DAL FATTO QUOTIDIANO
Venticinque milioni cercansi. L’odissea di Termini Imerese è bloccata da questa cifra. Venticinque milioni rappresentano l’ammontare del capitale sociale di Grifa, Gruppo italiano fabbrica automobili, la società che si è candidata per rilanciare, producendo auto ibride, lo stabilimento fermato da Fiat. Peccato che quei 25 milioni, ad oggi, non ci siano. Sulla scena hanno fatto la loro comparsa un’azienda novarese attiva nel campo dell’energia, una società con sede nel Delaware e una banca, ma i contorni di questo improvviso lancio di salvagente sono ancora tutti da definire.
Di certo c’è che il capitale sociale di Grifa (equivalente, appunto, a 25 milioni) è rappresentato dalle quote di un’altra società energetica, la Energy Crotone 1, che si dovrebbe occupare di campi eolici ma, di fatto, non ha mai avviato l’attività. Ma Grifa ha promesso, più volte, che quei 25 milioni si trasformeranno in contanti. Lo ha promesso a quanti le chiedevano garanzie sulla sua solidità finanziaria: ai sindacati, al ministero dello Sviluppo economico e ai futuri soci del Banco Rio de Janeiro. Già, perché l’investimento a Termini Imerese si farà solo con un aiuto dal Sud America. Un fondo partecipato e amministrato dall’istituto di credito brasiliano dovrà procedere a un aumento di capitale da 75 milioni, per arrivare a un totale di 100. Ma i sudamericani sono stati chiari: in una lettera inviata al Mise e alla stessa Grifa hanno scritto che concluderanno l’operazione solo quando i famosi 25 milioni saranno convertiti in contanti.
Ed ecco, allora, che qualcosa sembra muoversi in questo senso. Il 5 agosto è stata costituita una società battezzata Sequoia Energy Italy, controllata da Grifa. L’azienda si occupa, ancora una volta, di “impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili”. E il capitale sociale, manco a dirlo, è pari a 25 milioni di euro. Il 6 ottobre, Grifa ha venduto questa società alla Elettra Progetti e Servizi, azienda di Novara attiva nel settore dell’energia. Nel dettaglio, la compagnia dichiara di occuparsi di “direzione lavori ed assistenza di impianti e sistemi nel settore petrolifero, petrolchimico, chimico, energia e manifatturiero”. Elettra controlla diverse società anche all’estero, in particolare Nigeria, Arabia Saudita, Brasile e Guinea Equatoriale, con l’obiettivo di acquisire contratti d’appalto nei rispettivi Paesi.
L’impresa è in mano a una holding che, a sua volta, è controllata al 51% da una società, la Gh Capital Inc, con sede a Wilmington, Stati Uniti. Non è una città qualunque. Si trova nel Delaware, lo stato Usa con la fama mondiale di paradiso fiscale. E Wilmington è considerata la capitale delle registrazioni societarie: il civico 1209 di North Orange Street, solo per fare un esempio, è la sede di oltre 285mila società, un record mondiale. A un quarto d’ora di macchina, ecco invece la sede della Gh Capital.
Tornando dal Delaware a Novara, rimane un nodo da sciogliere: dove Elettra, che vanta un capitale sociale di 1,5 milioni, abbia trovato i soldi per chiudere un’operazione da 25 milioni. E qui torna in campo il Banco Rio de Janeiro. “La vendita prevede che solo una quota sia versata in contanti – spiega Marcello Gianferotti, procuratore dell’istituto di credito brasiliano – Il pagamento sarà dilazionato. E la liquidità necessaria per la compravendita sarà anticipata da una banca, che ha confermato l’operazione al nostro istituto”. Questa conferma, tuttavia, sarebbe avvenuta attraverso “uno scambio verbale“. Resta da capire quale sia l’istituto di credito in questione, perché Gianferotti sostiene di non saperlo.
Nega ogni coinvolgimento Unicredit, il cui consigliere Marianna Li Calzi era stato indicato da Grifa quale suo futuro presidente, una circostanza poi smentita dalla stessa interessata. Dalla banca fanno sapere di non avere finanziato alcuna operazione in cui sia coinvolta la società delle macchine ibride. Anzi, non escludono di valutare se ci siano gli estremi legali per agire nei confronti di Grifa. Se la misteriosa banca avesse versato l’anticipo, i pretendenti di Termini Imerese dovrebbero avere in pancia i famigerati 25 milioni. Eppure, dal Banco Rio de Janeiro fanno sapere di non aver avuto notizia di una conversione del capitale in contanti. E senza questo passaggio, non si procede alla ricapitalizzazione.
Morale della favola, a Termini Imerese resta tutto fermo, mentre il tempo passa. E si avvicina la scadenza della cassa integrazioneper i 1.100 dipendenti, prevista per fine dicembre. Gli operai, intanto, sono venuti a conoscenza dell’offerta di Fca per unincentivo all’esodo. All’ultimo incontro con i sindacati al ministero dello Sviluppo, il Lingotto ha proposto una cifra pari a circa 25mila euro per un massimo di 200 persone: Torino ha messo sul piatto 5,1 milioni di euro per garantire una buonuscita ai lavoratori di Termini Imerese. Insomma, poco più di un anno di stipendio: una cifra considerata troppo bassa dai sindacati, che chiedono invece di arrivare almeno a 40mila euro. E soprattutto pongono una condizione. “Senza l’ok di Invitalia – ha detto il segretario provinciale della Uilm Vincenzo Comella – alla solidità finanziaria di Grifa e al piano del gruppo per Termini Imerese, non firmiamo alcuna intesa”. Ma le certezze sulla solidità finanziaria sembrano ancora lontane.
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