo dei costi effettivi, per le autovetture che il mercato è in grado di assorbire, di 4 miliardi annui.
E’ ben chiaro che non stiamo parlando della liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato degli operai tedeschi, quella mica si contratta. Nelle trattative sindacali si contratta il prezzo di vendita/acquisto della forza-lavoro operaia, come per il prezzo di qualsiasi altra merce. Ma a questa tornata contrattuale in Vw sul tavolo era stata messa come prioritaria, dalla parte del compratore, la necessità di rilanciare il prodotto finito ottenuta dal lavoro erogato, le automobili del marchio Vw che non si vendono più come prima. In fin dei conti una trattativa “inquinata” nei suoi presupposti canonici: non basata sul ricalcolo generale del prezzo a cui deve oggi essere venduta la merce forza-lavoro, dato a sua volta da quello delle merci necessarie alla sua produzione e riproduzione, ma che oggi questo prezzo possa essere inferiore perché è la merce auto Volkswagen a non essere venduta poiché non abbastanza competitiva. Peraltro con delle ragioni che a detta di tutti non sono imputabili agli operai, per quelle (cattiva lavorazione, danni alla produzione, ecc) ci sono richiami e multe, ben noti a tutti gli operai di fabbrica.

DALLE DICHIARAZIONI RADICALI ALLA REALTÀ
Quello che tutti promettevano ma che poi è passato di mente, è che il rilancio delle auto del gruppo Volkswagen non dovesse essere fatto pagare agli efficienti operai tedeschi, con un peggioramento delle loro condizioni di lavoro. Lo dicevano tutti, sindacalisti della Ig Metall per primi, che avevano chiamato alla lotta e agli scioperi gli operai. Le colpe erano da imputare ai dirigenti aziendali che avevano sbagliato su ogni linea in questi ultimi anni. Avevano persino falsificato i dati sulle emissioni e costretto il gruppo automobilistico, dopo lo scoppio dello scandalo diesel-gate, a risarcimenti milionari dei clienti ingannati, contribuendo ad affossare il mito della qualità tedesca ovunque nel mondo. Le colpe erano infine di una dirigenza che non era stata capace di convertirsi adeguatamente all’elettrico e che ormai da maestri dell’auto, negli ultimi anni, sono diventati apprendisti nei confronti di nuovi marchi cinesi.
Conseguenza, se pur illusoria, sarebbe dovuta essere che a pagare per questa mala gestione, fatta di una serie di errori dopo l’altra, fossero padroni e loro manager. A mettere mano al portafoglio sarebbero dovuto essere proprio gli azionisti e i manager con i loro stipendi milionari (nel 2023 i soli 10 amministratori delegati del Consiglio di sorveglianza facevano insieme 40 milioni di stipendio). Se al prezzo dei vari modelli di auto Vw avessero tolto quel fardello, il fardello dei profitti a vario modo distribuiti, vedevi che impennata avrebbero avuto le vendite di auto Volkswagen a prezzi ridotti.
Certo che, sempre ragionando su un’ipotetica possibilità di un ridimensionamento dei profitti dei manager e degli azionisti, agli operai si sarebbero potuti riconoscere gli adeguati aumenti di salario, volti a coprire quell’aumento dei prezzi dei beni necessari causata dall’inflazione. E la stessa riduzione dei prezzi delle auto avrebbe contribuito alla riduzione dell’inflazione con vantaggi per tutta la popolazione.
Beh, certo, i profitti si sarebbero ridotti o magari azzerati. Sacrilegio.

IL PROFITTO RENDE LIBERI
Come avrebbe potuto andare avanti a vivere un Herbert Diess, uno degli azionisti Vw, che nel marzo del 2019 si lasciò sfuggire in pubblico la frase «Ebit macht frei», ovvero “il profitto rende liberi”? Se l’accordo è fino al 2030, per 5 anni avrebbero, azionisti e manager, potuto vivere senza i loro stipendi milionari e senza profitti? Beh, se potranno vivere gli operai senza aumenti e con il loro misero salario fermo al 2024 in seguito all’accordo appena firmato …. ! E si potrebbe persino scoprire che il “futuro Vw”, il vero futuro, sia di produrre automobili o qualunque altro prodotto senza la schiavitù data dai profitti! Scoprire che se il “profitto rende liberi” gente come Diess è perché rende schiavi gli operai.
L’assonanza della “moderna” frase di Diess con quella sui cancelli di Auschwitz, “il lavoro rende liberi”, il solo pensiero che i campi di lavoro del nazionalsocialismo possano essere oggi le moderne fabbriche tedesche, gli costò nel 2019 le dimissioni da membro del Consiglio di sorveglianza. Non tolse però a Diess la “libertà” di continuare a incassare i dividendi delle sue azioni, non aprì nemmeno i cancelli delle fabbriche Volkswagen alla liberazione per i suoi operai, che ivi rimasero schiavi. Diess venne sostituito da Blume nella stessa funzione, quella di capitale impersonificato (lo stipendio di Blume come amministratore delegato di Vw nel 2023 è stato di 8,8 milioni di euro). Così ritroviamo l’a.d. Blume che il 20/12/2024 dichiara ai mercati finanziari alla firma del contratto che “tutto il consiglio di amministrazione e tutto il gruppo di manager di Vw” con l’ultimo accordo hanno ottenuto il “più che proporzionale contributo economico, in termini di costi, capacità e strutture” per il “futuro” di Vw. In altri termini, che otterrà nei prossimi 4 anni più profitti (così Diess, Blume, Porsche e soci si sentiranno più “liberi”) attraverso un maggior utilizzo della forza-lavoro operaia e delle strutture produttive (ovvero un più razionale e adeguato al mercato utilizzo delle linee di montaggio, dei tempi di lavorazione, ecc).
In cosa invece si esplica questa “ulteriore libertà” per gli operai, uomini e donne delle fabbriche Vw è facile da intuire, e sarà di conseguenza ben nota agli operai di tutto il mondo che ben presto si dovranno adeguare ai nuovi standard di produzione capitalista, un futuro di ulteriore libertà ben nota anche agli operai Stellantis in Italia.

L’ACCORDO DAL LATO DELLA SOCIALDEMOCRAZIA TEDESCA
Quello che tuttavia va ben compreso è come si è potuti arrivare a questo ulteriore passaggio della guerra sotterranea che contrappone gli operai al capitale, in Germania, in Volkswagen. Non è detto che non segni uno spartiacque e una seria rottura degli operai con un sindacalismo riformista che ha fatto il suo tempo. Esprimere un giudizio dall’Italia sul rapporto sindacale in Vw, dove gli operai lavorano meno di 35 ore settimanali con stipendi doppi rispetto all’analogo italiano di Stellantis, è ovviamente complicato. Qua in Italia i sindacati, l’hanno già dimostrato, oltre alle braghe avrebbero dato anche le mutande, e va da noi ben ricordato. Ma prima di arrivare ad un giudizio sui sindacalisti tedeschi conviene guardare anche agli altri attori. Poiché ad ogni modo, l’accordo viene indicato come la mediazione possibile e buona non solo dall’Ig Metall, ma da tutta la sinistra tedesca.
La “soluzione buona e socialmente accettabile” – ha dichiarato il dimissionario cancelliere federale Olaf Scholz, del partito socialdemocratico. Ma per questo soggetto politico è chiara la posizione: deve affrontare le elezioni a febbraio e gli fa comodo presentare i lavoratori come responsabili che con sacrificio si fanno carico di una delle crisi del paese, fa passare per degli eroi dei lavoratori apparentemente instupiditi di nazionalismo salvifico, e allo stesso tempo non si mette apertamente contro i padroni di Vw.
Come è chiara la posizione del Presidente della Bassa Sassonia, Stephan Weil, (socialdemocratico anche lui) che non vede alcun motivo per festeggiare poiché “L’accordo tra le parti sociali prevede una notevole riduzione dei posti di lavoro”. Una netta maggioranza dei 35.000 posti di lavoro che dovranno essere tagliati entro il 2030 saranno probabilmente in Bassa Sassonia. “Quanti e dove saranno definiti nei prossimi giorni”. Quella “parte dei dipendenti merita rispetto per aver assunto una responsabilità comune anche in questo senso. Tuttavia, le misure erano inevitabili per rendere la casa automobilistica adatta al futuro”, ha sottolineato il Ministro Presidente. Ma anche per questo personaggio, a metà tra il politico e il capitalista di stato, è chiara la posizione. Sa che metà della popolazione di Wolfsburg lavora direttamente in Vw e l’altra metà vive sui consumi di quella prima metà. Non sarà semplice governare un territorio falcidiato dai consumi calanti. Ma d’altra parte è meglio governare le ripercussioni sul territorio della crisi, piuttosto che smettere di tutelare la causa dei profitti per conto dello Stato. In fin dei conti non a caso è seduto nel Consiglio di sorveglianza Vw a rappresentare il 20% di azioni dello Stato e annessi dividendi che finiscono nel suo stipendio e nelle casse del Länder.

GLI AZIONISTI HANNO PORTATO A CASA LA SOSTANZA
Sulla logica generale che muove dirigenti e padroni azionisti ne abbiamo già parlato, nel caso specifico, rispetto al punto di partenza di settembre (licenziamenti di 30 mila operai, chiusura di 3 fabbriche e riduzione della sovrapproduzione di 500 mila auto, un taglio del 10% agli stipendi), si può dire che hanno portato a casa la sostanza, senza paura di essere smentiti.
I 30 mila licenziamenti sono diventate 35 mila dismissioni volontarie, la riduzione degli operai c’è stata, avverrà in 5 anni, ma l’obbiettivo di produrre auto, in numero adeguato al mercato, con meno operai verrà raggiunto.
La chiusura delle 3 fabbriche non è detto che fra due anni non ci sia ed è comunque diventata un processo equivalente che porterà alla “produttiva” riduzione delle linee di montaggio. Nei prossimi due anni avverrà il trasferimento di due linee di modelli a combustione (Golf e Golg Estate) dal quartier generale di Wolfsburg alla fabbrica di Puebla in Messico, e il trasferimento della produzione su una unica piattaforma comune a Wolfsburg di due modelli elettrici (la Cupra e la ID.3) attualmente assemblate nella stabilimento di Zwickau. Alla fine a Wolfsburg ci sarà una sola linea al posto di due, mentre a Zwickau non ci sarà più alcun modello Volkswagen. Zwickau diventerà uno stabilimento di sole Audi, con anche lì una sola linea per due modelli (Audi Q4 e-tron e Audi Q4 e-tron Sportback, modelli costruiti anche nello stabilimento belga che ha già dichiarato la chiusura definitiva a febbraio, 3.000 operai belgi a spasso) e un sito per un ipotetico nuovo business di “economia circolare”. Va ricordato che Zwickau era uno dei tre siti individuati per la chiusura immediata (avverrà alla fine del 2027?). L’altro stabilimento, indicato tra quelli a rischio chiusura, era quello di Dresda, ora è scritto e firmato da tutti che fermerà la linea di produzione a fine 2025 e anche per quel sito il “futuro Vw” indica soluzioni nel “riciclo”, forse dei suoi 350 operai.
Sulla riduzione del 10% del prezzo della forza-lavoro Vw in Germania, il comunicato aziendale finale afferma categoricamente esserci una “significante e sostenibile diminuzione nei costi del lavoro di 1,5 miliardi di euro all’anno” nelle proprie fabbriche di assemblaggio e di “di circa 500 milioni di euro per anno” nelle fabbriche di componenti appartenenti al gruppo Vw. E che, pertanto con il ‘Zukunft Volkswagen’ si “è adesso assicurata la commerciale sostenibilità della produzione dei siti in Germania”. Non entra nei dettagli della riduzione e di quanto alla fine sarà. Vedremo che il comunicato stampa della Ig Metall darà qualche dettaglio maggiore, e ci permetterà di farne una stima.

VENIAMO ALLA FINE ALLA CRISI DEL SINDACATO COLLABORAZIONISTA
Come abbiamo detto, alla firma non si è sottratto proprio nessuno dei 10 “rappresentanti” dei lavoratori, né i funzionari della Ig Metall, né quelli eletti direttamente dagli operai in fabbrica. Le loro dichiarazioni finali, fanno abbastanza a pugni con quelle iniziali che chiamavano alla lotta, agli scioperi che, dopo quelli che erano di avvertimento, sarebbero dovuti diventare ad oltranza e dannosi per i profitti. E la partecipazione massiccia allo sciopero del 2 dicembre faceva capire che gli operai tedeschi non si sarebbero tirati indietro, anzi. Ma se è vero che un grande guerriero vince senza aver bisogno di combattere, e si può perdere con onore di fronte a un nemico più forte, solo comandanti incapaci e da sostituire possono affermare di aver ottenuto la vittoria quando è vero il contrario, ovvero che senza neanche combattere si è concesso quello che il nemico chiedeva. I conti con questi falsi rappresentanti degli operai, sindacalisti riformisti capaci di portare a casa le briciole in fase di espansione, e di fare solo grandi chiacchiere nei periodi di crisi, toccherà agli operai tedeschi stessi farli seriamente, e siamo certi che i tempi sono maturi.
L’insegnamento che ne viene però a tutti, proprio perché quanto è successo è avvenuto al centro dell’Europa e negli stabilimenti di auto moderne e meglio organizzati tedeschi, è importante e toglie qualsiasi fantasia anche al resto degli operai europei. Non si è rotto solo il mito dell’auto tedesca, ma anche il mito del sindacalismo riformista tedesco che garantisce salari elevati e crescenti, orari di lavoro umani e che si riducono, ovvero che si possa produrre industrialmente merci con continui miglioramenti anche nelle condizioni di vita e lavoro degli operai, ovvero che gli schiavi di questa società capitalista, se si fa come in Germania, siano un po’ meno schiavi. La stessa “temibile” leader sindacale, Daniela Cavallo, che è seduta nel Consiglio di Sorveglianza di Vw, una delle dieci firme, è quasi l’incarnazione di quel paradigma. Figlia di immigrati italiani che dalla Calabria andarono alla fine degli anni ‘60 a fare gli operai in Vw, lei stessa entra in Vw come apprendista nel 1994 mentre si laurea in economia aziendale, per essere poi assunta come responsabile d’ufficio e diventare sindacalista sul campo. Una storia personale e familiare, si direbbe, di riscatto sociale ottenuto grazie al “lavoro” in Vw. Lasciamo perdere che anche queste storie han fatto sempre più ricchi vecchi e nuovi padroni di Vw, azionisti e dirigenti. Il punto è che sempre nuovi schiavi dovevano comunque poi alimentare e rinnovare il meccanismo di produzione basato sull’accumulazione del profitto. Ma il punto che adesso ci interessa rimarcare è che se gli operai lasciano la rappresentanza dei propri interessi in quanto operai ad elementi di altre classi, o anche a ex elementi della loro classe imborghesiti, questi saranno naturalmente propensi alla condivisione delle stesse leggi del padrone e a condividerne la immutabile “necessaria esistenza”. Non è solo una questione di corruzione materiale, che magari viene poi scoperta, denunciata e persino passata attraverso le maglie della stessa giustizia borghese, come ad esempio è successo nel sindacato americano. E’ soprattutto, per quello che qui ci interessa rilevare, un fattore di corruzione ideologica, di mancanza di una critica teorica e pratica del modo di produzione esistente, ci troviamo di fronte ad una rappresentanza sindacale degli operai che vede la realtà attraverso le lenti che il padrone fornisce, una visione servile che vede la propria vita e il proprio star bene solo e quando il padrone vive e sta bene, per quanto su gradini molto diversi della scala sociale. Una visione che in ogni modo si basa su una distribuzione di ricchezza prodotta secondo determinate leggi che non verranno mai messe così in discussione, e che quindi non possono che basarsi sulla esistenza della schiavitù degli operai, e sulla produzione del profitto da parte di questi operai. Attraverso questa visione condizionata non potrà che esserci una subalternità del livello del salario non solo al prezzo delle merci che con quel salario si acquista, ma nella crisi scenderà ad un prezzo di vendita della forza lavoro in grado di dare comunque un elevato saggio di profitto a chi quel lavoro salariato impiega. Ogni lotta sindacale conduce a delle trattative ed in generale ad accordi, ma ci sono accordi ed accordi, certo che partire sul riconoscimento che il problema è salvare il profitto degli azionisti, e non soprattutto il salario, la lotta è già imbrigliata e i risultati compromessi. La lotta sindacale non è una rivoluzione ma almeno svolga il suo ruolo di difesa degli interessi di parte operaia e lasciamoci le mani libere che se ciò non e più possibile entro questo sistema di rapporti sociali vadano pure a catafascio.
Leggiamole le parole del sindacalista asservito ideologicamente dal padrone in questa vicenda.
Dal documento della Ig-Metall, circa gli aumenti per l’inflazione richiesti e che, si evince, concretamente in Vw non verranno erogati per i prossimi sei anni (i corsivi e grassetti sono nostri):
“Nell’industria metalmeccanica ed elettrica tedesca, di recente c’è stato un buon aumento di stipendio del 5% in 25 mesi [si fa riferimento al rinnovo, il 13 novembre scorso, del contratto dei metalmeccanici tedeschi, da cui storicamente Vw è esclusa e ottiene di più, ndr]. Ciò si applica ora anche alla VW, ma non fluirà direttamente nei conti bancari di tutti i dipendenti per sei anni. Aiuterà invece a sostenere la trasformazione fino alla fine del 2030. Esempi: compensazione (parziale) per il personale che riduce l’orario di lavoro se gli ordini in entrata diminuiscono e offerte di pensionamento parziale estese. Dal 2031, il buon 5% tornerà quindi nella tabella degli stipendi in termini reali”. Qui in una forma, appunto, servile si dice agli operai che con la quota degli aumenti del loro salario si “aiuta la trasformazione”, non che han dato un aiuto economico sostanzioso al proprio padrone, pari al 5,5% in due anni (2025 e 2026), per ridurre il numero di operai. Poi aggiunge e riconosce che “I cambiamenti sono quindi indubbiamente un sacrificio, ma impediranno tagli collettivi”. E invece di fatto li permetteranno, e senza costi per gli azionisti o lo Stato. Qui lo scambio nel quale gli operai danno moneta sonante e ricevono la magnifica promessa che non verranno fatti fuori collettivamente ma un poco alla volta.
Così dichiara la figlia di operaio calabrese Daniela Cavallo: “Sebbene ci siano delle concessioni nel contratto collettivo che vanno oltre il reddito mensile, queste sono compensate dalla salvaguardia solidale di tutti i siti, comprese le prospettive future, una nuova tutela del posto di lavoro fino alla fine del 2030”. Tralascia di specificare che è una tutela che ovviamente riguarda chi continuerà a lavorare, mentre per ben 35 mila la loro dimissione “volontaria” sarà “solidalmente” pagata da tutti gli operai e non costerà niente al padrone. Almeno fosse stata finanziata esplicitamente a metà con il padrone, ma di questo non si fa menzione nei documenti pubblicati, se non per il fatto che, oltre agli aumenti per l’inflazione completamente azzerati, sono state fatte “concessioni” anche sui bonus legati al raggiungimento di obbiettivi produttivi. E siccome questi bonus riguardano tutti i lavoratori (impiegati, ingegneri e manager), in qualche modo colpiranno la distribuzione dei profitti a queste categorie di lavoratori in proporzione al loro maggior reddito.
Lasciamo dunque stare il cosiddetto “bonus tarif plus” che riguarda ruoli specialistici e manageriali ed è regolato da un contratto separato, per considerare invece i due tipi di bonus collettivi che riguardano anche gli operai dell’8° livello (linee di assemblaggio). Il primo prevede al raggiungimento degli obbiettivi di utile l’erogazione di 1.859,50€ a novembre e 2.500€ a maggio. Ebbene quello di maggio 2025 siccome è dato sulla produzione che c’è stata nel 2024 verrà erogato, ma quello del 2026 (produzione 2025) e del 2027 (produzione 2026) non ci saranno più. Il secondo bonus è detto di “retribuzione delle ferie” ed era erogato agli operai iscritti al sindacato Ig Metall, anche questo verrà cancellato per due anni, sia nel 2025 che nel 2026, per poi essere riconsiderato con una quota a salire negli anni (20% nel 2027, 30% nel 2028, 40% nel 2029 , ecc). Come la Ig Metall abbia potuto inserire questo autogol la dice lunga sulla sua “responsabilità” (o coglionaggine?) sindacale.

QUANTO VALE L’ACCORDO IN RIDUZIONE DEI SALARI
E’ comunque la stessa Ig Metall che mettendo insieme le concessioni fatte sul salario arriva a fornirci quanto gli operai Vw in questa tornata contrattuale hanno lasciato al profitto da capitale industriale. Il lordo del salario di un operaio Vw all’8° livello (operaio di linea), agli operai italiani tremeranno i polsi, è stato di € 56.898 nel 2024, così suddiviso: 12 mensilità di salario (€ 49.284,5), 12 mensilità di bonus da €167 (€ 2.004,0), € 1.290 di retribuzione ferie, € 1.819,5 di bonus di novembre, € 2.500 di bonus di maggio. Nel 2025 perderanno immediatamente la voce di € 1.290 di retribuzione ferie, quindi in totale prenderanno € 55.608, -2,27% rispetto al 2024. Ma se avessero preso gli aumenti per l’inflazione, come richiesto inizialmente anche per Vw da Ig Metall, del nuovo contratto metalmeccanici avrebbero dovuto incassare adesso a dicembre € 600 di una-tantum per il 2024 e l’aumento del 2% dal 1° aprile 2025. Calcolando quest’ultimo solo sulla parte delle 12 mensilità di salario fanno € 985,7 che sommate alle altre voci lasciandole invariate, e all’una-tantum per inflazione del 2024 avrebbero portato il lordo complessivo a € 58.483,69. Rispetto a quello che abbiamo visto prenderanno nel 2025 (€ 55.608) fa una perdita salariale secca del 5,17%.
Facciamo lo stesso calcolo per il 2026. Secondo Ig Metall, perdendo anche la voce di bonus di maggio, si arriva ad un lordo di € 53.108 che farà già una perdita rispetto al salario del 2025 del 4,5%. Ma gli aumenti previsti per il 2026 per tutti i metalmeccanici è di 3,1% dal 1° aprile 2026, e il calcolo andrebbe fatto rispetto ad un lordo che diventerebbe, senza la perdita dell’erosione dei salari per l’inflazione e dei bonus, di € 59.442,1. Significa una riduzione del salario tra quanto prenderanno davvero nel 2026 e quanto avrebbero dovuto prendere, secondo le richieste della stessa Ig Metall per tutti gli altri operai, di circa il 12%.
Sappiamo che questi calcoli possano risultare approssimati per la sfasatura temporale degli aumenti che scattano nei mesi di aprile invece che a gennaio, ma risulta evidente che anche la richiesta padronale sui salari (-10%) sia nella “sostanza” passata insieme alle altre che abbiamo già analizzate.
Come ora possano i sindacalisti alla Cavallo convincere gli operai della Volkswagen che le “linee rosse” poste dal sindacato non siano state oltrepassate ci è difficile capirlo. Abbiamo lasciato perdere tutta un’altra serie aggiustamenti (in peggio) che riguardano gli operai più anziani in servizio che avevano ottenuto in passato orari settimanali inferiori, l’orario andrà a uniformarsi alle 35 ore già dal 2025 per tutti, e i premi per i 20 anni e i 35 anni. Insomma, mettendo tutto assieme, pur guardando da lontano della Bassa Sassonia, ci sembra una Caporetto su tutti i fronti. Una sconfitta degli operai firmata per il natale 2024, una data che sarà ricordata dagli operai Vw anche perché sancita senza neanche combattere. Buon 2025, 2026, … 2030 a cui forse i salari operai in Vw torneranno al valore nominale del 2024.
R.P.

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