Redazione di Operai Contro,
A settembre, fra pochi giorni, al ministero per lo Sviluppo economico si apriranno 152 “tavoli di crisi” fra ministero e parti sociali (padroni e sindacati) quasi tutti su vertenze industriali: Fiat di Termini Imerese, AST Terni, Ideal Standard di Orcenico, Alcoa, Sulcis ed Euroallumina in Sardegna, Antonio Merloni, Pasta Agnesi di Imperia, Eni di Gela, Alcatel-Lucent di Vimercate, Breda Menarini, De Tomaso di Torino, giusto per citarne alcune.
I padroni vogliono chiudere le fabbriche o ridimensionarne gli organici operai (sono oltre 150.000 gli operai coinvolti) e chiedono aiuto al governo e ai sindacati per riuscire a compiere i loro piccoli e grossi massacri sociali senza che gli operai si ribellino.
Il governo, attraverso i burocrati ben stipendiati e con il culo al caldo del ministero, asseconderà gli interessi dei padroni, dei quali è il comitato di affari, distribuendo qua e là qualche ammortizzatore sociale.
I sindacati, attraverso burocrati diversi ma ugualmente ben stipendiati e con il culo al caldo, serviranno pure essi zelantemente gli interessi dei padroni, che gli consentono di fare la bella vita. Forse alzeranno la voce, forse organizzeranno qualche processione a Roma, forse cercheranno di temperare l’ingordigia dei padroni con qualche minaccia. Tutto servirà a servirli nella maniera più efficace possibile.
E gli operai? Saranno soli contro tutti, contro padroni, governo e sindacati. Le forze in campo sono impari. La bilancia pende dalla parte di chi ha tutto il potere dello stato dalla propria parte. Eppure gli operai potranno buttare sul piatto il peso della propria determinazione e dell’unità di classe. Quando non si ha più nulla da perdere e l’unica prospettiva diventa la miseria, la fame, allora cominciano a maturare nuovi percorsi di lotta e di organizzazione autonoma della forza operaia.
SALUTI OPERAI DALLA PUGLIA
Certo che Settembre sarà un mese molto importante per noi operai
Scrivi
“Quando non si ha più nulla da perdere e l’unica prospettiva diventa la miseria, la fame, allora cominciano a maturare nuovi percorsi di lotta e di organizzazione autonoma della forza operaia”
Ma a noi operai il salario serve per sopravvivere. Questa è la nostra condizione di sempre. Operai Contro non è il giornale contro la miseria e la fame.
Nel “Chi Siamo” leggo:
“Il giornale della rivolta operaia contro il lavoro, salariato. Una grande mistificazione sociale sta travolgendo tutti.
Centinaia di migliaia di operai vengono licenziati, lasciati in mezzo ad una strada con un sussidio miserabile e tutti si sgolano a chiedere lavoro. “Ci vuole il lavoro per dare futuro ai giovani, per dare dignità alla gente”, non c’è dirigente politico, sindacalista o cardinale che non metta al centro il problema del lavoro.
Ci fanno ridere, noi operai che abbiamo lavorato sotto la frusta del padrone, noi che sappiamo cosa vuol dire stare alla catena di montaggio o lavorare in siderurgia, o al freddo dei cantieri edili ci facciamo una risata.
Di questo mitico lavoro che tutti vorrebbero farci fare, faremmo con piacere a meno. Se siamo costretti al lavoro è semplicemente perché, vendendo la nostra forza lavoro al padrone ne riceviamo in cambio un salario per sopravvivere e sappiamo benissimo che con questo scambio lui si arricchisce e noi schiattiamo.
Questa è la verità, tutte le altre sono mistificazioni, ma mistificazioni che nascondono interessi materiali inconfessabili. La crisi sta parlando chiaro”
Scrivi di nuovi percorsi di lotta e di organizzazione autonoma della forza operaia.
Ti chiedo quali sono i nuovi percorsi di lotta e di organizzazione autonoma della forza operaia?
Sulle pagine di Operai Contro ho avuto la possibilità di leggere del Partito Operaio.
Perché non collegarci per costruire il Partito Operaio? Altrimenti come fare a sviluppare la determinazione e l’unità della classe?
Ritengo utile sviluppare il dibattito. Per svilupparlo con coerenza riporto da Operai Contro cartaceo n 132:
“Organizzarsi ed agire come operai è già un programma, nel momento in cui
gli operai, come tali, si riuniscono e cercano una via d’uscita dalla loro precaria
condizione sociale trovano già, in questa ricerca, i mezzi e i modi per attuarla. Non
hanno bisogno di un programma già pronto, elaborato in tutti i particolari, un
elenco di obiettivi a metà strada fra grandi fanfaronate e piccoli effimeri risultati.
Questo partito si installa ed esprime la sua forza in un territorio che non è geografico, locale o nazionale: è un territorio sociale. La fabbrica, o qualunque luogo
di lavoro dove esiste una comunità operaia è il territorio del partito operaio, lì
bisogna condurre una lotta senza quartiere ai partiti politici delle altre classi.
L’influenza politica sugli operai viene da fuori da questo territorio, i partiti politici
prendono gli operai a casa, nei quartieri, cittadini fra cittadini, il partito operaio ha
a sua disposizione un territorio abbandonato dalla politica. Nella divisione dei
poteri tocca al padrone la gestione dei suoi uomini, direttamente, nessuna interferenza è consentita, la produzione è sacra. Il partito operaio può sfruttare a suo favore questa situazione, la comunità
operaia può riempire questo spazio vuoto, trovare in sé, in modo indipendente, un modo di agire politico che gli sia proprio.
Il partito operaio gestisce la resistenza degli operai oltre il vecchio sindacalismo collaborazionista. Il sindacalismo del “meglio questo che niente” viene travolto dalla crisi economica che riserva
agli operai il niente e il meno di niente.
Invece di prendere forza dalla crisi economica, come prova del fallimento del
modo di produzione fondato sul profitto, i vecchi sindacalisti si accordano per
gestire socialmente la miseria operaia con gli ammortizzatori sociali, in attesa
che passi la bufera. Mettiamo invece il caso che la bufera non passi velocemente, che il superamento della crisi richieda sacrifici insopportabili, mettiamo ancora
che nella resistenza agli effetti della crisi gli operai si convincano che questo modo
di produzione e di scambio ha fatto il suo tempo e deve essere superato, verso quali
prospettive dobbiamo muoverci? Non
toccherà forse al partito operaio informale iniziare ad elaborare delle risposte?
L’estraneità di consistenti settori operai verso i classici partiti parlamentari si
manifesta in tutti i modi, non tanto attraverso l’astensione, per quanto è un fenomeno quantitativamente rilevante ma soprattutto nella militanza, nell’apporto
concreto a sostenere questo o quel progetto politico. I partiti che conosciamo
pescano i gruppi dirigenti e i militanti da altre classi, sono espressione di altre classi. Alla base della militanza dei partiti che si dicono “dei lavoratori” nella migliore delle ipotesi troviamo maestri,
impiegati, tecnici, mai operai.
Gli operai hanno prodotto invece, da quando sono comparsi sulla scena sociale, organizzatori, agitatori e propagandisti che hanno messo nel sacco partiti con grandi mezzi
e grandi sostegni economici. Gli operai non possono più produrre oggi un ceto
politico siffatto? Non possono più produrre militanti della loro causa? Negare
questa possibilità conviene ad altri non a noi stessi, dipende per quale partito bisogna impegnarsi, per quale partito iniziare a militare, ed una possibilità oggi è data:
si può diventare militanti ed organizzatori di un nostro partito, per un partito operaio, o almeno muovere in questa direzione i primi passi. I programmi, le forme
organizzative le scopriremo insieme mano a mano che ci costituiremo in classe e con ciò in partito politico indipendente.
All’inizio ognuno resti dove è, continui a simpatizzare o mostrare interesse
verso le formazioni politiche che vuole, partecipi all’attività di comitati, centri
sociali, di questo o quel sindacato di base o di vertice, il partito operaio informale
non chiede atti di fede, chiede solo che si inizi a ragionare ed agire in quanto operai, ad elaborare e sostenere un proprio punto di vista su tutte le questioni che ci
riguardano direttamente. La grande crisi dissolve la nebbia che aveva tenuto
nascosti i contrasti di interessi su cui si regge questa società, dov’è finito il lavoro produttivo di milioni di operai di questi anni? Nelle tasche dei padroni, nelle casse delle banche, negli stipendi d’oro dei funzionari statali. Agli operai briciole ed ora la miseria. La cosa divertente è la
sfrontatezza con cui chiedono a tutti, noi compresi, di fare squadra comune per
superare la crisi. Ma la crisi è la crisi del loro sistema, il loro modo di accumulare
ricchezza sul nostro lavoro ad un certo punto è collassato e noi come caproni
senza intelletto dovremmo oggi ancora accettare sacrifici per farli arricchire
ancora di più aspettando una nuova e più sconvolgente crisi? Benvenuta la grande
crisi, le rivoluzioni sociali maturano là dove la vecchia struttura economica non
è più in grado di proseguire il suo processo di accumulazione, la ribellione
degli operai è oggi veramente possibile, il lavoro direttamente produttivo degli operai può servire per un’altra formazione sociale senza padroni, banchieri, funzionari ben pagati dello stato, può servire
agli operai stessi.
Non abbiamo tempo, i padroni ad un certo punto avranno bisogno di centralizzare il comando sulla società, di ridefinire i rapporti fra le classi per rimettere in piedi il processo di accumulazione,
saranno loro stessi a mettere in discussione il funzionamento politico istituzionale
dello Stato. Se la forma democratica non gli servirà più saranno i primi a chiederne il superamento. Non condanniamoci ad essere fra coloro che difendono sempre il passato, oltre la Repubblica dei
padroni, nella successione storica, può esserci anche la Repubblica operaia. Se
ai padroni, per salvare i loro capitali serviranno prove di forza sul mercato mondiale andranno per “necessità verso la guerra” Questi continui richiami all’unità nazionale vanno in questa direzione. Chi potrà fermarli se non gli operai che sono una classe internazionale? Operai non
abbiamo tempo, una organizzazione di partito è necessaria, presente in ogni fabbrica, che inizia a costituirsi senza inutili formalità ma che comincia già oggi ad agire. Non è nemmeno un caso che ogni tanto qualcuno si ricordi che esistono gli operai reali, in carne ed ossa e che nessuno sia in grado di rappresentarli politicamente, siamo all’assurdo che la Lega di Bossi si arroghi la capacità di rappresentare anche fasce di operai “del Nord” aprendo qualche sezione nelle fabbriche,
proprio la Lega, che rappresenta i peggiori padroncini e padroni che per fare profitti sono capaci di uno sfruttamento operaio inaudito. Il partito operaio imponendosi sul territorio che le è proprio, la fabbrica, li farà ballare tutti, scioglierà la farsa interclassista dei Padani e là dove
c’è il padrone ci sarà l’operaio a fargli una lotta senza quartiere. La terribile
lotta fra le classi che tanto fa paura, anche alla Lega di “lotta e di governo”.
Ora tocca fare qualche appunto al nostro campo, ai lavoratori colpiti dalla
crisi ed a coloro che in qualche modo dicono di rappresentarli. La struttura
sociale in Italia produce e riproduce parrocchie politiche. Non solo siamo di
fronte ad una massa di artigiani, di bottegai, ma anche di lavoratori indipendenti e
poi di dipendenti statali, liberi professionisti. Impiegati di produzione gestori
dello sfruttamento operaio…Ognuno con interessi economici particolari e particolari interessi politici.
E anche vero che la crisi sta producendo una discesa verso il basso di quanti si illudevano di aver trovato una collocazione lavorativa soddisfacente. Il malcontento cresce fra tutti i lavoratori, questo è il prodotto della grande crisi. Le risposte politiche che ognuno di questi settori dà risentono dalla particolare condizione sociale che li contraddistingue. Se sono dipendenti statali vogliono la
difesa del “pubblico”, se sono impiegati del commercio vogliono una politica
espansiva dei consumi, se sono ricercatori l’incremento della ricerca nazionale, e
così avanti…Tralasciamo qui la particolare mania di inventarsi partiti di sinistra
a sinistra di Rifondazione, ad ognuno la sua speranza di rientrare in gioco nei consigli regionali comunali o in parlamento.
Parliamo qui dei diversi tentativi di dare vita a coordinamenti, comitati, sindacati
di base, dei centri sociali che si fanno concorrenza, dei comitati di studenti in
lotta per l’egemonia e diciamo loro che senza l’insorgenza degli operai non esiste
una vera alternativa al sistema, che senza la centralità operaia le piccole parrocchie
non potranno essere superate. Costituire da subito, anche se in modo informale, un
partito operaio è nell’interesse di tutti coloro hanno intenzione di usare la grande crisi per mettere in discussione questo modo di produzione e di scambio. Dal lamentoso “la crisi non la vogliamo pagare” passeremo al grido di battaglia “padroni vi chiederemo il conto della
crisi”. Ma se il costituirsi degli operai in partito viene riconosciuto come un fatto
nuovo, centrale, un contributo può venire anche da quei militanti non operai, che
faticosamente, per propria esperienza,per acquisizione teorica, sono giunti a
capire il ruolo che hanno gli operai nella possibilità di superare questo sistema.
Passare dal parlare di partito operaio a costituirlo è un salto molto difficile,
quasi impossibile, ma le missioni impossibili si possono rilevare le uniche che
realizzate producono grandi risultati. Alla INNSE il partito operaio informale ha
dimostrato cosa può fare una comunità operaia, unita, che sa dove andare. Perché
non tentare in altre fabbriche la stessa pratica organizzativa? In poche parole è
così difficile riconoscersi e costituirsi in ogni luogo di lavoro, fra operai, come
sezione di un partito ancora informale che si va definendo? La risposta può
venire solo dalle fabbriche. Nel momento in cui ci renderemo conto reciprocamente che questo progetto può iniziare a camminare potremo cominciare con riunioni
pubbliche nei diversi centri industriali e passare a nuovi livelli di ragionamenti.
I preti laici delle piccole e piccolissime parrocchie politiche, che si richiamano ai lavoratori, esamineranno questa proposta con sufficienza, la bocceranno
senza appello come settaria, o cercheranno di farla passare sotto silenzio. Ma
hanno fallito su tutta la linea, quando parlano in pubblico addormentano la gente
con le solite litanie sulle lotte mai organizzate, sulla generalizzazione delle iniziative che si risolve in un accordo privato fra due o tre individui, sulle chimere di un grande movimento che mai si muoverà, sui loro fumosi obiettivi. Ebbene se gli operai più avanzati non riusciranno a
fare i conti con questi personaggi sarà ben difficile andare verso il partito operaio, ma anche da questo lato la crisi ci sta dando una mano, lo scontro fra operai e padroni si fa sempre più serio e tante chiacchiere su una gestione politica di sinistra del capitalismo riformato hanno fatto il loro tempo”
Compagno non sei d’accordo?
Ciao
Luigi, (scusandoci per il ritardo nella risposta) siamo perfettamente consapevoli che non sono la miseria e la fame, di per sé, a muovere in avanti il mondo e, tanto meno, a spingere gli operai sulla strada della propria liberazione dallo sfruttamento. Altrimenti gran parte della classe operaia mondiale, se non tutta, sarebbe già liberata e avrebbe liberato, con se stessa, gran parte dell’umanità diseredata, oggi in catene e sottomessa.
Vogliamo dire, più semplicemente, che per l’operaio, con la discesa in una condizione sociale in cui non riceve più un salario, derivante da un lavoro del quale egli, ovviamente, farebbe volentieri a meno, ma, purtroppo, oggi necessario per la sopravvivenza fisica personale e della propria famiglia, matura una situazione oggettiva nuova (diversa da quella vissuta in una fase ascendente del ciclo economico del capitalismo) che può favorire la presa di coscienza di sé come parte di una classe sociale che produce tutto e riceve meno delle briciole dell’immenso valore prodotto.
Naturalmente da tale situazione oggettiva nuova all’assunzione soggettiva di una responsabilità sociale, che porta alla costituzione dei singoli operai in classe e quindi nel partito proprio, il partito operaio, il passo non è affatto immediato. Ma quella situazione oggettiva può comunque favorire la maturazione di nuovi percorsi di lotta e di organizzazione autonoma della forza operaia (percorsi, beninteso, che altri operai compiono anche senza essere licenziati e senza che siano caduti nella miseria e nella fame, tanto è vero, giustamente, che OC non è e non è mai stato un giornale “umanitario”, contro la miseria e la fame).
Percorsi di lotta nuovi, cioè svincolati completamente dai legami e dai compromessi con i sindacalisti alleati dei padroni, e quindi realmente di lotta antipadronale. Percorsi di organizzazione autonoma della forza operaia, cioè capaci di dare vita a embrioni di quello che chiamiamo, e vogliamo sia, il partito operaio, un partito nuovo costruito, organizzato e diretto in primo luogo dagli operai e per gli operai.
Questo vogliamo dire. Esattamente, Luigi, ciò che tu affermi e ribadisci e su cui siamo d’accordo. Anche altre volte, non è questa la prima, abbiamo espresso tale concordanza di intenti, non è tuttavia la continua ripetizione formale dell’adesione al progetto del partito a farlo andare avanti. Altrimenti può rischiare di diventare uno sterile, inconcludente e autoreferenziale atto di fede. Meglio sarebbe discutere su quanto l’Aslo, anche con OC, conta di fare nel suo insieme per esprimere e far conoscere le proprie posizioni sulle lotte operaie nella crisi, nel prossimo autunno. Per compiere passi in avanti proprio sulla strada del partito operaio.
Caro compagno di Operai in lotta,
sono contento della vostra precisazione.
Non è la miseria e la fame che porta automaticamente alla lotta contro il padrone.
Spero che siamo d’accordo che questo è il giornale della rivolta operaia contro il lavoro salariato.
Voi affermate: ” la continua ripetizione formale dell’adesione al progetto del partito a farlo andare avanti. Altrimenti può rischiare di diventare uno sterile, inconcludente e autoreferenziale atto di fede”
Io penso che l’adesione al Partito Operaio non è un atto sterile e inconcludente, ma vuol dire agire per la liberazione degli operai
Tu affermi: “Meglio sarebbe discutere su quanto l’Aslo, anche con OC, conta di fare nel suo insieme per esprimere e far conoscere le proprie posizioni sulle lotte operaie nella crisi, nel prossimo autunno.
Io penso che dovremmo essere noi operai a comunicare al giornale le nostre lotte, la nostra battaglia per costruire il partito. ASLO non è qualcosa che vive senza operai.
Questa mi sembra una vecchia teoria degli m-l.
Penso che non si possa chiedere all’ASLO cosa conta di fare, ma ciò che conto di fare io per rendere più forte la costruzione del Partito Operaio
Comunicare al giornale le problematiche dell’azione in fabbrica è importante
Ogni operaio deve dare il suo contributo
Ti chiedo tu cosa conti di fare?
Costruirai il partito nella tua fabbrica?
Come farai?
Sono d’accordo con te. La situazione è buona
Ciao
Ogni operaio e militante deve lavorare per rendere più forte e celere la costruzione del partito operaio, ma lavorare in ordine sparso non porta lontano.
Un’organizzazione centralizzata deve dare indicazioni, direttive, comunicati, parole d’ordine comuni per tutti, in modo da rendere omogeneo il lavoro di tutti. Altrimenti a che serve (eleggere) un centro, un direttivo, se non opera in tal senso? Giusto per un’operazione burocratica e di facciata?
La corrispondenza politica deve essere non univoca, ma biunivoca.
Se poi a te questa sembra una “vecchia teoria degli m-l” mi dispiace, ma poco importa.
È un fatto che oggi, come ieri, tanti operai e militanti ripetono come i pappagalli le chiacchiere che la borghesia dice da tempo per denigrare l’operato politico del marxismo-leninismo. Sotto le sue bandiere altri operai e militanti, di ben altra stoffa, hanno inflitto dure sconfitte ai capitalisti, durate decenni in Unione Sovietica e Albania.
Se poi le rivoluzioni sono tornate indietro e la borghesia ha ripreso il sopravvento non c’è da meravigliarsi: la lotta di classe continua anche durante il socialismo e se si compiono errori se ne pagano le amare conseguenze.
Resta però il fatto che né trotzkisti, né anarchici, né revisionisti e proudhoniani di ogni risma sono stati in grado di realizzare ciò che hanno compiuto gli operai e i militanti marxisti-leninisti.
Quindi sarebbe bene, per tutti coloro che si avventurano su questo terreno, almeno studiare, riflettere, conoscere, approfondire con onestà intellettuale, invece di ripetere, con il solito pressapochismo, le litanie vigliacche della borghesia.
Quanto sopra per rispetto verso gli operai e i militanti che, superando immani difficoltà e anche a prezzo della propria vita, hanno realizzato, a livello mondiale, i primi esempi duraturi di liberazione sociale della classe operaia e delle altre masse diseredate.