Redazione di Operai Contro,
vi invio un articolo di Rampoldi dal fattoquotidiano
Salutata come una prova di fermezza dalla vasta area dell’informazione renziana, la decisione del Senato di sospendere le forniture di pezzi di ricambio per gli aerei F-16 egiziani appare, se osservata nei suoi passaggi formali, una prova di contorsionismo che non fa onore al governo e all’Italia. Il relatore della proposta, Gian Carlo Sangalli (Pd), è parso quasi imbarazzato e ha tenuto a dire che l’iniziativa voleva segnalare la volontà italiana di conoscere la verità sulla morte di Giulio Regeni, ma non andava interpretata come un atto ostile all’Egitto di al-Sisi, di cui restiamo amici. Il sottosegretario Della Vedova ha rinunciato ad esporre la posizione del governo, casomai al Cairo si fossero risentiti, e si è rimesso alle volontà dell’aula. La destra ha lamentato che gli F-16 egiziani sono impegnati nella guerra al terrorismo, in cui siamo alleati di al-Sisi. Nei giorni successivi il governo, come ha scoperto Antonio Pitoni per ilfattoquotidiano.it, ha autorizzato la società Area ad esportare in Egitto un “sistema di monitoraggio delle comunicazioni su rete funzionante con protocollo internet”, insomma un software di spionaggio elettronico. Acquirente: il Consiglio nazionale di Difesa, Ndc, formato dai 20 generalissimi autori del golpe del 2013 e oggi registi con al-Sisi della repressione.
Non è il caso di cercare una logica in tutto questo: non c’è. Fatte salve non poche eccezioni, i parlamentari non sentono bruciare sulla pelle lo scandalo dell’uccisione di quel ragazzo, né delle altre migliaia di uccisioni avvenute nello stesso modo. Ma poiché i genitori di Giulio Regeni hanno emozionato l’opinione pubblica, occorreva dare una qualche risposta alle loro sollecitazioni. La politica è comunicazione, suvvia. Dunque, non più pezzi di ricambio per gli F-16. L’Egitto non avrà difficoltà ad ottenerli dagli amici del Golfo e noi potremo dire che l’Italia ha ‘fatto qualcosa’, sia pure dopo cinque mesi e in quel modo timoroso. Dal che si capisce che Giulio Regeni e l’Italia, quest’Italia, non erano fatti per intendersi. Troppo diritto e rigoroso Regeni, troppo fiacco e contorto il Paese quale si mostra in Parlamento e nell’informazione. Non si intendono neppure adesso che Giulio è morto. Leggi cronache e dichiarazioni in cui avverti una specie di risentimento, si vuole Regeni spia della Perfida Albione, oppure uno sprovveduto, comunque strumento di un complotto per screditare al-Sisi e il suo estimatore Renzi. Nessun giornale ha evitato di lordarsi con queste supposizioni, tuttora riproposte in internet da schiere di impudichi trolls.
Così non sorprende che dopo cinque mesi Parlamento e informazione tuttora tacciano sulle dichiarazioni di stima e di amicizia verso al-Sisi che Renzi fece in tre diverse occasioni, quando già il rais egiziano era noto al mondo per aver fatto massacrare 1150 egiziani inermi in una giornata. Pare sia normale, in questa Italia, lodare come grande statista e amico fraterno un criminale di quella statura. In ogni caso non colpisce, non impressiona. Eppure non è questione di esperienza del mondo, un tratto che manca alle biografie della classe politica. Anche chi del pianeta conosce solo le spiagge di moda è in grado di intendere cosa è un sistema di potere che ammazza con la tortura. Se non ci riesce è perché gli mancano i fondamentali: alcuni valori universali, la dignità, quel minimo di compassione che permette di sentirsi parte di una comunità umana. Quel di più in virtù del quale la mera gestione degli interessi nazionale diventa una politica estera.
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