RENZI: LA DEMOCRAZIA PIU’ VELOCE

Redazione di Operai Contro, Renzi è tornato da Rio. Sarebbe meglio dire che lo hanno cacciato. Renzi voleva fare la gara di velocità dei 100 metri. Si vantava di essere più veloce di Bolt. Renzi voleva nuotare al posto della Pellegrini. Affermava di esserer più forte. Non c’era specialità in cui il nostro eroe non era il primo. Alla fine il comitato Olimpico ha deciso di levarselo di torno. Renzi ha vinto la medaglia d’oro del ballista.. Renzi è tornato in italia e ha sparato subito un’altra cazzata. Se voterete Si al Referendum sulla riforma costituzionale avrete ” Una […]
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Redazione di Operai Contro,

Renzi è tornato da Rio. Sarebbe meglio dire che lo hanno cacciato. Renzi voleva fare la gara di velocità dei 100 metri. Si vantava di essere più veloce di Bolt. Renzi voleva nuotare al posto della Pellegrini. Affermava di esserer più forte. Non c’era specialità in cui il nostro eroe non era il primo. Alla fine il comitato Olimpico ha deciso di levarselo di torno. Renzi ha vinto la medaglia d’oro del ballista..

Renzi è tornato in italia e ha sparato subito un’altra cazzata. Se voterete Si al Referendum sulla riforma costituzionale avrete ” Una democrazia più veloce”. Che cosa sia una democrazia più veloce non lo sa neanche lui, ma la frase è bella

Un Pisano

dal fatto

“Una democrazia più veloce”. Matteo Renzi lo ripete spesso quando magnifica la sua riforma costituzionale. Ma che vuol dire? Angelino Alfano, che è comunicativamente meno scaltro, la mette così: “Leggi più veloci”. In un articolo per l’Unità del 16 marzo, Maria Elena Boschi scriveva quanto segue: “Già nell’Assemblea Costituente, Calamandrei intervenne ricordando come il vero rischio della democrazia è quello di governi che non sono in grado di decidere. Abbiamo bisogno di capacità decisionali e di procedimenti legislativi più rapidi e non di un sistema immaginato e pensato a quei tempi, in cui forse si credeva si dovesse decidere raramente”. Bisogna decidere e farlo in fretta. Sembra un argomento di buon senso, ma non lo è. I motivi sono (almeno) due: non risulta che la fretta sia mai stata buona alleata della politica (ricordate gli esodati?) e non è affatto vero che si producano poche leggi e in tempi biblici. La verità è che da tempo, e mai come in questa legislatura, il Parlamento s’è assunto un ruolo servile rispetto al governo, lasciandosi sottrarre l’intera funzione legislativa. Se a questo si aggiunge che spesso il governo legifera su espresso ricatto (il “Tina”, There is no alternative, non c’è alternativa) delle istituzioni europee o dei famosi “mercati” si capisce quanto siamo lontani da “la sovranità appartiene al popolo” dell’articolo 1 della Costituzione.

Le statistiche ufficiali contro i luoghi comuni
I numeri, in ogni caso, smentiscono che ci si trovi di fronte a un processo legislativo che impedisce decisioni veloci. Quelli della XVI legislatura (2008-2013) dicono che sono state approvate in tutto 391 leggi: divise per i 1.780 giorni della sua durata, significa una legge ogni 4 giorni e mezzo contando pure i sabati e le domeniche. Di quei 391 testi divenuti legge, peraltro, ben 298 sono di iniziativa governativa e solo 91 frutto di volontà primaria del Parlamento (due dalle Regioni): il tempo medio per approvare un ddl del governo tra il 2008 e il 2013 è stato di 116 giorni, dato che ovviamente scende a meno della metà per i molti decreti legge (che vanno approvati o respinti in due mesi). Le proposte dei parlamentari, invece, ci hanno messo in media 442 giorni per vedere la luce.

E veniamo all’oggi, cioè alla XVII legislatura, iniziata il 15 marzo del 2013. La situazione, se possibile, è ancora peggiorata quanto al rapporto di forza tra governo e Parlamento. Nei 1.240 giorni fino alle ferie di agosto 2016, il Parlamento ha approvato 241 leggi, cioè più o meno una ogni cinque giorni: di queste 196 sono di iniziativa governativa (115 disegni di legge, 68 decreti, 12 leggi di bilancio, un ddl costituzionale), vale a dire oltre l’81%. Venti di queste leggi contenevano deleghe al governo, cioè la rinuncia del Parlamento a legiferare direttamente. Il tempo di approvazione medio è stato di 168 giorni, che scendono a 43 giorni per i 68 decreti e a 52 giorni per le 12 leggi di bilancio. Nello stesso periodo le proposte di iniziativa parlamentare approvate definitivamente sono state la miseria di 43 e con un tempo medio per il via libera di 497 giorni.

Non c’è solo la forza dei numeri, anche la qualità dell’iniziativa legislativa lasciata agli eletti del popolo non è di prim’ordine: le due più importanti leggi uscite dalle Camere sono le “unioni civili” e il cosiddetto “omicidio stradale”, entrambe riscritte dal governo e approvate col voto di fiducia. Il resto è magari sacrosanto, ma di scarso rilievo, soprattutto perché il Parlamento non è sostanzialmente autorizzato a proporre leggi di spesa: dall’istituzione della commissione d’inchiesta sull’omicidio Moro alla “distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi”; dalle “disposizioni in materia di agricoltura sociale” al gioiello della corona, cioè l’ennesima delega al governo (“riforma del sistema dei confidi”).

I risultati di Matteo: Camere dimenticate
Il governo Renzi non fa eccezione, anzi giganteggia: 109 le leggi di sua iniziativa già approvate, con 43 decreti e 13 deleghe di enorme impatto (dal Jobs Act alla riforma Madia, da quella della Rai alla Buona Scuola, eccetera). Nei circa 900 giorni dal giuramento, l’esecutivo in carica ha fatto approvare al Parlamento una legge ogni 8 giorni e per ben 56 volte (l’ultima il 2 agosto) questo è avvenuto col voto di fiducia, un record difficilmente battibile, dovuto più alla volontà di silenziare difficoltà politiche nel rapporto con le Camere che alla fretta.

È appena il caso di notare che questo strapotere sul Parlamento e l’effettiva profondità delle riforme approvate dal governo Renzi sulla scia della famosa lettera “programmatica” della Bce dell’estate 2011 (precarizzazione del lavoro, flessibilità anche nella Pubblica amministrazione, tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni) non paiono aver aiutato granché a migliorare le performance del sistema Paese. Non c’è architettura istituzionale o potenza elettorale che possano impedire a soluzioni sbagliate di rivelarsi dannose.

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