In Sicilia, a un anno e mezzo circa dalle elezioni regionali, da pochi giorni, è stato varato “il Crocetta bis”, un reimpasto della squadra di governo che ha richiesto settimane di trattative tra i partiti costituenti la maggioranza. Tra malumori e mal di pancia, scissioni, ricatti e tirate di giacca, il nuovo governo regionale ottiene la fiducia all’ARS ed è ufficialmente insediato, anche se con numeri ancora più risicati del precedente governo regionale. Mai crisi regionale è stata più oscura. Qual è il motivo di questa, riedizione del governo Crocetta, giacché i soggetti politici, formalmente, rimangono gli stessi? Per quale motivo i gruppi politici che, a parole, sono scontenti del governo regionale non staccano la spina, invece di starnazzare e minacciare elezioni anticipate? Be, quando non ci sono torte da spartire ma gatte da pelare… Intanto il primo provvedimento regionale approvato dalla nuova giunta, guarda caso con ampia maggioranza, è stato un decreto salva imprese, prima ancora della legge di bilancio definitiva, un caso? Come mai i soldi per i politici e imprenditori spuntano sempre?
Un altro aspetto strano è stato l’interesse riservato da tutti i politici nazionali, dei vertici della Confindustria ed economisti, alla Sicilia Orientale: tutti hanno fatto un salto o a Catania o Siracusa, il presidente del consiglio appena insediato Renzi, il Presidente della Repubblica Napolitano, i leader di partito, vertici sindacali e industriali. Un interesse così insistente lontano dalle contese elettorali non si è mai verificato un caso? Non credo alle casualità, tutta questa gente non si muove senza uno scopo, senza un tornaconto. Ecco che allora si sente scalpitare l’imprenditoria locale e si capisce, tra le righe, cosa realmente bolle in pentola: si vogliono realizzare 18 zone franche, della aree a fiscalità ridotta dove le imprese possono mettere su delle attività pagando molto meno tasse; si vogliono realizzare dei consorzi di imprese della Sicilia Orientale tra le provincie di Catania e Siracusa; si vuole attuare un piano del lavoro, simile al piano Renzi, http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_28/job-act-sicilia-esiste-gia-df433568-a0af-11e3-b6e1-915c31041614.shtml#ryy4qgdsM8WpD1Xt, ma con più vantaggi per le imprese. In definitiva, come il solito, tutto si riduce a un finanziamento delle imprese!
Tutte queste riforme rischiano, però, di rimanere nel libro dei (loro) sogni, prima bisogna approvare, in modo completo e definitivo, il bilancio di previsione del 2014, rimasto in sospeso dopo la prima bocciatura da parte del commissario dello stato, avvenuta all’inizio di quest’anno. Bisogna quadrare il cerchio, e non è facile! La Sicilia somiglia sempre più a quei ammalati terminali tenuti in vita artificialmente, nessuno vuole staccare la spina, anche se non c’è possibilità di ripresa. Tecnicamente la Regione Siciliana sarebbe già fallita, non ha alcuna possibilità di saldare il debito e, ai ritmi attuali, s’impiegherebbero dieci anni solo per ottenere un pareggio di bilancio! Tutto questo in situazione di disservizi disastrosa, e indicatori socioeconomici peggiori d’Italia. Ma allora cosa si sono detti i borghesi nazionali con quelli siciliani, perché i borghesi si parlano, al di la dei convenevoli e delle dichiarazioni ufficiali, in modo diretto e chiaro: “Bene noi siamo disposti a tirarvi fuori della merda in cui vi siete cacciati, ma voi siete disposti a offrire nuove condizioni di sfruttamento e di profitto? Ci sono tanti capitali, leciti o no, che scalpitano per essere investiti.” “Ci stiamo prodigando per questo, rispondono i borghesi locali, già da parecchio tempo, adesso vogliamo offrire delle buone occasioni di profitto, per chi le vuole sfruttare. Nel frattempo siamo impegnati a tenere a bada tutte le proteste locali”. “Quando avrete tolto le castagne dal fuoco, ce lo fate sapere, noi nel frattempo ci impegniamo di mantenervi a galla”. Fantapolitica questo dialogo immaginario? Saranno i fatti a definirlo. In realtà la strategia adottata in Sicilia è stata già ampiamente sperimentata in tante aree sub marginali del mondo, ed è il modo con cui il capitale, a suo modo, cerca di uscire dalla crisi: distruggere le strutture economiche locali, disseminare fame e miseria e su questo innestare un nuovo sviluppo economico su un livello più elevato di sfruttamento, per rilanciare il profitto. In effetti, tutti gli avvenimenti degli ultimi anni stanno a indicare,per la Sicilia, questa strada, basti pensare allo stillicidio del polo industriale di Termini Imerese, ma anche del polo tecnologico catanese, così anche i poli petrolchimici oggetti di ridimensionamenti. Inutile illudersi, però, questa strategia sarà applicata, dove il capitale lo riterrà opportuno, per raschiare i residui margini di profitto. Anche per impedire questo serve il partito operaio.
PIERO DEMARCO
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