Redazione di Operai contro,
in Egitto sono vietate le manifestazioni del 1 Maggio. il 1 Maggio è un giorno di lavoro come gli altri per gli schiavi salariati. Vi mando un articolo preso da nena- news.it
Un lettore
articolo di Francesca La Bella
Nena News – La Misr Spinning and Weaving Company, complesso industriale tessile sotto autorità statale della città di Mahalla al Kubra sul delta del Nilo, è il più grande del suo genere nella regione MENA con le sue otto fabbriche ed i suoi circa 20.000 lavoratori. Conosciuta anche al di fuori dei confini egiziani per l’attivismo di operai e sindacati nelle lotte contro il governo prima, durante e dopo il periodo della primavera araba, la compagnia è stata anche oggetto di una lunga inchiesta pubblicata dall’Egyptian Journal of Chest Diseases and Tuberculosis.
La ricerca, grazie a numerose interviste e test medici, ha evidenziato un’alta incidenza, con punte nei reparti di filatura del 76%, di problemi respiratori, anche gravi, nei soggetti a diretto contatto con i residui di lavorazione del cotone. Il confronto con il gruppo di controllo ha confermato il rapporto di causa-effetto tra il lavoro nelle fabbriche del complesso e le malattie respiratorie analizzate.
Dati che confermano le analisi di molti altri studiosi che, nelle loro ricerche sulle condizioni di lavoro degli operai tessili in diverse parti del mondo, sono giunti alle stesse conclusioni: di lavoro ci si ammala e, in molti casi, si muore. Una problematica non nuova per questo tipo di aziende che si collega direttamente con la più ampia questione della tutela della salute e dei diritti dei lavoratori del settore, in particolare in Egitto.
Gli scioperi e le proteste dell’enclave di Mahalla non sono una novità per l’Egitto. Se già negli anni passati gli operai dell’area si erano resi protagonisti di numerose serrate con rivendicazioni sia economiche sia politiche, è di inizio anno la notizia di una nuova mobilitazione per il miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori.
A febbraio circa 3mila lavoratori della Misr Spinning and Weaving Company erano scesi in sciopero chiedendo il pagamento degli assegni sociali previsti dal 2015, ma mai pagati, e l’aumento delle indennità alimentari a fronte della crescente inflazione e delle misure di austerity varate dal governo egiziano. Secondo i dati della, Banca Centrale egiziana, inoltre, il tasso di inflazione, al 28,1% a gennaio, sarebbe ulteriormente cresciuto, attestandosi, a marzo, al 30,9%.
A questo si aggiunga che, pur essendo una società di proprietà statale, ai lavoratori della Misr Spinning e Weaving Company non è riconosciuto il salario minimo mensile nazionale di 1.200 sterline egiziane, comunque ritenuto insufficiente in questa fase economica, previsto per i dipendenti del settore pubblico.
Di fronte a questa situazione la risposta del governo, a Mahalla come in molte altre parti dell’Egitto, è stata di carattere repressivo. Associazioni ed organizzazioni internazionali denunciano ormai da anni violenze ed arresti ai danni del lavoratori in sciopero e le organizzazioni sindacali sono sempre più deboli.
Non stupisce che, parallelamente alle rivendicazioni economiche, gli operai della Misr Spinning e Weaving Company abbiano portato avanti anche la richiesta di maggiori tutele in ambito lavorativo. In questo contesto si leggano le richieste di rimessa in funzione di reparti e linee di produzione inattive e di reintegro degli operai oggetto di licenziamenti punitivi così come la volontà di revoca dell’incarico al comitato sindacale locale.
Dal 2006 gli operai dell’azienda chiedono, infatti, il riconoscimento del sindacato indipendente dei lavoratori dato che il sindacato ufficiale è considerato totalmente allineato alle politiche della direzione e della Textile Holding Company, compagnia di Stato responsabile dell’amministrazione di 32 compagnie tessili sul suolo nazionale. Le organizzazioni indipendenti nate dopo il 2011 sono, infatti, illegali e le strutture legali, strettamente dipendenti dal governo, risultano impotenti dove non complici della repressione statale.
Alla luce di tutto questo, le dichiarazioni rilasciate a metà aprile da Peter Van Rooij, responsabile della sede del Cairo dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), sulla situazione dell’Egitto, sembrano parlare di un altro paese. Secondo quanto riportato dal Daily News Egypt, Van Rooij avrebbe espresso il proprio apprezzamento per l’impegno profuso dal governo egiziano nel campo delle leggi sul lavoro, sottolineando come Il Cairo sia impegnato al 100% nell’implementazione delle normative internazionali sul lavoro.
Appare un’evidente scollatura tra il piano formale di adesione ai trattati ed alle convenzioni e le reali condizioni di vita dei lavoratori. Una scollatura possibile grazie, da un lato, alla feroce repressione del dissenso e, dall’altro, all’acritica riproposizione della versione ufficiale del governo da parte di media ed attori istituzionali interni ed internazionali. Nena News
Francesca La Bella è su Twitter @LBFra
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