Adnkronos
Si continua a fuggire dai conflitti, si continua a salire sui barconi della speranza, si continua a morire in mare. Una traversata che conta dall’inizio dell’anno già 244 vittime (218 nell’Egeo e 26 nel Canale di Sicilia). Si vanno ad aggiungere al drammatico bilancio del 2015 con 3.771 morti nel Mediterraneo. E gli arrivi non sembrano arrestarsi: 52.000 persone sono giunte in Grecia solo nel mese di gennaio, riferisce all’Adnkronos il portavoce dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) Flavio Di Giacomo. “In Italia si sta per superare quota 4.000, anche se gli arrivi ufficiali nel 2016 sono 3.500 ma in realtà domani arriveranno altri 400 migranti“. Nel 2015 in Grecia sono arrivati in totale 847.000 migranti.
“Un numero importante”, commenta Flavio Di Giacomo perché “la rotta turco-greca è stata inattesa”. Ma allargando il quadro oltre l’Europa, “abbiamo più di 2 milioni di rifugiati siriani in Turchia, 1,5 milioni in Libano, circa 500.000 in Giordania”. Tutto quello che sta succedendo “è senza dubbio un banco di prova per l’Europa ma fa parte di una crisi molto più grande derivante da situazioni difficilissime che si registrano poco lontano da noi: in Siria, Iraq, Yemen, Libia, Nigeria, Somalia”. E “chiudere le frontiere non è una soluzione”, aggiunge Di Giacomo.
“Se si chiude una frontiera, si apre un’altra via che solitamente è molto più pericolosa per i migranti stessi che non hanno altra scelta che lasciare la loro patria”, spiega il portavoce dell’Oim.
Al momento per chi scappa dalla guerra in Siria ha due vie di accesso all’Europa: “chi parte dalla Turchia e arriva in Grecia cercando poi la rotta balcanica. E quelli che partono dalla Libia: non potendo tornare indietro per ragioni che hanno a che fare con violenza e violazione dei diritti, non gli resta altro che salvarsi la vita salendo su un barcone alla volta dell’Italia”, dice Di Giacomo sottolineando che si tratta per la stragrande maggioranza di rifugiati o migranti vulnerabili che scappano da situazioni di pericolo. Sono dunque “questioni umanitarie che vanno affrontate non chiudendo le frontiere ma avviando una politica a medio e lungo che possa alleggerire questo fenomeno”.
Parlando degli hotspot (Lampedusa, Trapani e Pozzallo) Di Giacomo afferma che “in questo momento il loro compito è quello di rafforzare le procedure di identificazione visto che negli ultimi anni soprattutto siriani ed eritrei hanno cercato di non farsi identificare vedendo nell’Italia un paese di transito. Ad ogni modo il Viminale ha dimostrato che all’80% dei migranti gli sono state prese le impronte”. Bisognerebbe, secondo Di Giacomo, anche “rafforzare il meccanismo di ricollocamento che finora ha registrato piccoli numeri”.
Quanto ai rimpatri, “se sono lenti è perché non ci sono accordi di riammissione con i paesi di provenienza dei migranti. Se si vuole rimpatriare un migrante nel suo paese d’origine, serve la collaborazione del governo di quello Stato in caso, per esempio, di assenza di documenti di riconoscimento: se questa collaborazione non c’è va da sé che l’operazione di rimpatrio è difficile”. Diventano necessari quindi accordi bilaterali che non sempre è possibile ottenere. In questo contesto, aggiunge Di Giacomo, “bisognerebbe pensare a rafforzare i ritorni volontari assisti”.
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