Un sogno in Rosso Maflow
Dalla rivista on line CASABLANCA APRILE-MAGGIO 2013
Lettere dalle città di Frontiera – Umberto Santino – Domenico Stimolo – Salvatore Borsellino
Trezzano sul Naviglio, alle porte di Milano. Una fabbrica rinasce sulle “ceneri” dell’ex stabilimento grazie ai suoi ex operai. La Maflow, fino al 2008 produceva tubi per gli impianti di climatizzazione nel settore automobilistico soprattutto per la BMW. Dopo il flop, è stata occupata dai lavoratori… Autogestione! Intanto accolgono anche i rifugiati, gli immigrati senza un posto dove andare a dormire. C’è tanto spazio a disposizione, sarebbe un peccato non metterlo a disposizione degli ultimi.
__________________________________________
Parola d’ordine? Autogestione. Non è una parola nuova, ma è sempre tanto affascinante! E nei fatti è molto confortante. Si chiama Ri-Maflow. Ri sta come rinascita. Una cooperativa di lavoro formata da operai e operaie in cassa integrazione. Un datore di lavoro senza padroni. Un clima di dignità. Un reddito uguale per tutti. Un mondo che tutti vorremmo!
“Non possiamo aspettare di finire in miseria o aspettare illusoriamente che qualcuno trovi la soluzione per noi – hanno scritto in documento pubblico firmato Comitato “Occupy Mafflow” – dobbiamo darci da fare per cominciare a risolvere il problema, individuando percorsi vertenziali che ci consentano di ottenere i mezzi per poter avviare un’attività, nei confronti dei padroni e delle istituzioni”. Il Comitato rappresenta i lavoratori e le lavoratrici dell’ex Mafflow, ma anche disoccupati, precari, lavoratori espulsi, e tanti giovani, che sono stati fondamentali nella realizzazione tecnica del progetto. Ne è venuto fuori prima un presidio permanente che vigila, lavora… controlla, adesso la cooperativa Ri-Mafflow. Non tutti fanno parte della cooperativa.
Frattanto interviene il centro per l’impiego e la regione Lombardia per formare i cassintegrati che acquisiscono una nuova specializzazione lavorativa e soprattutto RRR…Rinascita, Recupero, Reddito, Riappropriazione.
La neonata cooperativa “Ri-Mafflow” ha ( ri ) assunto i primi venti operai.” E’ una forma di risarcimento sociale – spiega Gigi Malabarba, uno dei pensatori dell’operazione – la proprietà – aggiunge – spetta a chi ha prodotto ricchezza. A partire dai luoghi, dai capannoni e dagli utensili che gli operai hanno contribuito a preservare e valorizzare, vogliamo dar vita ad un’impresa sociale sostenibile che si occupi di riciclo e riuso di materiale di scarto” – continua – l’ex senatore della Repubblica Malabarba, oggi anima del progetto. Lui è un ex operaio all’Alfa Romeo di Arese (Mi), lui, i problemi della gente che lavora li capisce.
Le opportunità di lavoro? Concretamente le hanno individuate sul versante ecologico, che è una necessità della società, un lavoro concreto, una fonte di reddito.
Da dove iniziare? Semplice: “ Noi partiamo insistono nel documento – in particolare dalla storia della Vertenza della Maflow di Trezzano, in cui – dopo lo sperpero fraudolento di risorse della vecchia proprietà che ha portato all’amministrazione straordinaria un’azienda più che produttiva e con clienti tutt’altro che in crisi – il nuovo padrone polacco Boryszew ha comprato anche lo stabilimento di Trezzano insieme a tutto il gruppo, solo perché la lotta di lavoratori e lavoratrici l’ha imposto come vincolo”. Tuttavia, “passati i due anni di legge, non solo non si è rilanciata la produzione come promesso riassumendo i cassintegrati, ma anche i pochi dipendenti assunti sono stati licenziati e lo stabilimento ha chiuso definitivamente. La proprietà del terreno e dei capannoni è di una società legata a Unicredit…Ma noi diciamo con forza che questa fabbrica non appartiene né a Boryszew né a Unicredit, ma a tutti i lavoratori e le lavoratrici Maflow che vi hanno lavorato per anni e che si trovavano in amministrazione straordinaria…”Intanto deciso, il reddito uguale per tutti (quando ci sarà), per adesso le notti in fabbrica per non lasciare scoperta l’entrata. Per evitare che qualcuno rubi i macchinari … o meglio, ciò che è rimasto e che rappresenta la base di partenza. Una volta si chiamava riappropriazione dei mezzi di produzione.
Che fosse un covo di pericolosi comunisti? Di rivoluzionari?
Se la lotta per il posto di lavoro non è considerata una normalità sì. Allora però bisogna accettare l’ipotesi che oggi la vera rivoluzione è la normalità. “La voglia di riprenderci il nostro futuro – aggiunge l’operaio, Michele Morino”.
I lavoratori dell’ex multinazionale dopo aver vissuto da cassintegrati, occupato terreni e capannoni riorganizzati in cooperativa sognano. Contemporaneamente progettano e lavorano per il reddito e la dignità. Per trasformare la crisi e la lotta in una opportunità di lavoro, di socializzazione e di impegno sociale. Non è un caso che i lavoratori dell’ex Mafflow da subito si sono uniti anche con lavoratori espulsi da un’altra azienda, la Novaceta di Magenta, e, insieme hanno condiviso un percorso di lotta. Non è un caso che nei locali della RI-MAFFLOW diano ospitalità ad alcuni rifugiati politici: ”Noi penultimi ci occupiamo degli ultimi perché i primi sono troppo egoisti – spiega ancora Malabarba”. E tutti condividono.
Un sogno? Mica tanto. A Trezzano si cerca di realizzare un” altro mondo possibile”. Si cerca di vivere senza vergognarsi dei sentimenti quali la solidarietà, un sentimento umano che un mondo cinico basato sullo spread cerca di cancellare. Una sensibilità bollata come fragilità.
Modelli ispiratori? “…le società di mutuo soccorso storiche…dalle fabricas recuperadas argentine, al movimento dei Sem Terra brasiliano. Ma anche le esperienze di autogestione in Grecia e Spagna, paesi a cui l’Italia si sta rapidamente adeguando… In fondo negli anni della ricostruzione post-bellica in Italia esempi simili sono stati l’occupazione delle terre dei latifondisti e i cosiddetti ‘scioperi alla rovescia’ ossia la realizzazione di attività legate a bisogni sociali insoddisfatti, rivendicandone il pagamento dalle istituzioni col sostegno dei cittadini interessati… “
Insomma, innanzi agli squilibri del sistema economico-sociale, un gruppo di persone ritiene che senza organizzazione, lotta, impegno, niente sarà regalato e allora si sono sbracciate e con responsabilità si sono caricate di impegno quotidiano e sacrificio personale per creare nuove aspettative di vita e lavorative.
«Abbiamo realizzato una cucina e una zona notte e la sera ci organizziamo per non lasciare mai scoperta l’entrata — spiega Vincenzo Leone —. Non possiamo permetterci che nulla vada storto». Hanno dovuto attrezzarsi, perché i polacchi avevano iniziato a portare via le macchine. Tuttavia le cose che ancora mancano sono tante e la situazione non è per niente facile. La quotidianità uno sforzo collettivo.
Donatella Marzola ex operaia generica della Mafflow, in mobilità, quarantaseienne, sposata, fa parte della cooperativa. “All’interno della Ri-Mafflow facciamo di tutto – racconta. A dispetto della difficoltà di gestione sono molto entusiasta dell’esperienza perché una come me che non metteva il naso fuori, e che guardava quasi con scetticismo chi manifestava, questa esperienza che sto vivendo mi ha arricchito… mi ha insegnato tantissimo. Ho toccato con mano – aggiunge – che di lavoratori non ne parla e non ne vuole sentire parlare nessuno, arriviamo alla disperazione ma non interessa a nessuno. Speriamo che questa nostra esperienza possa essere di esempio ad altri. Mi preoccupa comunque la burocrazia. Abbiamo incontrato difficoltà enormi che sono stati degli intralci incredibili! Nel frattempo cerca lavoro, con settecento euro al mese è impossibile vivere.
Marisa Sciretta quarantaquattro anni, una bimba di quattro, separata. Operaia generica. Anche lei della cooperativa . “Siamo in autogestione, non abbiamo soldi, facciamo parecchie feste per autofinanziamento. Sentiamo quei locali come casa nostra, facciamo le pulizie come a casa nostra. La cosa che mi affascina è l’unità – racconta – Attraverso questa esperienza che sto vivendo, mi rendo conto che non abbiamo mai tagliato il cordone con la vecchia società. La perdita di lavoro è una cosa molto grave, interrompe i tuoi sogni, i progetti, gli impegni presi. Alla banca non interessano i tuoi problemi, esige i pagamenti”. Solidarietà? “ Tante donne fanno parte dell’Occupy Mafflow, vengono qua a darci una mano e sostenerci con le loro idee… Nella Ri-Mafflow, cioè la cooperativa, invece siamo solo in cinque, oltre me, Marisa, Mariarosa, Gina, Stefania Donatella – conclude”.
“Nuove commesse? “ Stiamo contattando le amministrazioni e privati della zona – spiega ancora Donatella – il primo cliente lo abbiamo trovato tramite face book”
“Lo spirito della cooperativa – conclude Luca – è presente nello statuto e nell’oggetto sociale, perché puntiamo ad essere oltreché un’isola ecologica per il territorio anche un’isola di relazioni e di diritti”. L’isola che non c’è?
1950 (senza firma)
PER CAPIRNE DI PIÙ
La Mafflow di Trezzano proviene dalla Murray che fornisce elementi per impianti di servosterzo, tubi di freni, frizione, benzina delle automobili. Successivamente si dedica alla progettazione e costruzione di componenti per il condizionamento auto fino al 2004 quando il ramo d’azienda automotive viene scorporato e ceduto. Nasce la Maflow che è una multinazionale a capitale italiano e può vantare 23 stabilimenti tra Europa, America e Asia. Rifornisce soprattutto la Bmw. La superficie, 30mila metri quadrati della Maflow di Trezzano, di cui 14mila al coperto, sono di proprietà della Virum, costola di Unicredit.
La fabbrica di Trezzano raggiunge il massimo dello splendore nel 2007 e solo in quel comune impiegai 320 lavoratori. A causa di operazioni finanziarie finite male con trecento milioni di debito la Mafflow finisce in Tribunale e dal 30 luglio 2009 la società è commissariata. Una lunghissima vertenza sindacale fino all’estate del 2010, quando si pensa a dei salvatori, che la facciano uscire dall’amministrazione straordinaria. All’asta indetta dal curatore nominato dal Tribunale si presenta la Boryszew Sa, guidata dall’omonimo imprenditore. E così arrivano i polacchi. Le condizioni dell’accordo prevedevano il ridimensionamento dell’organico da 320 a 80, condizioni capestro che in quel preciso momento storico non potevano essere rigettate pena il fallimento.
Tuttavia, subito dopo l’accordo si scopre che il piano industriale della Boryszew Sa non contempla più lo stabilimento di Trezzano sul Naviglio. I polacchi ambivano ad altro, tipo, commesse, certificati di garanzia. Seguono due anni tumultuosi, poi tutti a casa, Non solo, i polacchi alla chetichella portano via buona parte delle macchine. Per i lavoratori è troppo, ed ecco che si riappropriano della palazzina, dei capannoni e dei macchinari altrimenti destinati ad un’eventuale speculazione immobiliare o alla rottamazione. Oppure al cedimento e allo sfascio.
Comments Closed