Il blitz della polizia della repubblica italiana
nel memoriale di Alma rilasciato al Financial Times
“Avevo una sola sensazione in quel momento: erano venuti ad ucciderci senza un processo, un’indagine, senza che nessuno lo avrebbe mai saputo”. E’ quanto scrive Alma Shalabayeva, moglie di Ablyazov, in un memoriale rilasciato al Financial Times in cui racconta la notte del blitz nella villa di Casal Palocco nella notte tra il 28 e il 29 di maggio. “Continuavano a gridarmi in italiano. Non capivo esattamente cosa dicessero. L’unica cosa che ho potuto distinguere in questa serie di offese fu ‘Puttana russa’”. “A un certo punto hanno portato Bolat (il cognato, ndr) nella stanza. Aveva un occhio rosso e gonfio, un labbro rotto, una ferita al naso. Disse che lo avevano pestato”.
Il memoriale è stato rilasciato dai legali di Alma Shalabayeva al Financial Times ed è datato 22 giugno. Originariamente era scritto in lingua russa ma, su richiesta dello stesso foglio britannico, è stato poi tradotto in inglese e pubblicato. Al suo interno, il racconto degli ultimi tre giorni vissuti dalla moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov in Italia, dalla notte del blitz alla permanenza al Cie di Ponte Galeria fino alla partenza per Astana. Secondo quanto scritto da Alma, a fare irruzione sono state “30-35” persone, più “una ventina” rimasti fuori all’edificio: “Erano vestiti di nero. Alcuni di loro avevano catene d’oro al collo, molti avevano la barba, uno una capigliatura punk con una cresta”.
Tra loro anche “una donna, di circa 30 anni, che mi ha accompagnato dovunque andassi nella casa”, scrive ancora la moglie di Ablyazov al quale gli autori del blitz chiesero le generalità e, solo dopo diversi minuti di esitazione e di tensione crescente, la donna decise di mostrare loro il suo passaporto centrafricano. “Non avevano nessun segno esterno da cui si potesse capire che erano poliziotti e militari. Ma tutti avevano delle pistole e parlavano tra loro in italiano”, sono le parole della donna che racconta come ad un certo punto le fu ordinato di vestirsi e di venire via: “Con me non avevo né soldi, né documenti, non avevo un avvocato né un interprete”.
‘Alla polizia confessai tutta mia storia’ – Dopo una permanenza di “15 ore all’ufficio immigrazione”, stremata e affamata, Alma Shalabayeva decise di confessare la sua storia, raccontando che era kazaka, che era la moglie del leader dell’opposizione kazaka, che il Kazakistan “era governato da un dittatore da più di 20 anni al potere e di come Nazarbayev elimina i leader dell’opposizione”. E’ quanto racconta la stessa moglie di Mukhtar Ablyazov nel suo memoriale, in cui scrive: “Ero seduta davanti a chi pensavo fosse il capo dell’ufficio immigrazione. C’erano 12 persone lì. Tutti ascoltarono attentamente”
I nostri politici non sapevano? I nostri politici sono dei complici
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