“Questo accordo è una fregatura”. “Mi sa che latte a 1 euro non ne vedremo mai”. “Sono riusciti a fregarli con quella griglia”. “Per arrivare a un euro al litro il formaggio deve arrivare sopra i 10 euro, non 8,50”. “Queste sono favole”. “Questo accordo va bene solo agli industriali”. “Novembre è troppo lontano, con la siccità e con i guadagni persi siamo fregati. Quello non era un prezzo da concordare”. “Dovevano entrare tutti i formaggi in griglia, non solo il pecorino romano, e da subito”.
Sono le prime parole di malcontento e rabbia di molti pastori sardi verso l’accordo raggiunto sul prezzo del latte ovino. Di quei pastori che, dopo oltre un mese di dura lotta nelle strade, si sentono “sconfitti e fregati” da coloro che li hanno rappresentati al tavolo della trattativa sul prezzo del latte. Il problema vero delle lotte è tutto qui, e va risolto. La contraddizione fra chi le lotte le fa, fra chi mette in campo tutta la forza possibile, sperimenta nuove iniziative e chi poi tratta a loro nome è esplosiva. Si siedono ai tavoli vecchi maneggioni politici, delegati compromessi da anni, oppure nuovi rappresentanti che isolati nelle sale dei ministeri o delle prefetture si fanno coinvolgere in logiche collaborative. In queste condizioni le trattative finiscono sempre per tradire le lotte, con compromessi al ribasso, lasciando chi le lotte le ha fatte con un senso di frustrazione difficile da recuperare. Da ora in poi con la radicalità delle lotte è necessario produrre un’altrettanta radicalità di chi tratta, una composizione allargata della rappresentanza, un controllo diretto sullo stato e i risultati della trattativa.
I pastori sardi hanno perso, ma prima o poi, al più tardi fra qualche mese, la lotta ripartirà, le manifestazioni riprenderanno. Semplicemente perché la crisi economica in Italia e negli altri paesi dove vengono venduti i formaggi ottenuti dalla trasformazione del latte delle loro pecore, la diminuzione del potere d’acquisto, la crisi di sovrapproduzione dei formaggi pecorini, e in particolare del più importante, il pecorino romano, a breve manderanno gambe all’aria l’accordo. La crisi economica, la flessione della domanda e la crisi di sovrapproduzione c’erano già prima dello scoppio della “guerra del latte”, anzi la rabbia dei pastori è stata provocata proprio dal precipitare del prezzo del latte, finito sotto i 60 centesimi al litro a causa della crisi di sovrapproduzione del pecorino, in particolare quello romano, per il quale forniscono la materia prima. Perciò non sarà certo un “tavolo del latte” o un decreto del governo a risollevare la domanda, invertire il ciclo economico e ricomporre pacificamente il conflitto.
L’accordo firmato il 9 marzo, al tavolo della trattativa fra prefetto, rappresentanti di pastori, industriali trasformatori, associazioni di categoria, governo nazionale e Regione Sardegna, è una fregatura perché non ha sancito il prezzo di 1 €/litro per il quale i pastori si sono battuti, bensì ha deciso: per il latte conferito a febbraio un acconto di 72 centesimi al litro, Iva inclusa; per quello conferito da marzo sino a fine campagna un acconto di 74 centesimi al litro, Iva inclusa, e l’impegno di un conguaglio al prossimo novembre sulla base dei prezzi medi ponderati del pecorino romano della borsa di Milano per il periodo tra novembre 2018 e ottobre 2019. La correlazione fra il prezzo del pecorino romano e il prezzo del latte ovino è stata stabilita secondo la seguente griglia: con il pecorino venduto a 6 euro al kg, il latte sarà pagato a 72 cent, con il pecorino a 6,50 euro al kg il prezzo del latte salirà a 76 cent, con il formaggio 7 euro al kg, il latte a 83 cent, poi con il pecorino a 7,50 € al kg, il latte a 90 cent, con un prezzo del formaggio a 8 euro al kg il latte a 96 cent e con 8,50 kg al chilo di pecorino il latte arriverà a 1,02 euro.
L’accordo è stato completato da alcune promesse e un po’ di aria fritta. Le promesse: misure annunciate per 29 milioni di €, di cui 14 per il ritiro del formaggio in eccesso, 10 per sostenere i piani della filiera ovina e 5 per abbattere gli interessi pagati dagli allevatori sui prestiti. L’aria fritta: l’impegno assunto dal Capo di Gabinetto del Mipaaft di “avviare un confronto con la Camera di commercio di Milano sulle metodologie di rilevazione del prezzo del formaggio”, di “sollecitare un ulteriore confronto con le banche per richiedere una coerenza sistematica, nel rispetto dell’autonomia imprenditoriale delle banche stesse, rispetto alle esigenze delle imprese di filiera”, di “coinvolgere nel tavolo della filiera la grande distribuzione”, di “approfondire la tematica dei controlli e valutare l’adozione di una direttiva del ministro sul tema”.
Non appena l’accordo è stato firmato, tutti, tranne i pastori, si sono affrettati a lodarlo, lieti che la bomba si sia sgonfiata prima di scoppiare.
“Si riprende a produrre serenamente”. È soddisfatto dell’accordo Pierluigi Pinna, uno dei titolari del caseificio Fratelli Pinna di Thiesi (Ss) e rappresentante dell’industria lattiero-casearia al tavolo sulla vertenza per il prezzo del latte. “Col buon senso si raggiungono sempre i giusti accordi, oggi abbiamo fatto un grande passo avanti”. Secondo l’ex presidente di Confindustria Nord Sardegna, “abbiamo convinto gli allevatori della bontà della nostra proposta: i pastori hanno capito e condiviso con noi il percorso che bisogna costruire per valorizzare la materia. Perciò complimenti dal mondo della trasformazione agli allevatori ovini che hanno saputo dare il giusto indirizzo alla trattativa, hanno saputo condividere le soluzioni e hanno la volontà di continuare a condividere su un tavolo verde il percorso di crescita di questo settore”.
Per il ministro dell’Agricoltura Centinaio “è la dimostrazione che quando ci si siede a un tavolo con spirito costruttivo si raggiungono importanti traguardi. Posso assicurare che quello di oggi è solo l’inizio. Andiamo avanti e ci mettiamo a disposizione, lavorando in modo serio sull’organizzazione dell’intera filiera e il rilancio del settore come ho sempre promesso”. Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, ha dichiarato che “sarebbe stata inaccettabile l’imposizione di un prezzo politico ad 1 euro come si voleva fare inizialmente. Un ricarico del 66,6% che sarebbe stato traslato sui consumatori finali. Resta da capire come mai il libero mercato non funzionasse e per questo attendiamo un pronunciamento dell’Antitrust”! Per il direttore regionale di Coldiretti, Luca Saba, “è stato importante l’intervento del prefetto e dei rappresentanti ministeriali per arrivare ai 74 centesimi”. E il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini, che alla vigilia delle elezioni regionali sull’isola aveva “cavalcato” la lotta partecipando ad alcuni tavoli di confronto e sostenendo che il prezzo giusto avrebbe dovuto essere 1 euro al litro, ma dopo il voto aveva abbandonato la trattativa, ha così commentato l’accordo: “Sono soddisfatto e ringrazio tutti quelli che hanno permesso di arrivare a questo risultato positivo. Conto di tornare presto in Sardegna per festeggiare con i pastori, sempre pronto a intervenire qualora ce ne fosse bisogno”. Trovando sponda, Salvini e il governo, in rappresentanti degli allevatori come Gianuario Falchi, presente al tavolo dei negoziati, per il quale “stiamo pagando 40 anni di malgoverno. Ora abbiamo dalla nostra parte il ministero, ministri come Salvini e Centinaio che ci hanno creduto e hanno capito dove sta il problema. Crediamo che finalmente questo problema lo potremo risolvere”.
Presto o tardi la crisi di sovrapproduzione e la scarsa o nulla remuneratività del prezzo del latte ovino costringerà i pastori sardi a scendere nuovamente nelle strade, ma è necessario che prima facciano i conti anche al loro interno con chi, piuttosto che impegnarsi in una lotta seria, è disposto a cedere al compromesso!
L.R.
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