Redazione di Operai Contro,
l’imperialismo italiano ha sempre guardato alla Tunisia come un paese da depredare. Gli avversari dei padroni italiano sono gli imperialisti Francesi.
I padroni italiani sono il secondo esportatore dopo la Francia( con una quota del 14,5% del mercato). All’inizio del 2011 in Tunisia operavano 738 imprese italiane. Nel 2015, grazie ai salari da fame imposto dal dittatore Tunisino le aziende italiane sono salite a 865.
Oggi i padroni italiani hanno imposto il silensio alle loro TV e ai loro giornali, per le nuove proteste di operai, lavoratori e giovani.
Le tv italiane dicono che ora la Tunisia è tranquilla
– 3 mila mercenari del dittatore pattugliano le strade delle città
– gli arresti di operai, lavoratori e giovani sono più di 800.
Ma i dittatori arabi non potranno dormire sonni tranquilli e con i dittatori arabi i loro padroni europei.
Gli operai italiani sono dalla parte dei ribelli Tunisini
Un operaio di Torino
Cronaca del Manifesto
La Tunisia ha vissuto un altro giorno di proteste diffuse, spesso pacifiche e decise. Ma anche un’altra notte di disordini in un gran numero di città, a cominciare da diversi quartieri della capitale. A Siliana c’è stato un tentativo di assalto al tribunale della città, a Thala è stato incendiato un commissariato, notizie di barricate e scontri tra giovani manifestanti e polizia arrivano da Kasserine, Sousse, Ghafsa, Aouina. E da Tébourba, dove lunedì un manifestante è rimasto ucciso, forse per i gas lacrimogeni inalati forse schiacciato durante la carica della polizia (oggi si saprà l’esito dell’autopsia). E l’elenco potrebbe continuare.
Ha un bel dire il portavoce del ministro dell’Interno, nella rituale denuncia di infiltrazioni terroristiche nella protesta, che la notte scorsa è stata «più calma delle precedenti». Di certo sono aumentati gli arresti, 300 solo nelle ultime ore, oltre 500 dall’inizio della rivolta, molti giovanissimi tra i 15 e 18 anni, accusati dei saccheggi indiscriminati di negozi e supermercati avvenuti nei giorni scorsi (dall’altro ieri tutti gli esercizi che si trovano nelle zone sensibili chiudono prima che cali la sera). Aumentano anche i malumori dei poliziotti, che chiedono «maggiore protezione» dopo la ventina di agenti feriti e i tanti mezzi bruciati.
Per il paese non poteva esserci modo più turbolento per avvicinarsi al 14 gennaio e al 7mo anniversario della caduta del regime di Ben Ali, innescata nel 2011 dalla Rivoluzione dei Gelsomini. Che in comune con l’indignazione odierna ha le ragioni economiche, disoccupazione, inflazione, impoverimento.
La scintilla è stata l’ormai famigerata «Finanziaria 2018», varata in dicembre con misure pretese dall’Fmi per sbloccare una nuova tranche di aiuti. Effetti immediati, l’aumento in alcuni casi esorbitante dei prezzi dei generi alimentari, della benzina, dei servizi (inclusi quelli di telefonia e internet). E un conseguente crollo della simpatia popolare per il governo di Youssef Chahed. «La sua retorica sulle manifestazioni notturne ricorda quella di Ben Ali nel dicembre 2010, poco prima della disfatta», ha detto a Jeune Afrique Wael Naouar, portavoce del Fronte popolare, la coalizione di sinistra che guida l’opposizione e che per il 14 ha indetto una mobilitazione nazionale. «Se va avanti così – aggiunge – potremo ben dire: du pain, de l’eau et pas de Nidaa et d’Ennahdha».
È la parafrasi dello slogan del 2011, «Pane, acqua e niente Ben Ali», girato oggi contro i due principali partiti di governo. Accusati dal Fronte popolare di aver diffuso video falsi per provare il legame tra la sinistra e le violenze. Anche il principale attore della protesta, il collettivo #Fech Nestannew (Cosa aspettiamo?), che ha esordito con una campagna social e tag sui muri, ha dovuto fin da subito fare i conti con disinformazione e repressione, con circa 50 arresti tra le sue file.
Contrariamente a quanto speravano le autorità, è stato proprio questo a imprimere un’accelerazione e a riempire le piazze.
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