IL PADRONE FIAT E I GUAITI DEI SUOI CANI DA SALOTTO

“Ulteriore testimonianza del grande senso di responsabilità e appartenenza dei lavoratori e delle lavoratrici del Gb Vico di Pomigliano, l’irrilevante tasso di assenteismo in virtù dello sciopero indetto dal sindacato di base certifica una maturazione culturale e professionale dell’intero sito partenopeo”. “Picchetti, blocchi stradali e manifestanti all’esterno e tutti al lavoro all’interno della fabbrica” …. “ L’impietoso dato della FCA di Pomigliano … è indicativo della secca bocciatura dei lavoratori” … “La dimostrata estraneità degli operai … è qualcosa di importante”. Comunicati dell’azienda sullo sciopero del 23 marzo alla FCA di Pomigliano? No, sono comunicati sindacali, cioè di coloro […]
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“Ulteriore testimonianza del grande senso di responsabilità e appartenenza dei lavoratori e delle lavoratrici del Gb Vico di Pomigliano, l’irrilevante tasso di assenteismo in virtù dello sciopero indetto dal sindacato di base certifica una maturazione culturale e professionale dell’intero sito partenopeo”.

“Picchetti, blocchi stradali e manifestanti all’esterno e tutti al lavoro all’interno della fabbrica” …. “ L’impietoso dato della FCA di Pomigliano … è indicativo della secca bocciatura dei lavoratori” … “La dimostrata estraneità degli operai … è qualcosa di importante”.

Comunicati dell’azienda sullo sciopero del 23 marzo alla FCA di Pomigliano? No, sono comunicati sindacali, cioè di coloro che sulla carta rappresentano i lavoratori. Il primo è tratto dal comunicato congiunto di FIM UILM Fismic UGL e AQCF, il secondo dal comunicato dello SLAI COBAS.

Con questi “chiari di luna” gioire del presunto fallimento di uno sciopero operaio vale molto di più di mille polemiche nei confronti di questa gente. Per tutti gli operai che pensano con la loro testa, e non assumono la conformazione a pecora che tanto piace all’azienda, queste dichiarazioni creano, se ce ne fosse ancora bisogno, uno spartiacque tra chi sta con gli operai e chi con i vertici e gli azionisti FCA.

Nel primo comunicato poi, la firma dell’AQCF, cioè i capi, è indicativo di quale accozzaglia si tratta. Come si fa a mettere insieme presunti rappresentanti dei lavoratori e l’associazione dei capi, di quelli cioè che devono costringere gli operai a far andare le mani, di quelli che sono i responsabili diretti dei provvedimenti disciplinari e del clima da caserma che c’è in fabbrica?

Qualcuno si chiederà perché anche lo SLAI assume una posizione del genere.

Lo SLAI ha smesso di essere un sindacato operaio ed è diventato ufficialmente una associazione per “la promozione di cause legali” nel 2008, all’epoca del “confino” dei 316 a Nola. Allora, invece di sostenere la vertenza contro il trasferimento che coinvolgeva, tra l’altro, tutti i suoi iscritti tranne uno, lo SLAI si defilò immediatamente dai picchetti e dirottò la vertenza sul solito binario legale. Molti che hanno partecipato a quella esperienza ricorderanno i militanti dello SLAI mentre partivano per i “corsi di formazione” fasulli organizzati dalla FIAT, mentre i loro compagni di lavoro si prendevano le manganellate dei poliziotti ai presidi. Quella causa lo SLAI, per la cronaca, la perse, ma d’allora tutti gli iscritti che gli sono rimasti sono a Nola attendendo pazientemente il colpo di grazia da parte della FIAT.

Lo SLAI è un esempio illuminante di dove porta la mancanza di chiari riferimenti di classe e l’estraneità rispetto a quali devono essere gli obiettivi degli operai, di dove porta la presunzione dell’ignoranza e del protagonismo, il settarismo, la dimensione da “parrocchia” nel sindacato. Lo SLAI potrebbe scrivere un manuale su come non deve essere un sindacato e di come una dirigenza sindacale che guarda solo a se stessa si trovi, alla fine, sulle stesse posizioni del padrone. Estranei alla fabbrica, fuori dai veri luoghi di lavoro, seguono coerentemente la loro strada verso l’autodistruzione, fedeli alla parola d’ordine del loro capo: “Dopo di me il deserto”.

Tutti costoro, insieme agli azionisti e ai vertici FCA hanno tirato un sospiro di sollievo perché la fabbrica non si è bloccata. Evidentemente lo temevano.

Lo stabilimento di Pomigliano vede, da anni, solo metà degli operai al lavoro con una produzione attuale di 450 auto a turno, con gli operai senza neanche il tempo per bere, con pause ridotte, che si consumano velocemente tanto da essere a poco più di quarant’anni già vecchi per la fabbrica, e con salari ridotti rispetto al lavoro che fanno ora rispetto a una volta. Spremuti negli ultimi anni oltre ogni limite e oggi di fronte ad un futuro precario che, se andrà bene, consentirà loro di consumarsi ancora più velocemente su qualche nuovo modello che la dirigenza FCA forse, prima o poi si degnerà di assegnare.

L’altra metà degli operai impegnata saltuariamente e con salari da fame per i cds e senza nessuna prospettiva reale per il futuro.

Gli operai e chi sta al loro fianco vede tutto questo. Sa che solo una mobilitazione operaia può cambiare il corso delle cose. I tavoli concertativi non portano niente a chi lavora, assicurano qualche briciola dal tavolo dei padroni a qualche servo sindacale che vorrebbe fare la bella vita anche lui. Come non portano niente ormai le elemosine dei politici sempre più dipendenti anche loro dalle associazioni padronali.

Come unico modo per uscire dalla tenaglia, miseria e disoccupazione da una parte, e lavoro bestiale senza diritti dall’altra, c’è solo la lotta.

Gli operai di Pomigliano l’hanno cominciato a capire. Hanno cominciato a discutere sullo sciopero, hanno visto che è possibile farlo. I giovani operai che si sono fermati ai presidi venerdì mattina a discutere e ad ascoltare per ore e poi sono tornati a casa, porteranno le parole d’ordine dei manifestanti all’interno della fabbrica, ne discuteranno con i compagni, servirà a chiarire le idee, a togliersi le residue paure di dosso, creeranno un clima “difficile” per il padrone all’interno. E quando il padrone ne darà l’occasione, e la darà perché i ritmi non si abbasseranno, perché giugno dovrà pur arrivare e l’inconsistenza delle promesse si dovrà pur scoprire, si muoveranno in modo più determinato, più numerosi, con un’idea chiara di chi sta con loro e chi con il padrone.

Noi della FCA che abbiamo organizzato la mobilitazione siamo una minoranza, ma una minoranza significativa. Nel gruppo degli OPERAI AUTORGANIZZATI ci sono compagni di Pomigliano, di Termoli, di Cassino, di Melfi, di Mirafiori. Faticosamente abbiamo superato i muri che anni di “parrocchie” sindacali hanno creato in fabbrica tra gli operai a tutto uso e consumo del padrone, e abbiamo cominciato a discutere e a organizzarci su quelli che sono gli interessi degli operai FCA e per difenderli lottando.

La mobilitazione a Pomigliano è nata da questo percorso e vede tutti noi determinati e convinti che questa sia la strada per unire e organizzare gli operai.

Per ora siamo una minoranza e la manifestazione di Pomigliano mirava a dare un segnale a quegli operai che già sono convinti che solo la lotta può costringere il padrone FCA a cambiare atteggiamento.

Tra non molto saremo maggioranza perché il padrone va per la sua strada insieme ai suoi servi del sindacato, e questa strada per noi operai è fatta solo di lacrime e sangue.

Gli operai non hanno scelta: o la lotta, o la miseria e il super sfruttamento.

 

I 5 OPERAI EX LICENZIATI FCA DI POMIGLIANO

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