A cento anni dalla rivoluzione Russa. Il giorno che gli operai presero il potere

Poesia di Nazim Hikmet. Pietrogrado 1917 Al palazzo d’inverno, Kerenskij, A Smolmi, i soviet e Lenin. Nella strada, le tenebre la neve il vento e loro. Loro, sanno che Lenin ha detto: «Ieri troppo presto, domani troppo tardi, il solo momento è oggi». E loro hanno detto: «Va bene, lo sappiamo». Mai hanno saputo nulla di un sapere così perfetto e implacabile. Sulla neve, la note sulla neve, il vento e loro reduci dal fronte, coi loro camion le loro baionette le loro mitragliatrici le loro nostalgie speranze appetiti sacri e gli occhi spalancati nelle tenebre marciano. Marciano sul […]
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Poesia di Nazim Hikmet.

Pietrogrado 1917

Al palazzo d’inverno, Kerenskij,
A Smolmi, i soviet e Lenin.
Nella strada, le tenebre
la neve
il vento
e loro.
Loro, sanno che Lenin ha detto:
«Ieri troppo presto, domani troppo tardi,
il solo momento è oggi».
E loro hanno detto: «Va bene, lo sappiamo».
Mai hanno saputo nulla di un sapere così perfetto e implacabile.

Sulla neve, la note
sulla neve, il vento
e loro
reduci dal fronte, coi loro camion
le loro baionette
le loro mitragliatrici
le loro nostalgie speranze appetiti sacri
e gli occhi spalancati nelle tenebre marciano.
Marciano sul Palazzo d’inverno.
Il bolscevico Kitòv, di Putilovski-zavòd, dice: «Oggi è un gran giorno, compagni
un gran giorno.
E ricordo a chi volesse fare man bassa
che ormai il Palazzo d’inverno e tutta la Russia
sono beni dell’operaio e del contadino».
Il vento
la neve
le tenebre.
Loro, silenziosi come le tenebre Intrepidi come il vento Marciano.
Marciano sul Palazzo d’inverno.
Sergeij lo Zoppo, tornitore,
dice: «Maledizione!
Nel 1905 – avevo dieci anni –
sono passato qui.
In testa c’erano le icone coi grandi occhi innocenti i bambini scalzi le vecchie
e Gapone, il pope dai lunghi capelli.
Gli uomini e il vento erano in possa.
E di fronte, alla finestra rossa, lo zar di tutte le Russie
ci guardava, livido nell’abito nero.
Le donne misero il ginocchio a terra piangendo
io avevo alzato la per farmi il segno della croce quando a un tratto sorsero al galoppo i cosacchi i cosacchi coi cavalli impennati e i colbacchi neri.
Noi bambini cademmo strillando come passeri.
Un colpo di zoccolo mi spezzò la rotula».
E Sergeji lo Zoppo, trascinando la gamba
marcia con loro sul Palazzo d’inverno.
Il vento
la neve
le tenebre sono padrone.
Viene dal fronte polacco
il contadino Ivan Petrovic, e i suoi occhi
come quelli d’un gatto vedono nella notte.
Tossicchia nella barba rossa
e dice: «Eh, Matuscka!
a noi la terra, come l’anatra verde nel carniere!».
Il vento
la neve
e le tenebre riempiono tutto.
Sulla piazza, il Palazzo d’inverno, e loro.
Nel porto, l’Aurora con i tre fumaioli.
Aprì il fuoco, il Palazzo d’inverno,
aprirono il fuoco, dietro le colonne
i graziosi aristocratici e le puttane bionde.
Sergeij lo Zoppo, tornitore, dice:
«Maledizione!
In che mani s’è messo Kerenski…»
E cade a terra sulla gamba inferma
Reduce dal fronte polacco
il contadino Ivan Petrovic
vede in lontananza coi suoi occhi di gatto
la terra grassa e concimata
e tossicchiando nella barba rossa
estatico, fa sparare la sua mitragliatrice.

Sotto il vento
sotto la neve bianca
i mattoni rossi del Palazzo d’inverno.

Il bolscevico Kitov
dice: «Compagni, la storia
ossia la classe operaia e contadina
ossia il soldato rosso
ossia noi, diamo fuoco alle polveri!».

«Compagni,» dice «passiamo all’attacco!»
E come sulla Neva i ghiacci rosseggianti
con l’appetito di un bambino
col coraggio del vento
entrarono nel Palazzo d’inverno.

Ferro, carbone e zucchero
e rosso rame
e tessili
e amore e violenza e vita
e tutti i rami dell’industria
la Piccola, la Grane e la Bianca Russia
e il Caucaso, la Siberia, il Turkestan
e il corso malinconico del Volga
e le città
ebbero la sorte
mutata, in un momento dall’alba
in un momento d’alba quando
sorti dalle rive della notte
coi loro stivali bagnati di neve
calpestarono
lo scalone di marmo.

Cento anni dalla Rivoluzione russa, ognuno la racconta secondo i propri interessi di classe. I ricchi la maledicono, gli storici borghesi la reinterpretano come un colpo di stato di un uomo, di un partito. A chi vive di nostalgia basta uno sventolio di bandiere.

Per noi è stata la presa del potere da parte degli operai.

Per l’occasione abbiamo prodotto un opuscolo di 85 pagine in formato A5:

Il giorno che gli operai presero il potere”

Decreti attuativi della rivoluzione russa”

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