Dicono che la scelta di Arcelor Mittal di lasciare l’ILVA è una bomba sociale. Gli operai di Taranto la devono far esplodere per finirla con padroni al di sopra delle loro stesse leggi, con impegni mai rispettati, col ricatto continuo di morire avvelenati.
Il governo, i sindacati e la maggioranza dei partiti in queste ultime ore stanno manovrando per ristabilire l’immunità penale: vogliono concedere ad Arcelor la possibilità di produrre a qualsiasi costo senza nessun rispetto per la salute degli operai che lavorano nell’acciaieria e di tutti i cittadini che vivono nelle immediate vicinanze della fabbrica.
L’applicazione dello scudo penale (norma del decreto legge del 2015 varato dal governo Renzi), successivamente ritirato e ripresentato più volte dai vari governi succedutisi (l’ultima il 22 ottobre scorso) è una disposizione che il governo aveva concesso, facendo un regalo ai vari commissari straordinari ai manager ed agli amministratori dell’ILVA che si sono succeduti per le violazioni delle norme ambientali commesse nello stabilimento nel corso degli anni.
Le conseguenze dell’inquinamento a cui gli operai sono sottoposti dall’esposizione nel ciclo produttivo dell’acciaio sono disastrose, gli operai addetti alla produzione dell’acciaio contraggono patologie terrificanti; mesotelioma da amianto, leucemie, silicosi e migliaia di altre malattie mortali o invalidanti non si contano, manifestandosi anche dopo molti anni possono protrarsi a lungo nel tempo con esiti mortali.
Nella popolazione di Taranto i carcinomi dei polmoni superano del 30% la media nazionale (fonte Istituto Superiore di Sanità), e nel solo quinquennio 2000-2005 le denunce per malattie professionali degli operai della ILVA di Taranto sono state 1216.
Tra l’altro, per i giudici costituzionali la norma del cosiddetto scudo penale sarebbe un trattamento di favore ingiustificato e discriminatorio nei confronti dei manager delle altre aziende che, al contrario di quanto avveniva per l’ex ILVA, rispondono penalmente dei reati commessi dall’azienda.
I sindacati confederali, CIGL, CISL e UIL, ora invocano il ripristino dello scudo penale “per non dare alibi” – dicono – alla Arcelor di spegnere gli impianti ed abbandonare la produzione di acciaio all’ILVA.
Che logica strumentale: per non “dare l’alibi” lasciamo che continuino ad avvelenare gli operai e gli abitanti dei quartieri vicini alla fabbrica. Nella realtà, quella dei capi sindacali, è solo una propaganda spicciola a favore del padrone, costi quel che costi, fatta sulla pelle degli operai.
Si atteggiano tutti a difensori dell’occupazione dimenticandosi però che l’accordo, nel passaggio dai commissari ad Arcelor, sottoscritto nel 2018 da CGIL CISL UIL e USB, prevedeva la cassa integrazione per 3300 tra operai ed impiegati (gli addetti ILVA prima dell’accordo erano circa 14.000, oggi sono circa 10.700). 3300 operai che sono diventati dei vuoti a perdere senza più nessuna prospettiva di lavoro, 3300 operai che sono stati fatti fuori senza nessuna remora.
Ora il sindacato chiede al governo di fare marcia indietro e lasciare lo scudo penale per cercare di far desistere Arcelor dai propri intenti di cessione. Ma il padrone dell’acciaio vuole ben altro, nuova cassa integrazione, rinvio delle scadenze di risanamento, sconti sull’acquisizione. Fare concessioni oggi, dopo quelle di ieri e dell’altro ieri, vuol dire esporre gli operai a qualsiasi tipo di ricatto, svendere la loro salute e non garantire nemmeno la famosa occupazione.
Landini è stato molto chiaro a questo proposito: “ILVA è stata commissariata per anni. La stessa cosa che avevano i commissari deve averla anche Arcelor Mitta (libertà di manovra) Non posso dire che responsabile è l’ultimo arrivato per i problemi ambientali creati da chi c’era in precedenza.”.
Ma il nostro sindacalista farlocco fa finta di non sapere che il nuovo “imprenditore” non ha fatto niente di sostanziale per il risanamento aziendale e gli operai e gli abitanti dei quartieri più vicini all’ILVA di Taranto, anche con la nuova gestione di Arcelor, continuano ad ammalarsi ed a morire come prima.
Quello che interessa a Landini ed a tutto il sindacalismo collaborazionista è di fatto la continuazione della produzione dell’acciaio, qualsiasi cosa succeda. Dietro la produzione dell’acciaio c’è il profitto dei produttori di acciaio, se non c’è profitto non c’è salario, se non si garantisce al padrone di svolgere la sua attività di padrone gli operai muoiono di fame, e con questa volgarità, di una realtà rovesciata, il cerchio si chiude. E così i difensori degli operai diventano i difensori dei padroni, immunità legale per Arcelor Mittal, sostegno finanziario e ammortizzatori sociali a sbafo. In realtà più i padroni diventano ricchi, più gli operai diventano poveri.
Come finirà questa storia? Finirà come un film visto e rivisto migliaia di volte: governo sindacati e partiti faranno di tutto per ridare ancora l’immunità ai manager ed agli amministratori di Arcelor che a questo punto, data la crisi effettiva del mercato mondiale dell’acciaio e dei dazi imposti, chiederanno per continuare la produzione secondo le leggi del mercato di eliminare ancora un bel po’ di forza lavoro. Al sindacato, come al solito, non resterà che firmare qualsiasi nefanda richiesta verrà messa loro sotto il naso, e come al solito altre migliaia di operai finiranno in mezzo ad una strada. Ognuno dice la sua sulla vicenda, ognuno cerca di trarne un beneficio politico, gli unici assenti sulla scena sono i diretti interessati, gli operai. Occorre capirli, quante ne hanno subite, quante promesse e che ricatto continuo hanno pagato con morti e feriti. Ma non c’è altra strada per mettere le cose a posto: esplodere. Il problema non sarebbe più quello di fare concessioni ad un padrone per restare ma fare concessioni agli operai per garantire loro una vita decente senza rischi per la salute. Lo hanno detto loro che questa vicenda è una bomba sociale, che scoppi una volta per tutte.
D.C.
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