La revoca delle concessioni autostradali non arriva. I Benetton sono troppo forti e quella dei pedaggi è una miniera d’oro. Ma le autostrade non sono sicure e i pedaggi non sono giustificati.
Dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, con i suoi 43 morti, sembrava che le concessioni autostradali venissero tutte immediatamente revocate. Nel contratto in questione (la concessione autostradale) tra Stato e capitalisti privati (concessionarie) c’è scritto che il primo concede ai secondi di gestire il “bene autostradale”, ma questi ultimi devono salvaguardare il bene concesso, facendo le dovute e necessarie manutenzioni. A fronte della palese violazione del patto contrattuale – e quale più palese violazione che un viadotto che crolla? – ne deriverebbe, per logica conseguenza, la revoca della concessione.
A caldo dell’evento non c’era cittadino comune che mettesse in dubbio tale ferrea logica. Scriveva allora su Facebook il premier Conte: “È chiaro che ci sono responsabilità e la giustizia dovrà fare il proprio corso per accertarle. Ma il nostro Governo non può rimanere ad aspettare. Per questo abbiamo deciso di avviare le procedure di revoca della concessione alla società Autostrade, sulla quale incombeva l’obbligo e l’onere di curare la manutenzione del viadotto. Dovere del Governo è di fare viaggiare i cittadini in sicurezza. Tragedie simili non devono ripetersi. Mai più”
Da allora invero di acqua sotto i ponti, infiltrata nelle gallerie, in tutte le infrastrutture autostradali, in altri viadotti e ponti, ne è passata un bel po’. E non solo “la giustizia fa il suo corso” come al solito in Italia, un lungo corso. Ma “le procedure di revoca della concessione”, ben lungi dall’essere state “immediatamente avviate”, sono ancora in discussione da parte del governo Conte 2. Inserite, dopo un anno e mezzo dal crollo del Morandi, nel decreto Milleproroghe di fine dicembre, su di esse ancora oggi gli esponenti dei partiti al governo si fanno la guerra. E’ ovvio, stiamo parlando di grandi interessi che toccano gruppi imprenditoriali potenti economicamente a cui i partiti politici sono legati e devono rispondere.
Pertanto nel frattempo gli automobilisti percorrono le autostrade italiane, a proprio rischio e pericolo, continuando a pagare pedaggi salati e arricchendo le stesse identiche concessionarie cui lo Stato ha “concesso” venti anni fa il patrimonio autostradale. E ciò nonostante i numerosi dossier, le inchieste giornalistiche che negli anni hanno denunciato le modalità con cui i vari politici governanti la macchina dello Stato hanno assegnato e riconfermato le concessioni, rappresentando proprio gli interessi di quella grande borghesia. A partire da Prodi (presidente del consiglio) e da suo ministro del tesoro, quel Carlo Azeglio Ciampi commemorato qualche giorno fa come grande servitore dello Stato da Mattarella, i quali nel 1997 diedero avvio per decreto alla prima concessione autostradale, ovvero il passaggio della gestione delle autostrade da Anas all’allora Società Autostrade, ancora di proprietà dell’IRI, ovvero dello Stato.
Il grande economista al servizio dello Stato (Ciampi, annovera tra le cariche ricoperte anche quella di governatore della Banca d’Italia) metteva così allora le basi per il colpaccio di alcuni “particolari” padroni italiani sul business autostradale. Infatti, dopo nemmeno 2 anni, nel 1999, i Benetton attraverso Società Schemaventotto Spa acquisivano il controllo di Società Autostrade con il 30% delle azioni, il restante 70% rimaneva sul mercato. Allo Stato (all’azionista IRI) il capitale privato pagava 5.500 miliardi delle vecchie lire (2,8 miliardi di euro). Ma se il passaggio di proprietà di fatto avveniva con un capitale irrisorio – va ricordato che quelle privatizzazioni venivano propagandate utili a ridurre il debito pubblico per entrare in Europa – l’onere delle manutenzioni, da lì in avanti, non sarebbe più ricaduto sulle casse pubbliche, almeno così dicevano i “servitori” dello Stato di allora.
Negli anni successivi, invece, non solo non vennero fatti né investimenti, né manutenzioni, ma addirittura, “forte di incassi da pedaggi (11 miliardi) cresciuti negli anni del 21% con l’aumento del traffico a fronte di investimenti più contenuti (il 16% di quanto previsto), Schemaventotto lanciò l’opa totalitaria del 2003 destinata a portarle la consistente maggioranza di Autostrade (l’84%, quota poi successivamente ridotta) per 6,4 miliardi”(Sole24ore del 17/8/2018). In pratica i Benetton, che con circa un terzo del capitale avevano ottenuto la gallina dalle uova d’oro dai partiti politici che li rappresentavano in parlamento, in soli 4 anni avevano, con gli stessi introiti della gestione, potuto ottenere quasi la totalità del capitale. Una “furbata” permessa e rinnovata dai vari governi e partiti che rinnovarono di volta in volta le concessioni, prima al 2018, poi al 2038 e infine al 2042, ed ogni anno autorizzando l’aumento dei pedaggi. Stiamo parlando di governi di diverso schieramento succedutisi in questi ultimi 20 anni: Prodi, D’Alema, ma anche Berlusconi con la Lega nel 2008 e poi Renzi.
Oggi, dopo il Morandi, alle inchieste giornalistiche si sono aggiunti interventi della magistratura, che non ha potuto evitare di bloccare rilevanti tratte autostradali a seguito di allarmi di pericolo dovuti all’abbandono negli anni degli interventi di manutenzione. Sono tornate a emergere tutte le magagne, come quella sulla mancata adeguatezza delle gallerie alle norme antincendio europee. Ed infine si è aggiunta anche, a metà dicembre, una relazione della Corte dei Conti, cioè l’organo di controllo per la buona gestione economica dello Stato. Nella relazione viene messo nero su bianco che per le concessionarie autostradali si rilevano «investimenti sottodimensionati ed extraprofitti» per poi aggiungere che «la ventennale vicenda della privatizzazione delle autostrade ha dimostrato che vi sono state carenze gestorie, soprattutto nei primi tempi: a) sulle tariffe, non regolate sinora da un’Autorità indipendente secondo criteri di rigoroso orientamento al costo; b) sul capitale, non remunerato con criteri trasparenti e di mercato; c) sulla verifica periodica dell’allineamento delle tariffe ai costi; d) sui controlli degli investimenti, anche attraverso l’accertamento delle capacità realizzative e manutentive».
Parliamo di una relazione di 188 pagine di cui non possiamo che riportare brevi stralci accusatori, e che ricorda, ora, che già nel passato la Corte si era espressa contro le decisioni dei governi, dichiarando ad esempio “ illegittimo l’affidamento della più importante concessione”, la prima, quella del 1997 (Prodi-Ciampi). E poi che “nel 2008 le convenzioni autostradali vigenti furono approvate per legge, pur trattandosi di rapporti privatistici, per superare le rilevanti obiezioni sollevate degli organi tecnici e di controllo anche con riguardo ai rigorosi principi europei sulle proroghe legislative”, che, tradotto, significa che per favorire lo stesso le grandi imprese concessionarie, nonostante le obiezioni tecniche e giuridiche, il governo e il parlamento promulgarono delle leggi ad hoc per mettere al riparo i padroni da giudici zelanti e dall’Unione Europea. Siamo qua all’assurdo di un organo di controllo dello Stato, creato apposta a tutela degli interessi economici dello Stato, che accusa il fior fiore di governanti dello Stato di essere partiti con una concessione “illegittima” e aver continuato per 20 anni di anomalia in anomalia, ma ciò nonostante tutto è andato avanti – e andrà avanti – come se nulla fosse. Fino ad arrivare ai morti.
Va detto, infine, che la Corte dei Conti nelle sue conclusioni indica forse al governo Conte, e forse agli stessi padroni, qual è la soluzione che potrebbe andare bene per tutti: una diversa distribuzione dei profitti ottenuti sulle tratte autostradali tra Stato e concessionaria. Come intendere altrimenti frasi come “Il principio della leale collaborazione dovrebbe essere a fondamento dei rapporti tra concedente e concessionarie, essendo l’istituto concessorio volto a tutelare, anzitutto, il superiore interesse all’efficiente gestione della rete autostradale”. Oppure quella per cui “In tale fase, occorre cogliere l’opportunità di individuare il punto di equilibrio fra remunerazione del capitale e tutela degli interessi pubblici e dei consumatori”. In fondo nessuna revoca delle concessioni ma una diversa spartizione del bottino. Nessuno in galera per i morti del Morandi e i pedaggi si continuano a pagare come se niente fosse successo.
R.P.
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