Caro Operai Contro, in un rapporto della Cgil, salari, stipendi, e redditi, sono la stessa cosa. Ecco l’articolo del “fatto quotidiano”.
Saluti da un lettore.
Tra 2000 e 2013 il reddito dei lavoratori è calato, mentre è cresciuto quello di imprenditori e professionisti. I contratti nazionali hanno contenuto gli effetti dell’inflazione, ma non abbastanza: il reddito disponibile ha registrato una perdita di circa 8.312 euro per le famiglie dei dipendenti, a fronte di un guadagno di 3.142 euro per quelle di professionisti e imprenditori. È quanto emerge dal rapporto sui salari dell’Isrf Lab curato dal segretario generale della Fisac Cgil, Agostino Megale, con la collaborazione di Nicola Cicala. La scure del fisco, si legge nello studio, si è abbattuta sui salari determinando “un vero e proprio crollo”: se la pressione fiscale nel 2013 sui redditi da lavoro fosse rimasta quella del 1980, il salario netto mensile sarebbe stato pari a circa 1.600 euro invece di poco più di 1.300. Evitando così una perdita di circa 300 euro al mese, pari a circa 3.500 euro di tasse in più pagate dai lavoratori ogni anno.
“Stipendi più bassi del 10% rispetto a quelli tedeschi”. E i giovani prendono meno che in anni 70 – Lo stipendio netto mensile medio di un lavoratore italiano nel 2013 è stato di 1.327 euro, ma a restare sotto la soglia dei mille euro sono tra i sei e i sette milioni di persone, in particolare i giovani. “Un giovane neolaureato, peraltro mediamente precario, se va bene oscilla tra gli 800 e i 1.000 euro mensili fino a 35 anni”, osserva Megale, “mentre oltre sette milioni di pensionati percepiscono meno di 1.000 euro mensili”. E se il salario netto si è attestato su poco più di 1.300 euro al mese, il raffronto con quello di un lavoratore tedesco è impietoso: quest’ultimo, come si sottolinea nello studio, “guadagna in media 6mila euro in più l’anno”. Tra i più colpiti dalla questione salariale ci sono i giovani. Il rapporto denuncia, infatti, “come un giovane degli anni ’70 guadagnasse mediamente il 10% in più della media nazionale, negli anni della crisi invece ne porta a casa il 12% in meno”.
I top manager prendono in anno quanto un dipendente in tre vite – Per un dipendente 225 anni Per un lavoratore dipendente ci vogliono in media 225 anni, “ben oltre due secoli”, per guadagnare quanto un top manager incassa in 365 giorni. Il salario medio dei dipendenti infatti si attesta sui 28.593 euro mentre i compensi dei top manager viaggiano sui 6,5 milioni di euro. “Nel 1970 un manager guadagnava 20 volte più di un operaio mentre oggi arriviamo a picchi oltre le duecentocinquanta volte”, osserva Megale.
Al centro del rapporto, la diseguaglianza nella distribuzione del reddito – Il testo, che verrà presentato lunedì 15 settembre alla festa dell’Unità di Bologna dallo stesso Megale e dal responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, analizza le dinamiche che si riflettono sul salario, dalla crisi al peso del fisco e dell’inflazione passando per la scarsa produttività di “sistema”, il tutto a partire dal tema della diseguaglianza nella distribuzione del reddito. Prendendo in analisi “gli anni della recrudescenza della crisi”, ovvero i quattro anni che vanno dal 2010 al 2013, nel rapporto dell’istituto di ricerche della Fisac emerge che ”l’inflazione effettiva accumulata è stata pari al 9,1% a fronte di retribuzioni contrattuali cresciute del 6,9% che, al netto delle tasse, si riducono al 6%”. Si è registrata così, in questi ultimi quattro anni, una perdita secca pari al 3,1%.
“Il problema della nostra economia è la riduzione degli investimenti” – Per quanto riguarda, invece, l’anno in corso, le previsioni dello studio, alla luce della “positiva riduzione fiscale degli 80 euro”, sono di una crescita delle retribuzioni nette del +2,6%, frutto degli effetti di un’inflazione pari, a fine anno, a +0,3%, una crescita delle retribuzioni contrattuali dell’1,6% e gli 80 euro di minori tasse decise dal governo per 10 milioni di lavoratori sotto i 1.500 euro al mese. Se questi sono i numeri che descrivono lo stato dei salari, Megale ne analizza anche le cause di fondo: “Il problema della nostra economia – afferma – è la contrazione degli investimenti, sia pubblici che privati: mentre lo Stato si trova a fare i conti con i vincoli di bilancio, le banche hanno ridotto dal 2011 a oggi di 63 miliardi di euro il credito concesso a famiglie e imprese”.
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