Da “Il manifesto” del 7 aprile, di Rachele Gonnelli
Il precipitare della situazione in Libia ha sconvolto l’ordine dei lavori della riunione dei ministri degli Esteri del G7 a Saint-Malo in Francia e, a quanto pare, è stato proprio il ministro degli Esteri italiano Enzo Moavero Milanesi a chiedere di anticipare nella serata di venerdì l’incontro a porte chiuse sull’argomento Libia, inizialmente previsto per la mattinata di ieri.
LA RIUNIONE DEL G7 sulla Libia è finita con una dichiarazione di invito alle parti a riprendere il dialogo, come chiesto anche dall’Onu, ma i media libici mettono in risalto la parte più «economica» della dichiarazione, ovvero quella in cui si chiede esplicitamente a entrambe le parti in conflitto – intendendo la Cirenaica di Haftar e la Tripolitania di Serraj – di «non sfruttare i proventi petroliferi del Paese a scopi politici». Il petrolio sembra preoccupare le grandi potenze industriali molto più delle sorti dei libici o, ancor meno dei migranti africani intrappolati nella incandescente prigione libica, non citati da nessun Paese o organizzazione internazionale in questi giorni, fatta eccezione per l’accorato appello dell’Oim, l’organizzazione internazionale per le migrazioni. Ancor più da venerdì sera, dopo la partenza da Tripoli – diretto a Istanbul – del presidente della National Oil Corp, la compagnia petrolifera Noc che gestisce, appunto, gli introiti dell’export di petrolio e gas, Mustafà Sanallah.
LA NOC è partner strategico dell’italiana Eni, che in Libia opera dalla fine degli anni Cinquanta. E proprio la settimana scorsa lo stesso Sanallah ha firmato con l’Eni due nuovi memorandum d’intesa per accelerare la produzione di gas nel bacino marino a largo di Sabratha. Un accordo da 760 milioni di metri cubi di gas naturale al giorno, da produrre sia per usi interni sia per l’export. L’intesa aveva anche un capitolo sul miglioramento della sicurezza industriale dell’impianto di Mellitah.
L’EXPORT DELLA LIBIA – che per il si salva dalle moratorie Opec – nell’ultimo anno e mezzo sta andando benissimo, nonostante i prezzi in calo dei prodotti petroliferi . Inoltre nuove scoperte di importanti giacimenti e progetti di esplorazione e sfruttamento delle immense riserve – Noc vuole arrivare a 953 mila barili al giorno entro il 2021 – fanno del Paese una preda sempre più appetibile. Nel bacino di Sirt, in Tripolitania – dove si concentra il 70% degli interessi Eni – i primi test esplorativi sembrano aver individuato un giacimento con una capacità di pari a 8.500 barili al giorno e di 1,82 metri cubi di gas.
IL GENERALE cirenaico Haftar, prima di lanciare l’offensiva verso la capitale, ha conquistato la Mezzaluna petrolifera, nel Fezzan, la regione meridionale del Paese dove sono situati i pozzi petroliferi più grandi – il campo di Sharara, il più grande di tutti, gestito dalla Noc in tandem con la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Equinor – e il capo di El Feel (o Elephant), dove Noc è in partneship con l’Eni. Da quando Haftar ne ha rilevato il controllo della sicurezza – ma Bengasi non ritiene di ottenere la giusta proporzione dei proventi dell’export dalla Noc, vorrebbe almeno il 40% degli introiti – la produzione non ha subìto contraccolpi. Del resto anche i terminal petroliferi di Ras Lanuf e Sidra da tempo sono sotto il controllo dell’Lna (Esercito nazionale libico) di Bengasi.
POI C’È GHADAMES, che non è solo l’ antica cittadina berbera dove si dovrebbe svolgere la conferenza nazionale libica dal 14 al 16 aprile prossimi per dare un nuovo e più stabile assetto politico e istituzionale all’intero Paese. Sotto la città dalle mura imbiancate a calce e dalle porte ornate da ghirigori colorati si estende un imponente bacino non solo di petrolio ma soprattutto di gas, su cui anche l’Eni dall’ottobre scorso intende mettere le mani. Esiste però un contenzioso tra la confinante Algeria e la Libia fin dai tempi di Gheddafi su questo mare di idrocarburi ancora da sfruttare. E anche l’algerina Sonatrach può vantare un permesso di sfruttamento. Si sta parlando di un piano di sviluppo di 37 pozzi tra petrolio e gas, un affare enorme collegato all’utilizzo della pipeline di Wafa e all’impianto di Mellitah.
I libici sanno che finché non è chiara la partita petrolifera, pace, nel Paese, non ce ne sarà.
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