Redazione di Operai Contro,
la prossima settimana Renzi e Marchionne verranno alla sata di Melfi.
Renzi elogia Marchionne
Penso che sia necessario ripubblicare la lettera delle operaie di Merlfi
Un operaio
Da qualche settimana è iniziata la sperimentazione dei nuovi turni alla
FCA di Melfi ed è già possibile descrivere una situazione tutt’altro che
felice per noi donne. Si lavora sei mattine, dalle 6 alle 14, da lunedì
a sabato; poi si riattacca domenica sera alle 22, per quattro notti di
seguito; poi due giorni di riposo, tre pomeriggi di lavoro (compresa una
domenica), due giorni di riposo, tre notti di lavoro, due riposi e altri
quattro pomeriggi di lavoro. Finalmente una domenica di sosta, ma lunedì
alle 6 si ricomincia daccapo. È come vivere in un continuo cambio di
fuso orario.
Già i primi dieci giorni ci hanno sfinite, le ore in fabbrica si
trascorrono in piedi davanti a una catena sempre più veloce perché,
grazie al “sistema migliorativo Ergo uas”, tutto il materiale ci arriva
direttamente in postazione su carrellini trainati dai robot
automatizzati che spesso perdono pezzi per strada o si fermano e non
vogliono saperne di ripartire. Loro non sentono le minacce dei capi,
decidono di non lavorare più e così è se vi pare. Le operazioni sono
tutte cronometrate e le postazioni saturate; in teoria dovremmo star
ferme ad assemblare comodamente tutto ciò che ci arriva ma in realtà si
cammina, anzi, si insegue la linea e ci si “imbarca”, ossia ci si
allontana sempre di più dai confini della postazione disegnati sul
pavimento. Basta un qualunque imprevisto, una vite sfilettata o un
semplice starnuto, per rendere spasmodica la risalita. A volte ci
paragoniamo ai salmoni e speriamo che non ci attenda la stessa sorte.
Quando si avvicina la pausa c’è il conto alla rovescia dei minuti e
scherzando ci chiediamo cosa riusciremo a fare in quei dieci minuti:
andiamo al bagno, fumiamo o mangiamo qualcosa? Magari potremmo fare la
fila davanti al bagno mangiando il panino, nella peggiore delle ipotesi
almeno una cosa l’avremo fatta!
I bagni sono pochi rispetto al numero delle persone, così anche i
distributori di caffè e merende circondati da sei o sette sedie –
pochissime – a creare una piccola area relax; le file sono lunghe e il
caffè conviene dividerlo con uno o due colleghi. Abbiamo chiesto più
bagni o qualche minuto in più di pausa: qualche capo spiritoso ci ha
suggerito di non bere per ridurre le esigenze fisiologiche. Chi
trascorre la pausa in postazione si appoggia ai cassoni o si siede su
una cassettina vuota e, anche se non si potrebbe fare, mangia qualcosa.
I primi dieci giorni consecutivi di lavoro sono stati devastanti,
avevamo i polsi, i polpastrelli e tutti i muscoli indolenziti. I due
giorni di riposo li avremmo dedicati alle faccende di casa, in teoria,
ma la stanchezza era tanta e non siamo riuscite a fare tutto. Al rientro
in fabbrica avevamo la sensazione di non esserne mai uscite, nessuna di
noi è riuscita a realizzare tutti i propositi in quei due giorni e
qualche capo, sempre più spiritoso, ha suggerito di mettere “un aiuto in
casa”. Magari che si occupi anche dei nostri affetti? No grazie!
Seguire i bambini e aiutarli nei compiti è un’altra impresa: durante il
turno di pomeriggio non riusciamo quasi a vederli, mentre con i turni di
mattina e notte cerchiamo di recuperare e di dare il massimo. A volte
tentiamo di colmare l’assenza facendo loro dei regali, oppure siamo
eccessivamente tolleranti, altre volte invece ci si arrabbia per poco o
niente a causa del nervosismo e della stanchezza. Sono molti i casi di
coniugi che si sono separati e lavorano in squadre diverse per far sì
che uno dei due sia a casa in assenza dell’altro, ma con la nuova
turnazione ci ritroviamo a fare anche due turni diversi nella stessa
settimana e se uno dei coniugi è stato posizionato sulla linea di
produzione della Grande Punto, dove si lavora una settimana di mattina e
una di pomeriggio, capita di ritrovarsi nello stesso turno per cui
bisogna cercare una persona affidabile che accudisca i bambini in nostra
assenza e che abbia la possibilità seguire questi nuovi orari.
Intanto sono arrivati i nuovi assunti, tanti ragazzi e ragazze che
potrebbero avere l’età dei nostri figli; alcuni hanno iniziato con
entusiasmo, altri con rassegnazione: tutti hanno portato una ventata di
freschezza e di novità. I loro giovani volti sono già segnati dalle
occhiaie, spesso l’auto dell’infermeria passa per soccorrerli, qualcuno
ha già mollato, qualcun altro è stato più fortunato e si trova a
svolgere un lavoro meno faticoso. Lavorare con questi ragazzi in
difficoltà mette una grande tristezza e la voglia di aiutarli in qualche
modo, ma non poterlo fare ci da un senso di impotenza.
È opinione comune che noi topolini di questo grande laboratorio siamo
fortunati: a Melfi si lavora! E in effetti ci sentiamo stanche e
indolenzite ma anche fortunate. Viene da chiedersi se non sarebbe più
giusto ripartire questa “grande fortuna” con altri operai, diminuendo le
ore di lavoro e aggiungendo altri turni come hanno fatto i nostri
colleghi tedeschi in passato, con ottimi risultati. Siamo come i salmoni
che risalgono la corrente quando cerchiamo di recuperare la postazione;
siamo i robot instancabili che non devono conoscere le festività; siamo
i topolini di un nuovo esperimento. Siamo le fortunate operaie di Melfi.
(ape operaia)
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