PERNIGOTTI UN ANNO DOPO

Non si impara mai abbastanza, è però ora di ribellarsi. La storia della chiusura delle fabbriche si ripete continuamente. Impegni di tutti, a parole, per salvarle. Accettazione di tutti, della dura realtà, degli interessi dei padroni. Per gli operai miseri sussidi e licenziamenti solo rinviati Quasi un anno fa, esattamente il 19 febbraio 2019, avevamo scritto su Operai Contro a proposito della fine della Pernigotti: “A casa con un accordo sindacale. Non ci sono strumenti legali per costringere il padrone a tenere aperta la fabbrica, che scoperta! Forse la lotta dura qualche spiraglio poteva aprirlo, ma si è scelta […]
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Non si impara mai abbastanza, è però ora di ribellarsi. La storia della chiusura delle fabbriche si ripete continuamente. Impegni di tutti, a parole, per salvarle. Accettazione di tutti, della dura realtà, degli interessi dei padroni. Per gli operai miseri sussidi e licenziamenti solo rinviati

Quasi un anno fa, esattamente il 19 febbraio 2019, avevamo scritto su Operai Contro a proposito della fine della Pernigotti: “A casa con un accordo sindacale. Non ci sono strumenti legali per costringere il padrone a tenere aperta la fabbrica, che scoperta! Forse la lotta dura qualche spiraglio poteva aprirlo, ma si è scelta la strada delle buone maniere”.

Non ci piace di certo fare i grilli parlanti ma, concretamente, quanto dicevamo è quello che più o meno è successo e come sempre se gli operai hanno rinunciano alla lotta, e pensano ad affidarsi solo alle trattative sindacali, il loro declino occupazionale è segnato.

Infatti, a distanza di pochi mesi, a dispetto di tutte le chiacchiere sindacali e politiche che parlamentari, ministri e naturalmente sindacalisti hanno dispensato a piene mani sulla salvezza degli operai della Pernigotti, addormentando gli operai in inutili passeggiate salottiere al MISE, i risultati sono la riduzione degli occupati e lo spezzettamento della Pernigotti in piccole aziende che, un domani non troppo lontano, faranno in fretta a chiudere senza nemmeno uno straccio di accordo sindacale.

Questo spezzettamento della fabbrica, l’accettazione della terziarizzazione della produzione da parte di un imprenditore terzo, avvenuta con un accordo sindacale al Ministero del lavoro, è stato il congegno con cui padroni e sindacati hanno permesso che gli operai della Pernigotti, in parte già nei mesi scorsi e in parte nell’immediato futuro, siano finiti e finiranno in mezzo ad una strada senza più nulla se non qualche ammortizzatore sociale destinato a finire nello spazio di un istante.

I nuovi millantati investitori che avrebbero dovuto “scendere in campo” per salvare la fabbrica (la cooperativa torinese SPES che avrebbe dovuto rilevare la produzione di torroni e cioccolato, e l’imprenditore Giordano Emendatori che invece si sarebbe occupato del ramo relativo ai preparati per i gelati) sono finiti nel nulla ed hanno avuto, come da copione, il ben servito. Tutto questo mentre la farsa delle acquisizioni e degli scorpori si arricchisce di un ulteriore buffonata sulle spalle degli operai. Infatti è notizia di questi ultimi giorni che il gruppo Toksoz, proprietario della Pernigotti, dopo aver annunciato l’uscita di altri 15/25 lavoratori , riducendo di fatto ancora il numero degli operai occupati nello stabilimento di Novi Ligure, ha stipulato al Ministero del lavoro un accordo per vendere la divisione dei gelati con il marchio “maestri gelatieri” al gruppo Omnia, gruppo che nella fabbrica occuperà l’inezia di appena 12/19 posti di lavoro.

É bene ricordare che prima del febbraio 2019 i lavoratori occupati a Novi Ligure, tra operai e impiegati, erano 92 in un’unica realtà industriale. Ora, dopo lo spezzettamento effettuato, gli operai si ritroveranno da una parte a dover lavorare per una piccola realtà più simile al negozietto sotto casa piuttosto che una realtà industriale con tutte le conseguenze del caso, dall’altra a produrre cioccolato per Pernigotti con la prospettiva non poi troppo lontana nel tempo, di una chiusura totale della fabbrica.

Il loro destino sembra oramai segnato. Ma d’altronde se gli operai delle fabbriche in crisi si limiteranno a seguire, come bestie destinate al macello, i vari funzionari sindacali che li conducono in processione al MISE nella speranza di ottenere la salvezza non otterranno mai nulla.

Per ottenere dal MISE accordi che obblighino gli stessi padroni a recedere dai loro intenti ci vogliono le proteste dure, ci vogliono le occupazioni delle fabbriche e le sommosse di strada, altrimenti padroni e sindacalisti avranno buon gioco nel far passare i loro accordi di svendita ed il MISE potrà solo ratificare tali accordi.

E’ chiaro che questo atteggiamento operaio metterebbe al banco degli imputati un sistema in cui si produce solo se su quella produzione un padrone, un azionista può fare adeguati profitti, ed è anche il momento che si affronti da questo punto di vista il problema della chiusura delle fabbriche e dei licenziamenti.

Seguire sindacalisti che dicono che i piani dei padroni della Pernigotti risultano “vaghi” la dice lunga sulle prospettive che gli operai hanno. Ma come, dopo tutta questa buffonata della salvezza della Pernigotti ancora gli operai dovrebbero credere a questi liquidatori degli operai? Ancora oggi dicono: “accetteremo solo un piano industriale espansivo che tuteli in primis i lavoratori”. E i piani e gli accordi sbandierati ai quattro venti, sottoscritti appena otto mesi fa al Ministero, non dicevano la stessa cosa? Abbiamo visto che fine hanno fatto. Basta confrontare le odierne dichiarazioni con quelle di allora per prendere a calci nel sedere, e cacciarli definitivamente dalle assemblee, questi sindacalisti a libro paga dei padroni.

D.C.

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