Redazione di Operai Contro,
Il servo dei padroni Hollande non torna indietro.
Gli operai e i giovani francesi neanche
I padroni vogliono la guerra contro gli operai e avranno la guerra
Il Jobs act aumenta la flessibilità del lavoro, facilita i licenziamenti e riduce i ricorsi davanti ai giudici
La lotta di strada è importante perché gli operai si preparano all’insurrezione
La lotta degli operai e dei giovani Francesi è la lotta degli operai e dei giovani di tutto il mondo contro il capitalismo
Un operaio Francese
Cronaca della Repubblica
La Francia non torna indietro sulla legge del lavoro. E i francese scendono i piazza per protestare. Il Paese si è svegliato con un botta e risposta a distanza tra il presidente, Francois Hollande e i sindacati. Dopo l’approvazione delle legge senza il voto del Parlamento che ha diviso la sinistra perché aumenta la flessibilità del lavoro, facilita i licenziamenti e riduce i ricorsi davanti ai giudici, l’Eliseo ha detto: “Non torno indietro. Questo legge passerà, perché è stata discussa, emendata e corretta. Non cederò perché troppi governi hanno già ceduto… Perché io stesso, in circostanze non facili, ho trovato un compromesso, un equilibrio, perché i sindacati riformisti appoggiano questo testo e c’è una maggioranza di socialisti che sono favorevoli”.
Con questa legge Hollande cerca di risollevare l’economia del Paese nella speranza che la disoccupazione scenda sotto il 10% con l’ambizione di giocarsi le sempre più flebili chance di rielezione. Philippe Martinez, segretario generale della Cgt, replica duro al presidente e chiama a raccolta i lavoratori perché generalizzino gli scioperi: “Hollande ha le orecchie bucate – dice Martinez a radio Europa 1 – Quando ci sono tanti cittadini che si oppongono a un progetto di legge, quando ci sono tante manifestazioni che perdurano nel tempo, allora, occorre ascoltare il popolo”. Le mobilitazioni da inizio anno in Francia sono già state sette con quelle del 31 marzo che ha radunato nella piazze del Paese quasi 400mila persone: “Siamo entrati in fase – dice il sindacalista – in cui i salariati hanno deciso di farsi ascoltare con forza. La legge non è ancora stata approvata e, anche una legge approvata può essere ritirata”. La legge infatti deve essere ancora discussa in Senato in prima lettura, prima dell’ultimo doppio passaggio alle Camere.La legge. Come in Italia, l’obiettivo è quello di rendere più flessibile il mercato del lavoro in entrata e in uscita, di ridurre il costo dei licenziamenti e – soprattutto – la discrezionalità dei giudici sulle indennità ad “eccezione di fatti di particolare gravità da parte dell’azienda”. Sul fronte delle 35 ore, invece, Parigi mette mano a una legge che per i francesi è intoccabile allargando le maglie della flessibilità sull’orario settimanale e tagliando la retribuzione degli straordinari. Per gli oppositori – e l’ala sinistra del partito socialista – la riforma è troppo favorevole alle imprese, mentre per il mondo confindustriale i passi indietro dell’esecutivo sulle 35 ore e sui licenziamenti sono già una catastrofe. Il governo ha cercato di accontentare tutti finendo per deludere ogni interlocutore: sui licenziamenti economici – per esempio – non sarà sufficiente invocare un periodo di crisi delle filiali francesi di un azienda, mentre a livello di contrattazione quella aziendale supererà quella nazionale.
Le 35 ore. E’ uno dei punti più delicati dell’intera riforma. Il codice del Lavoro permette già il passaggio a un massimo di 60 ore settimanali in deroga per “circostanze eccezionali”. Il tempo massimo di lavoro settimanale medio, però, non può superare le 44 ore su un periodo di 12 settimane. Il governo, invece, vorrebbe portare il calcolo della media a 16 settimane permettendo di aumentare l’orario – in base ad accordi aziendali o di settore – a 46 ore. Le critiche alla proposta sono rivolte proprio ai rapporti di forza tra le imprese e gli addetti con le prime che hanno a disposizione diversi strumenti per costringere i dipendenti ad accettare gli accordi: per esempio potrebbero minacciare di denunciare un calo della produttività o del fatturato, facendo scattare licenziamenti economici legittimi. A preoccupare i sindacati, poi, è il taglio proposto agli straordinari: oggi le prime otto ore oltre le 35 settimanali sono pagate il 25% in più, le successive il 50% in più. Valls, invece, propone di ridurre il costo mantenendo un plafond minimo del 10%: inoltre i dipendenti potrebbero chiedere di recuperare le ore di lavoro in un arco di tempo che si allarga fino a tre anni. Valls ha ribadito, però, che la trattativa collettiva resterà centrale per le decisioni sul tempo di lavoro, ovvero sulla possibilità che in un’azienda i dipendenti lavorino più di 35 ore a settimana, e non ci potranno essere modifiche alle regole vigenti in mancanza di un accordo.
Le indennità. Oggi, i giudici hanno mano libera: possono decidere il reintegro del lavoratore o stabilire un risarcimento senza alcun tetto. Esiste solo una base di partenza per il risarcimento che da un minimo di sei mesi di salario oltre all’indennità di preavviso può salire a qualsiasi cifra. Come in Italia, però, le aziende chiedono costi certi per far ripartire l’occupazione e nonostante i risultati nella Penisola non siano ancora entusiasmanti, Parigi vorrebbe allinearsi. La proposta prevede tutele crescenti con il tempo, ma dopo gli scioperi di massa Valls ha fatto marcia indietro spiegando che quelle del governo saranno “indicazioni di massima”. Resta quindi l’indennità di preavviso, ma in caso di licenziamento illegittimo scompare il reintegro così come il risarcimento minimo pari a sei mesi di stipendio. Come in Italia, l’esecutivo propone indennità crescenti con l’anzianità aziendale non si tratta, come detto, di tetti massimi, ma indicativi: 15 mesi di salario per i lavoratori con almeno 20 anni di servizio; 12 mesi per quelli con 10-20 anni; nove mesi con 5-10 anni;sei mesi con 2-5 anni; tre mesi al massimo per tutti gli altri. In questo senso la norma italiana è più generosa nei confronti dei dipendenti che hanno diritto a due mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di quattro e un massimo di 24 stipendi.
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