Redazione di Operai Contro,
a inizio del 2013 aveva fatto scalpore l’annuncio che la Banca centrale tedesca avrebbe fatto rientrare entro il 2020 buona parte dei lingotti d’oro della sua riserva detenuti negli Usa, 300 tonnellate, e tutti quelli che stanno in Francia, 370 tonnellate.
Fa specie nell’epoca della economia virtuale, delle transazioni tra computer, quando persino il denaro di carta sembra superato e comunque non prevede scambiabilità con l’oro, che una banca centrale di un paese rivoglia avere fisicamente nei propri forzieri i lingotti di oro della sua riserva che vicende storiche ed economiche hanno portato a essere stoccati altrove. Un’operazione oltre tutto piuttosto costosa. Un segnale forte che la dice lunga sulla fiducia tra stati che in teoria sono alleati storici, oltre che partner commerciali, soprattutto se viene in tempi di crisi.
E’ passato un anno e nel frattempo, durante tutto il 2013, le quotazioni dell’oro hanno subito un forte calo: -28%. La crisi sta finendo – dicono adesso – e l’oro come bene rifugio viene venduto, così come al contrario veniva prima comprato. Bisogna crederci, ma guarda caso ciò non interessa ad alcuni stati che continuano ad accumulare oro in gran quantità: Russia, India, ma soprattutto, vedremo, la Cina. Evidentemente, come alla Bundesbank tedesca, alle rispettive banche centrali di questi paesi, più che alla quotazione momentanea in dollari della singola oncia, interessa il ruolo dell’oro come denaro mondiale, “come materializzazione assolutamente sociale della ricchezza in genere” – diceva un certo sig. Marx (Il capitale, I libro).
Le riserve auree cinesi
La Cina, da anni primo produttore mondiale del metallo nobile, estrae dalle proprie miniere 348 tonnellate di oro all’anno. A queste vanno aggiunte circa 100 tonnellate al mese di continue importazioni nette attraverso la piazza finanziaria di Hong Kong. Questi sono i dati ufficiali sui flussi netti di oro verso la Cina che non tengono conto dei possibili passaggi attraverso tutti i suoi ampi confini. La People’s Bank of China (Pbc), la banca centrale cinese, non comunica l’ammontare delle sue riserve dal 2009 quando annunciò non a caso, era in corso la bufera creditizia mondiale, che le sue riserve auree erano passate da 600 a 1.054 tonnellate. Da allora ufficialmente è stato il silenzio, neanche una comunicazione al Fondo Monetario Internazionale, cui in teoria sarebbe tenuta. Ma dai dati sul commercio dell’oro appena visti, tra Cina e Hong Kong e da qui con il resto del mondo, si stima che le sue riserve siano aumentate di almeno 1.000 tonnellate nel solo 2013 . Qualcuno si spinge a teorizzare che la Cina ad aprile annuncerà di avere 5.000 tonnellate di oro nelle sue riserve e che ciò avrà forti ripercussioni sui cambi e persino su valore di alcune monete, in particolare sul dollaro.
I conti delle quantità di oro nel mondo potrebbero infatti anche non tornare. Si potrebbe scoprire non solo che la Cina, in questa opera di raccolta di oro fisico in giro per il mondo, ha sicuramente la seconda riserva aurea al mondo, ma che quella degli Stati Uniti, di 8.500 tonnellate dichiarate, potrebbe avere diversa consistenza. Il giro sarebbe il seguente. L’oro prestato dalla Federal Reserve americana a banche intermediarie come Goldmand Sachs e JP Morgan in cambio di un certificato che ne attesta la proprietà della Fed e la eventualità teorica di un suo ritorno nelle sue casseforti. Da queste banche lo stesso oro viene messo sul mercato. Venduto in cambio di dollari fisicamente finisce in Svizzera e qui rifuso in lingotti da un kilogrammo più graditi dai cinesi, quindi spedito a Hong Kong. Fa parte di quelle 100 tonnellate di oro netto importato dalla Cina di cui abbiamo parlato prima.
In rete si trovano vari documenti a riguardo di tutta questa vicenda, alcuni rasentano le teorie complottiste e si spingono ad affermare che nei forzieri della Fed vi stiano ormai lingotti di tungsteno, soltanto rivestiti d’oro. E che persino l’oro che la Germania vorrebbe che da New York tornasse a Francoforte è invero a Pechino. Di certo c’è che i forzieri della Cina si stanno riempiendo di lingotti d’oro veri, mentre quelli di Londra e New York si stanno svuotando. La crisi starà anche finendo come ci ostinano a raccontare, ma nel frattempo la Cina si sta preparando ad affrontare la sua “fine” in un modo piuttosto curioso: accumulando denaro mondiale come se si aspettasse il diluvio universale da un momento all’altro.
Roberto
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