Redazione di Operai Contro,
Mentre il mondo sperimenta in diretta il sapore del cambiamento climatico e gli eventi estremi mordono le Filippine, il Midwest americano, la Sardegna, sul ponte di comando della nave a cui è stata affidata la difesa del clima si guarda un altro film. Guidata dalla regia polacca, la conferenza Onu di Varsavia è troppo occupata ad ammirare le prospettive di crescita del carbone e dello shale gas per preoccuparsi dei disastri ambientali.
Le associazioni ambientaliste (dal Wwf a Greenpeace, da Friends of the Earth a Oxfam) e le confederazioni sindacali hanno sbattuto la porta dichiarando che i “negoziati sul clima sono una cosa molto seria e non si può trasformarli in burla”. E’ la prima volta che accade nella storia del negoziato che si è aperto nel 1992 a Rio de Janeiro con la firma della Convenzione per la difesa del clima: un processo che ha portato alla ratifica del protocollo di Kyoto ma che ora si infrange sul muro della gestione polacca della conferenza. “I primi due giorni della settimana decisiva, quella che si chiude domani, sono stati dedicati alla World Coal Association, cioè all’ode del carbone cosiddetto pulito, ignorando il semplice fatto che è proprio il carbone a farci pagare il prezzo maggiore in termini di vittime sia da smog sia da cambiamento climatico”, accusa Mariagrazia Midulla, del Wwf.
Subito dopo questo biglietto da visita, il governo polacco ha completato il quadro delegittimando Marcin Korolec, il presidente della Conferenza: con un rimpasto gli è stata sottratta la poltrona di ministro dell’Ambiente e il dicastero che dovrebbe vigilare sulla difesa degli ecosistemi è stato affidato a uno strenuo sostenitore dello shale gas, una delle tecniche di estrazione degli idrocarburi più contestate per l’impatto ambientale che produce.
In questo quadro il Giappone ha annunciato una riduzione degli impegni volontari. Impegni volontari che a livello globale lasciano sostanzialmente inalterato lo scenario chiamato business as usual con le conseguenze precisate a chiare lettere dall’Ipcc, il gruppo di scienziati Onu che ha vinto il Nobel per la pace. In assenza di tagli rapidi e radicali delle emissioni di gas serra ci attende una crescita di temperatura devastante: attorno ai 4 gradi entro la fine del secolo. Ma per misurare il pericolo non c’è da attendere tanto: l’aumento dell’energia intrappolata in atmosfera è carburante prezioso per gli uragani che, alla varie latitudini e sotto vari nomi, stanno diventando una presenza sempre più allarmante. Un vicino con il quale è molto difficile convivere.
La trattativa ha ancora una strettoia attraverso la quale far passare la speranza di poter mantenere un pianeta più sicuro per la specie umana. Ma sul fronte politico l’Unione europea si trova piuttosto isolata (a Varsavia il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando ha ribadito l’adesione italiana alla definizione di obiettivi europei avanzati per il 2030). E la speranza finisce così per essere affidata quasi esclusivamente al mercato: le fonti rinnovabili e le politiche di efficienza conquistano spazi sempre più consistenti nei paesi a industrializzazione matura. Ma i benefici vengono completamente annullati dalla crescita impetuosa e ad alto impatto ambientale delle aree del mondo in cui la lotta contro la fame impedisce di guardare lontano. La politica a livello globale sembra essersi arresa rimandando tutti gli impegni a un piano che dovrà essere definito entro il 2015 per entrare in vigore nel 2020. Tra molti uragani.
Un ambientalista
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