Redazione di OperaiContro,
domani lunedì 16 marzo le prime 8 delle 40 ore di sciopero che l’assemblea degli operai della COOP COSTRUZIONI di Bologna ha deciso di mettere in campo contro i 200 licenziamenti (su 400 operai totali) che sempre più si avvicinano. Previsto presidio sotto Palazzo Malvezzi, sede della Provincia. La scadenza è il 7 maggio prossimo. Manca la volontà di ricorrere agli ammortizzatori sociali, a detta del presidente Luigi Passuti, il quale si è già incontrato in Comune con le istituzioni ed il presidente di Legacoop Bologna, Simone Gamberini.
Venerdì prossimo 20 marzo è in calendario l’assemblea con la votazione per il piano da 200 esuberi.
A seguire l’intervista ad un socio lavoratore pubblicato da “Il Corriere della Sera” edizione Bologna.
BOLOGNA – Venerdì prossimo l’assemblea dei soci di Coop Costruzioni sarà chiamata a votare il piano di riorganizzazione che prevede 200 esuberi tra i suoi 400 lavoratori. Molti lavoratori-soci potrebbero trovarsi nella condizione di dover approvare il proprio licenziamento. Salvo che, prima di quella data e in virtù delle decisioni prese lunedì al tavolo di crisi, la presidenza non cambi idea e decida di usare delle tutele a sostegno economico dei dipendenti. «Come succede alla Iter di Lugo, la davano per spacciata e invece continua ad andare avanti con gli ammortizzatori sociali a rotazione». A parlare è un lavoratore di Coop Costruzioni di cui conosciamo nome e ruolo, ma che per ovvie ragioni preferisce rimanere anonimo. È infatti in bilico tra i 200 da mettere in mobilità. In questi giorni vede passare davanti tutto quello che è stato (e che è cambiato) dell’azienda di cui è anche socio da oltre 20 anni. In passato per diventarlo non c’era selezione: chi voleva poteva fare una richiesta, controfirmata da circa altri 3 soci («si veniva diciamo presentati»), e il cda la accettava. Bastava essere persone di comprovata morale. «A fine anni 2000 però non si voleva allargare troppo i soci, ora però si è tornati ai primi tempi».
Il secondo passaggio era versare la quota sociale minima, anche a rate, «credo sia di 2.000 euro». Ma un tempo era di 50 euro, «quando il regolamento è stato modificato è stato chiesto a tutti di adeguarsi alla nuova quota minima». «Negli anni buoni una parte dei proventi poteva essere usata per aumentare il capitale sociale, veniva cioè dato un ristorno al socio e il socio era obbligato a versarlo nel suo capitale. Che poteva crescere negli anni. Come una spa con i dividendi. In quei tempi arrivavano anche 500 euro. Ci sono soci che hanno 6-7.000 euro di capitale». Ma come nelle spa, il capitale sociale è a rischio, quindi in caso di default dell’azienda, spiega ancora il dipendente, le quote non vengono restituite. «L’unico benefit per un certo periodo, a metà anni 2000, è stata la suddivisione tra i soci delle azioni di società cooperativa (asc). Quando si chiudeva il bilancio, il cda decideva di destinare una somma tra i soci. Se per esempio erano 300mila euro tra 300 soci, diventavano 1.000 euro a testa, che però non andavano nel capitale sociale. C’era il vincolo per 2-3 anni di non ritirarli». Cosa potrebbe succedere a questo tesoretto ora con la crisi di Coop costruzioni? Se il socio venisse licenziato, continua il dipendente, alla prima assemblea di bilancio decadrebbe da socio lavoratore e potrebbe diventare socio sovventore, come prevede la legge. In questo caso le quote sociali rimarrebbero, se no gli potrebbero venir restituite. «Sempre che l’azienda sia viva e vegeta. Se no le perde».
Le differenze tra soci e lavoratori sono minime, ma significative. Se i regalini delle Befana per i figli erano uguali per tutti, gli anziani potevano ricevere a Natale una cesta più sostanziosa. I soci, poi, rispetto ai non soci, hanno gli stessi doveri, ma in più godono del diritto di esprimersi nell’assemblea, che è quella che elegge il consiglio di amministrazione: e chi viene eletto deve essere socio. Gerarchicamente in basso sta l’assemblea, sopra il cda e sopra ancora i dirigenti. «E ora siamo al punto che il socio si deve autolicenziare, è una contraddizione di forma — è il ragionamento — dentro il cda ci sono persone che in larga parte non sono dirigenti e quadri, ma operai o impiegati. In teoria il regolamento impedisce ai dirigenti di entrare in cda per evitare che il controllore sia anche il controllato». Il discorso a questo punto si allarga. In ballo, come dice il socio stesso, c’è la sopravvivenza politica delle cooperative, strette tra la visione romantica «bersaniana-dalemiana», e quella «renziana» che è molto più limitata: la coop, se è veramente tale, deve dedicarsi solo al sociale.
«Entrambe le interpretazioni hanno punti di forza e lati deboli. Nel Reggiano i fuoriusciti dalla Unieco, dalla Coop Muratori di Reggiolo e dalla Cdc di Modena stanno formando srl e spa, abbandonando lo schema cooperativa e pare che questa operazione sia avallata da Roma». In che senso? «Ha presente il ministro Delrio che è di Reggio? Pare che questa sia la nuova “vision”. Viceversa a Bologna e Imola si è rimasti aggrappati al vecchio, con le conseguenze del caso. Purtroppo il problema è che una vera proprietà nelle grandi cooperative non c’è, dispersa com’è tra 400 soci, che quando decidono sono di parte. Forse è vero: le uniche coop rimaste veramente come un tempo sono quelle del sociale».
14 marzo 2015
Andrea Rinaldi
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