dal nostro inviato Stefano Boccardi
MELFI – [k]Certo che abbiamo paura. Certo che non si ferma nessuno. E che ti aspettavi? Gli eroi? Le vedi quelle vetrate? Da li non sfugge niente. Siamo tutti sotto controllo. Per te e’ facile dire che sembriamo tutti impauriti. Ma e’ normale. Voglio vedere te al posto nostro. E poi adesso. Con la Fiat e con Marchionne e con Della Valle… Con questa guerra tra poveri che rischia di scatenarsi tra noi e Cassino. Ma lo sai che qui lavoriamo, quando va bene, solo due giorni la settimana? Ma lo sai che oggi stiamo tornando al lavoro dopo un[k]ennesimo periodo di cassa integrazione? Io sono un padre di famiglia che ha bisogno di portare il pane a casa. Me lo dici tu dove lo trovo un lavoro se mi licenziano? C[k]e’ poco da fare. Qui, nonostante tutto, Marchionne sta vincendo. E non ci non resta che prenderne atto. Perche’, al momento, non c[k]e’ alternativa. Che dobbiamo fare? Dobbiamo andare tutti a rubare? Io, finche’ dura, preferisco lavorare[k].
Alle 13.45, al cambio turno della Sata di Melfi, davanti alla portineria B, la paura (ma anche l[k]orgoglio) degli operai Fiat ha la faccia di Giuseppe, un ragazzone con la barba incolta che corre, come tutti, verso la fabbrica.
Giuseppe e’ appena arrivato in pullman dal suo paese. Con lui c[k]e’ un folto gruppo di compagni di lavoro che tira dritto, che la paura la maschera con un sorriso o con una smorfia. Ma Giuseppe no. Giuseppe, la paura la sente come un peso, quasi come un[k]onta. E allora, anche se ti prega di non scrivere nulla che possa identificarlo (nemmeno da quale comune della Basilicata si sia messo in viaggio), quel che ha in corpo lo tira fuori. O almeno ci prova. E il risultato e’, appunto, un mix di paura e di orgoglio. Che gli contorce il viso, facendolo apparire persino piu’ vecchio dell[k]eta’ che ha.
e’ un po[k] quel che accade anche a Gerardo Evangelista, 48 anni, operaio, delegato della Fim Cisl nella Rsa (rappresentanza sindacale aziendale). Evangelista, come tutti gli altri lavoratori della Sata iscritti alla Fim, in questi giorni e’ alle prese con un problema in piu’.
Per lui, che al lavoro arriva in pullman da Tricarico in provincia di Matera (110 chilometri all[k]andata e altrettanti al ritorno), non c[k]e’ solo il peso dell[k]incertezza diffusa che ruota intorno alle scelte del Lingotto e del suo amministratore delegato. Per lui non c[k]e’ solo (si fa per dire) la preoccupazione di lavorare in una fabbrica che continua a produrre (quando e’ in attivita’ e a ritmi serrati) un modello (la Grande Punto) che ha ormai fatto il suo tempo (basta dare un[k]occhiata al piazzale che si trova a fianco alla portineria B per rendersene conto: e’ stracolmo). L[k]intero gruppo dirigente lucano della Fim e’ stato di fatto azzerato dai vertici nazionali. E cosi, da Roma, al posto del segretario regionale uscente, Antonio Zenca, sono arrivati due reggenti, Gianfranco Gasbarro e Leonardo Burmo.
Risultato numero uno: Zenca se n[k]e’ andato sbattendo la porta e portandosi dietro decine, se non addirittura centinaia di iscritti. Dove? Nella Fismic, il sindacato che da sempre e’ emanazione diretta della Fiat e che, qui come altrove, condivide tutte, ma proprio tutte, le scelte passate, recenti (e future) di Sergio Marchionne.
Risultato numero due: il segretario regionale della Fismic, Marco Roselli, 43 anni, di Melfi, impiegato, assunto in Sata dal 1[k] gennaio del 1992, gongola a tal punto da sostenere che il suo sindacato in Sata [k]a questo punto e’ di fatto il piu’ rappresentativo[k].
Forse Roselli, con questa sua dichiarazione, forza un po[k] la mano, non foss[k]altro perche’ le elezioni della Rsa (svoltesi appena pochi mesi fa, ad aprile) hanno decretato la vittoria schiacciante della Uilm Uil. Ma di sicuro questo travaso di iscritti (dalla Fim, che era arrivata seconda, alla Fismic, terza) si sta gia’ facendo sentire. E non e’ affatto escluso che si possa prefigurare un capovolgimento dei rapporti di forza all[k]interno del fronte sindacale, peraltro gia’ orfano, qui come in tutte le altre fabbriche Fiat, della Fiom Cgil, ormai estromessa da tutti gli organi di rappresentanza.
Da qui la preoccupazione e per tanti versi il rammarico di operai come Gerardo Evangelista, il quale ricorda di aver fatto parte del cosiddetto [k]prato verde[k], la gioventu’ lucana, ma anche pugliese e in parte campana, che vent[k]anni fa ripose tutte le sue speranze nella Fiat. [k]Io – osserva Evangelista – voglio ancora sperare che si possa uscire da questa situazione di crisi. E sono certo che, al di la’ dei comunicati ufficiali, l[k]esito dell[k]incontro di sabato scorso tra i vertici aziendali e il governo sia stato molto positivo[k].
Il suo e’ un ottimismo quasi forzato, come quello di tutti i firmatari del contratto Fiat. Come quello di Libera Russo, 47 anni, impiegata, delegata Uilm. [k]La preoccupazione – dice – e’ palese. Esiste. e’ martellante. Come la crisi della Fiat, che dopo essere rimasta velata ora viene fuori in tutta la sua chiarezza. Ma io credo che le ragioni che ci hanno spinti a credere nel piano di Sergio Marchionne siano tutte ancora valide. Io non credo che ci abbia preso in giro. Qui il vero problema e’ che la crisi globale sta pesando molto piu’ di quanto non si potesse immaginare. E per noi, qui a Melfi, questo si sta traducendo in tanta cassa integrazione, in una crisi del lavoro in quanto tale. Il rischio, concreto, e’ la perdita di senso, la perdita di autostima. E di conseguenza la paura[k].
Ma Libera Russo (come il suo segretario regionale, Vincenzo Tortorelli, come gli stessi Gasbarro e Roselli e come il numero uno della Fiom lucana, Emanuele De Nicola) non vuole nemmeno prenderla in considerazione l[k]ipotesi che pure nei giorni scorsi e’ stata avanzata da tanti operai e tecnici di un altro stabilimento a rischio, quello di Cassino in provincia Frosinone. E cosi, nonostante sia sempre piu’ chiaro a tutti che Marchionne alla fine potrebbe decidere di chiudere un altro stabilimento in Italia, qui a Melfi tutti contano su quello che considerano un fatto obiettivo: la Sata e’ in attivita’ da nemmeno vent[k]anni e nell[k]ultimo decennio e’ stata protagonista del rilancio di Fiat.
Vero, verissimo. E a sottolinearlo, piu’ volte, e’ stato proprio lo stesso Marchionne. Ma siccome in economia non si vive di ricordi, va anche detto che la Grande Punto non la vuole piu’ nessuno e che sino a quando il Lingotto non tirera’ fuori dal cilindro un nuovo modello del cosiddetto [k]segmento B[k] da destinare alla fabbrica lucana, la Sata e i suoi 5.400 dipendenti (piu’ altri 5.000 dell[k]indotto) continueranno a rimanere sulla graticola.
Ed e’ questo il motivo di piu’ grande preoccupazione, seppur non confessato, che tiene tutti sulla corda. Qui, come altrove, a far paura e’ l[k]incertezza. E mentre Roselli della Fismic conta, esattamente come fa ora Marchionne, [k]sul governo e sulle politiche di sostegno al manufatturiero e all[k]automotive[k], sul fronte opposto, Emanuele De Nicola della Fiom denuncia [k]la pressione sempre piu’ insostenibile nei confronti dei nostri iscritti, che sino a poco tempo fa era non meno di ottocento[k]. [k]Temiamo – dice alla Gazzetta – che sia in atto una vera e propria forma di schedatura[k]. E poi, pur non potendolo ancora provare ([k]perche’ non abbiamo le registrazioni[k]), denuncia che [k]la Fiat sta convocando i nostri iscritti, invitandoli a cambiare sindacato[k].
Accuse non proprio inedite, che confermano, in ogni caso, la presenza di un clima tutt[k]altro che sereno. E a confermarlo, fuori dai cancelli prima di entrare in fabbrica, e’ Dino Miniscalchi, 43 anni, operaio, in Sata dal 1995, gia’ delegato Fiom in quella che un tempo era la Rsu (rappresentanza sindacale unitaria). [k]Quel che qui non si vuol riconoscere da parte degli altri sindacati – dice – e’ che Marchionne il nostro destino l[k]ha gia’ deciso. Perche’ qui il suo obiettivo organizzativo l[k]ha raggiunto. Noi qui lavoriamo due giorni la settimana e in futuro forse ancora meno. Ma se sino ad un anno fa producevamo al massimo 1.330 auto al giorno, oggi siamo a livelli record. L[k]altra settimana ne abbiamo sfornate 1.670 in un giorno solo. Si sta lavorando a ritmi massacranti. Questa e’ la verita’. Ed e’ per questo che mi sono convinto che faremo la fine di Pomigliano. Rimarremo in attivita’ e in agonia allo stesso tempo. E quando finalmente arrivera’ il nuovo modello, Marchionne ci dira’ che siamo troppi[k].
[k]Mi chiedo soltanto – dice prendendo la via dei cancelli – a che cosa sono serviti gli accordi capestro firmati dagli altri sindacati[k].
Una domanda alla quale, in vario modo, seppur non direttamente, avevano gia’ risposto i segretari di Uilm, Fim e Fismis: [k]Il sindacato deve continuare a fare la sua parte. A fare accordi nell[k]esclusivo interesse dei lavoratori[k].
Ma intanto, mentre il lavoro rischia di ridursi al minimo, a crescere e’ solo la paura.
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