L’ALTRO MONDO

Esiste un altro mondo dove si lotta per un pezzo di pane, contro la prepotenza dei padroni e dei governi, anche se viene strumentalmente ignorato, non c’è paese dove non si manifesti. In Turchia è il momento delle operaie dello stabilimento Polonez.
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Esiste un altro mondo dove si lotta per un pezzo di pane, contro la prepotenza dei padroni e dei governi, anche se viene strumentalmente ignorato, non c’è paese dove non si manifesti. In Turchia è il momento delle operaie dello stabilimento Polonez.

Nello stabilimento Polonez, situato in uno dei distretti industriali più remoti dell’area metropolitana di Istambul, vengono impiegate 176 persone, in maggioranza donne. In fabbrica si producono principalmente insaccati. La gerarchia di fabbrica, come dappertutto al servizio del padrone, è arrogante e sempre presente nelle linee di produzione per imporre ritmi e carichi di lavoro insopportabili.
Viene corrisposto un salario da fame che oscilla tra le 13 e le 16 mila lire turche al mese (€354/ 435) quasi la metà del salario minimo di 23mila lire turche (€626) stabilito per legge.
Dentro lo stabilimento e tra le linee di produzione sono continui i soprusi e le umiliazioni, un clima di terrore con continue minacce di licenziamento. Le buste paga vengono ulteriormente ridotte da trattenute “illegali”, non consentite dallo stesso governo dei padroni turchi nelle paghe al di sotto del salario minimo. In queste condizioni pare molto difficile per le operaie andare avanti e infatti a metà del mese di luglio oltre 80 operaie si iscrivono al sindacato in uno stabilimento dove non esisteva.
In pochi giorni le maestranze, che non avevano mai fatto parte di una organizzazione sindacale diventano maggioranza all’interno dello stabilimento.
La risposta brutale del padrone non si fa attendere, licenziamento di tutte le 146 operaie sindacalizzate sostituite con 176 nuove assunzioni.
ll lungo presidio
“Eravamo trattate come animali, subivamo molestie verbali e umiliazioni e ci costringevano a fare straordinari la domenica. Ci obbligavano a firmare i fogli degli straordinari” Si scalda Semra Sezer, che lavorava in fabbrica da un anno. Le dichiarazioni avvengono davanti alla fabbrica, dove le operaie della Polonez hanno costruito un presidio con centinaia di pedane per riparasi dal cocente sole dl mese di agosto. Gülhan Çınar, alla Polonez da cinque anni, interviene descrivendo il proprio licenziamento. “Ho saputo di essere stata licenziata ai sensi del codice 46, che è un’accusa di furto, mentre ero in congedo per malattia. Non possiamo accettarlo. Le condizioni di lavoro erano molto dure. Lavoravo turni di 12 ore e non ho mai visto uno stipendio di 20.000 lire (600 euro) nonostante lavorassi quattro domeniche. Quando abbiamo chiesto un aumento, il manager ci ha offerto solo 300 lire (otto euro). Sezer ha menzionato la difficoltà di vivere con 13.000 lire e lo stress psicologico che ciò ha causato. “I padroni mangiano in posti eleganti con i soldi che guadagnano dal nostro lavoro, mentre noi soffriamo. Vogliamo tornare a lavorare. Portano lavoratori siriani e afghani senza dargli neanche quella miseria di diritti che abbiamo noi. Hanno coperto i finestrini degli autobus in modo che non vedessimo, quando passano davanti al presidio”. Il presidio è stato tenuto dal caldo torrido di agosto al gelo di dicembre!
La marcia su Ankara
La forza e la determinazione che queste operaie hanno raggiunto attraverso la lotta collettiva hanno sorpreso molti osservatori. La risoluta resistenza delle lavoratrici della Polonez si è ben presto diffusa per tutta la Turchia diventando un punto di riferimento per molti operai in lotta! Il presidio durato oltre cinque mesi ha assunto diverse forme di lotta sempre decise dalle operaie della Polonez. Durante la marcia verso la capitale, a metà dicembre, nonostante le dichiarazioni di neutralità del Ministro del Lavoro Vedat Işıkhan: “Come ministero, siamo sempre stati al fianco dei lavoratori e dei datori di lavoro per garantire pace e armonia nei rapporti di lavoro e continueremo a farlo”, la polizia di Erdogan ha violentemente caricato per diverse volte le operaie in marcia. Bloccando le strade per impedirne la prosecuzione, sequestrando le tende usate per la notte ed arrestando diverse persone. Nonostante la repressione violenta la marcia è continuata, anzi invece che indebolirsi si è rafforzata grazie alle centinaia di operai e solidali che sono giunti da diverse parti del paese. Diverse fabbriche metalmeccaniche in lotta (GridSolutions, Hitachi Energy, Schneider Elektrik e Arıtaş Cryogenic.) ignorando il decreto emanato da Erdogan (14/12/2024), che vietava per ragioni di sicurezza nazionale qualsiasi sciopero per 2 mesi, continuavano gli scioperi e i presidi. La situazione per il governo è diventata perciò sempre più imbarazzante fino a spingere il Ministro del Lavoro a convocare le operaie e il padrone della Polonez.
Il reintegro
Il governo dietro la pressione della lotta delle operaie è dovuto intervenire sulla proprietà. Tutti i licenziamenti saranno ritirati. “Il datore di lavoro si farà carico di tutte le indennità di buonuscita, di preavviso e di altri diritti dei lavoratori, compresa la compensazione per il periodo in cui sono stati disoccupati”, ha dichiarato il Ministro del Lavoro il 6 gennaio 2025 al raggiungimento dell’accordo.
Da domani lo scontro tra padroni e operai alla Polonez riprende, arricchito per le operaie da questi 6 mesi di lotta! ( Fonte Duvar/english)
MC

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