Il responsabile Europa di Stellantis ha fatto un giro negli stabilimenti in Italia, ha promesso un futuro radioso ed invece di buttargli in faccia una realtà di cassa integrazione, ritmi sempre più pesanti, salari ridotti e licenziamenti mascherati gli hanno chiesto il solito frusto piano industriale.
Imparato, responsabile Europa di Stellantis, si è fatto una gita negli stabilimenti Stellantis in Italia, distribuendo a piene mani promesse sul “futuro”. Sottolineando che il Sud è il luogo strategico della produzione del gruppo in Italia.
Sembrano le solite chiacchiere a cui Marchionne ci ha abituati con i suoi oltre “dieci piani industriali” annunciati ma mai realizzati.
D’altra parte, il gioco delle parti deve mettere in campo questi teatrini. I sindacalisti “chiedono” immancabilmente il solito piano industriale, vedi Cgil e Fiom a Melfi in questi giorni, e Stellantis fa subito da sponda.
In concreto cosa c’è. Quasi nulla. A Pomigliano si continua con la Pandina fino al 2030 e nel 2028 sono promessi due modelli nuovi, per ora sconosciuti.
A Melfi si ribadiscono le promesse di nuovi modelli che già dovevano essere in produzione.
Intanto le condizioni negli stabilimenti continuano a peggiorare. Poca produzione fatta a ritmi elevatissimi quando si lavora. Cassa integrazione per gran parte del tempo. Risultato? Pessime condizioni di lavoro. Letteralmente non si ha neanche più il tempo di andare in bagno. E ulteriore abbassamento dei salari. Mentre gli azionisti, grattando il fondo del barile, si preparano a dividersi ancora una volta lauti guadagni. Per loro i sacrifici sono esclusi a prescindere.
Sacrifici oggi e grande rilancio domani? Come Imparato ha fatto balenare nella sua visita?
Le notizie che vengono dagli stabilimenti vanno nella direzione opposta. Si continua con la politica delle dimissioni incentivate, ufficiosamente promettendo qualche soldo in più. Si organizzano terziarizzazioni per rcl ed esuberi per poi isolarli e meglio liquidarli nel prossimo futuro. Finiscono le commesse per l’indotto e le fabbriche chiudono.
Però ci sono i piani industriali sempre futuri.
Una cosa sul sindacato, non quelli apertamente dalla parte del padrone, ma quelli che a chiacchiere dicono di essere dalla parte degli operai come la Fiom.
Un sindacato operaio esprime il punto di vista degli operai, ne difende gli interessi consapevole che questi sono opposti a quelli del padrone. Il sindacato operaio non si fa coinvolgere nello stato di salute dell’impresa, nei suoi piani industriali che sono in realtà scelte dettate dagli azionisti per incrementare i loro guadagni. Pensare di stare con “due piedi in una scarpa” significa già in partenza accettare il sistema dei padroni come unico e assoluto e sacrificare gli operai per il profitto. Un sindacato operaio costruisce tra gli operai l’opposizione, valorizza i più combattivi costruendoli come avanguardie per gli altri, fa propaganda critica sistematica al padrone distinguendo sempre tra interessi degli operai e interessi del padrone. Rompe senza esitazioni con i sindacalisti filo aziendali.
I nostri invece fanno qualche comunicato ogni tanto e costantemente si lamentano che gli operai non si muovono, dimenticando che, nel recente passato quando gli operai si sono mossi massicciamente, come a Pomigliano, hanno subito agito da pompieri per raffreddare la lotta.
F.R.
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