I migranti che sono scesi in piazza per chiedere l’abrogazione della Bossi – Fini.
Da Padova, Verona, Firenze, Brescia, sono centinaia i lavoratori, padri e madri di famiglia, studenti e precari che hanno marciato per le vie del centro a Bologna per chiedere che la libertà “non sia più vincolata a una legge sul lavoro”, e che i diritti sociali siano estesi anche a chi, nel Belpaese, “vive ogni giorno pagando le tasse”.
In Italia la possibilità di accedere ai servizi, di girare liberamente è legata al lavoro e al reddito.
Se lo si perde, ci mandano via”. Senza possibilità di appello. “Se ad esempio una persona ha lavorato 10 anni in Italia poi a causa della crisi viene licenziata, perde tutti i contributi che ha versato, tutti i diritti che ha maturato nel corso della sua permanenza. Se poi sei figlio di immigrati ma sei nato in questo paese, e non hai la cittadinanza italiana, a 18 anni rischi di essere espulso se non trovi un lavoro che ti permetta di rinnovare i documenti per rimanere. Non è giusto”.
Una manifestazione che si è svolta in concomitanza ad altre due manifestazioni che oggi hanno riempito le piazze di Amsterdame Berlino per sollevare l’attenzione sul tema – rifugiati.
Nel Belpaese si calcola siano 5 milioni gli extracomunitari, tra regolari e irregolari, “e se questa legge non verrà abrogata, continuerà a incidere pesantemente anche sul mercato del lavoro”.
La speranza che le istituzioni ascoltino il loro appello e sleghino la libertà personale dal lavoro, perché altrimenti “è un ricatto continuo. Lavorare per rimanere qui significa accettare ogni tipo di contratto, di condizione, di stipendio. Significa sfruttamento e paura”. Per questo in testa al corteo c’erano striscioni come “Coop facchinaggio = schiavitù”, in memoria degli scontri che ieri hanno visto i facchini in piazza “contro il caporalato delle cooperative”, e ancora “basta pagare per restare”, “basta sanatorie truffa”. “Vivo e lavoro qui da 17 anni – spiega Rifi – ogni anno mi rinnovano i documenti solo di un anno, sono cresciuto qui, non voglio tornare in Marocco. Nemmeno mi ricordo com’è”.
La Bossi – Fini, però, non è l’unico punto da ridiscutere nell’agenda degli immigrati in Italia. Perché chi viene indicato come irregolare, prima dell’espatrio finisce nei Cie, i centri di identificazione ed espulsione. “Vere prigioni – commentano i manifestanti – costano molto e chi ci finisce rinchiuso vive mesi senza alcun diritto”.
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