POSTE ITALIANE. UN CONTO E’ ESSERE SCHIAVI, UN CONTO ESSERE SERVI

Una lavoratrice “garantita” affronta la questione di costruire un fronte comune con i precari, come superare la difesa individuale di piccoli privilegi degli uni e come non farsi ricattare accettando qualunque imposizione degli altri. Una risposta collettiva.
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Una lavoratrice “garantita” affronta la questione di costruire un fronte comune con i precari, come superare la difesa individuale di piccoli privilegi degli uni e come non farsi ricattare accettando qualunque imposizione degli altri. Una risposta collettiva.

La prima privatizzazione di Poste Italiane nel 2015, per volere del governo Renzi, ha fatto da apripista, ad una serie di devastanti riorganizzazioni del settore, possibili solo grazie alla complicità dei sindacati confederali, firma tutto. L’attuale governo Meloni, sta portando a termine questo processo di privatizzazione con la vendita di un ulteriore 20% dell’azienda, nonostante che ai tempi in cui era all’opposizione , la Meloni, definì una “follia” la privatizzazione, di una delle “aziende Italiane più sane, orgoglio Nazionale”. Contano di incassare dalla vendita 3,8 miliardi di euro, che come al solito sono destinati a risanare il debito pubblico. Per noi lavoratori invece , il “guadagno” dal 2015 è stato la perdita di circa 30mila posti di lavoro, e il raddoppio dei contratti precari (7.036 nel 2016, 13.186 nel 2022). Salari da fame inutile dirlo sono rimasti invariati, carichi e ritmi di lavoro più che raddoppiati, un peso sulle spalle di tutti i lavoratori di Poste, ma soprattutto sul personale precario, sfruttato e ricattato in maniera palese, costretto a giornate di lavoro interminabili, non più al limite della legalità, ma apertamente illegali. Il ricatto è sempre lo stesso “sopportare, nella speranza di essere confermati”. Il che non è così scontato, visto l’altissimo numero di precari in graduatoria per essere regolarizzati e il continuo afflusso di precari, che poi andranno ad ingrossare quelle interminabili e poco chiare graduatorie. Il movimento “Lottiamo Insieme” in cui si sono organizzati molti dei precari di Poste Italiane, sta ingaggiando ora una battaglia per il riconoscimento delle ore straordinarie di lavoro mai pagate, parliamo di cifre importanti che spesso arrivano a 300 ore per lavoratore. Come dipendente di Poste sento il dovere di appoggiare le rivendicazioni dei miei ”colleghi”, sta a loro individuare il percorso da intraprendere per raggiungere i loro obbiettivi, ma da parte mia come lavoratrice “garantita”, ritengo di dover fare la mia parte, vigilando ogni giorno sul posto di lavoro, che i diritti dei miei “colleghi precari”, vengano rispettati, mettendoci la faccia con il direttore e con quelle figure di intermediari, che si prestano a fare i cani da guardia per i vertici dell’azienda, garantendo che il lavoro venga svolto, anche se questo significa sottoporre il lavoratore a turni massacranti e quindi anche pericolosi. Questo è un lavoro semplice, se non hai paura di affrontare a testa alta chiunque tenti di ridurti al silenzio o peggio ancora ad isolarti dai tuoi colleghi, soprattutto i più giovani. Il lavoro più difficile, è spiegare a quei lavoratori, che il rendersi cosi disponibili ed asserviti, non solo non è garanzia di un rinnovo o di una stabilizzazione, ma compromette nel profondo la dignità personale, ti pone in maniera individuale davanti ad un problema collettivo, che può e deve essere affrontato solo insieme per avere un minimo di successo. Purtroppo questi lavoratori, soprattutto i più giovani alle prime esperienze, non hanno intorno a loro colleghi più anziani, disposti ad aiutarli e soprattutto a dargli il buon esempio. Il messaggio che arriva loro è quello di chi si sente un “privilegiato al sicuro”, nella sua piccola postazione , dopo aver passato una vita lavorativa ad accettare sempre tutto, in cambio di miserabili privilegi, abituati dai loro sindacati collaborativi a non ragionare con la propria testa , a delegare loro le controversie con i loro superiori, facendo passare sotto silenzio le devastanti riorganizzazioni concordate con i sindacati, in cambio di “un piatto di lenticchie” e piccoli favori personali. Oggi che il carico di lavoro grava per la maggior parte sulle spalle del lavoratore precario, invece di essere solidari e dare voce a chi non ce l’ha, ritengono pigri e fannulloni, coloro che fanno fatica a raggiungere gli “obbiettivi aziendali”. In alcuni casi si prestano anche a fare da giudici (spie), riferendo ai caposquadra chi secondo loro merita di essere riconfermato o no. Non è una bella situazione, ma è inutile girarci intorno, la conflittualità in questo settore lavorativo non si è mai espressa in maniera significativa probabilmente anche per la natura e le origini di Poste Italiane quando era azienda dello Stato, gestita nella logica delle spartizioni politiche dei partiti. Detto ciò ritengo che per tutti coloro che non si sono arresi o venduti per quel piatto di lenticchie , sia necessario mantenere un legame stretto con le nuove generazioni di “schiavi lavoratori”, con una prospettiva di precarietà infinita, con una profonda e controproducente disillusione sulla possibilità di poter incidere nella loro vita lavorativa. Non possiamo e non dobbiamo sostituirci a loro nelle rivendicazioni, riproponendo così lo schema già ampiamente collaudato dai sindacati collaborativi con il padrone, ma possiamo fare la nostra parte, partendo dalla nostra esperienza personale dimostrare che è possibile tenere testa a chi ci vorrebbe obbedienti e concilianti, resistendo ed organizzandoci insieme , imparando ad andare oltre gli interessi personali ed individualisti, perché tanto prima o poi i vari capi e capetti il conto lo presentano anche a tutti i vari signor Sì! Non dovremmo mai dimenticare che un conto è essere “schiavi” ed un conto essere “servi”.

S.O

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