L’ex Ilva ha aperto la procedura di cigs a zero ore per 130 dipendenti su 1089 a partire dal 30 marzo. Nello stesso tempo, decreto corona virus alla mano, impedisce agli operai di fare assemblea per organizzare la protesta. Picchiare su un avversario con le mani legate è da vigliacchi.
Di
fronte all’esplosione della malattia legata al corona virus che
mano mano che il tempo passa si sta sempre più riscontrando come una
vera e propria pandemia, le differenze sociali
si
stanno facendo ogni giorno più marcate e sta venendo in luce come
questa malattia, ed i decreti del governo ad essa collegati per
evitare l’espansione del morbo, evidenzino
la divisione in classi degli esposti al pericolo e le relative
conseguenze sugli operai. Alcuni di questi provvedimenti, o di
mancati provvedimenti, colpiscono direttamente la salute degli operai
e la loro mancata prevenzione alla malattia.
Mentre il decreto
stabilisce una serie di norme restrittive per la circolazione di
persone e per la chiusura di impianti sportivi, di cinema, di teatri,
di fiere e di manifestazioni varie e di qualsiasi tipo, con l’intento
di limitare l’assembramento di persone e così il contagio, per gli
operai queste regole non valgono. Gli operai, che sono costretti a
lavorare gomito a gomito sulle linee di montaggio, sui cantieri,
negli hub della logistica ed in qualsiasi altra fabbrica dove si
produce l’intera ricchezza del paese, sono costretti (tranne i casi
più eclatanti) a continuare a recarsi al lavoro come se nulla fosse.
Il governo, così solerte nel stabilire regole e divieti, in
questo caso non dà
nessuna indicazione di limitazione alle attività produttive. Come se
per gli operai il contagio non fosse un rischio evidente. Per questi
nuovi schiavi non spende nemmeno una parola di riguardo, applicando
addirittura una deroga alla “rigida” norma della distanza di
sicurezza per i supermercati, i centri commerciali e tutti i grandi
magazzini, dove le commesse e gli addetti alla scaffalatura sono
costretti a stare a stretto contatto con migliaia e migliaia di
persone ogni giorno.
A questo si aggiunge il fatto che il
governo ha deciso anche restrizioni di assembramento
(assemblee
sui luoghi di lavoro) di manifestazioni e di scioperi. Sospendendo di
fatto le libertà sindacali più importanti (Decreto della Presidenza
del Consiglio dei Ministri di mercoledì 4 marzo).
Nelle
fabbriche dove gli operai attraverso lo sfruttamento del loro
plusvalore realizzano la ricchezza per tutta la società e per tutte
le classi sociali il corona virus per decreto ministeriale si ferma
al limitare del cancello. Nei reparti produttivi, negli spogliatoi,
nelle mense di fabbrica il contagio smette per incanto di
trasmettersi da un individuo all’altro. Potenza del capitale e delle
sue leggi.
Uno degli esempi più eclatanti arriva dalla
ArcelorMittal
(ex
Ilva) di
Cornigliano dove la direzione aziendale ha fatto partire la cassa
integrazione a zero ore della durata di 13 settimane per 130
lavoratori (84 operai) a partire dal 30 marzo, mentre il resto degli
operai continuerà a lavorare. L’Arcelor ha da subito respinto la
richiesta degli operai di potersi riunire in assemblea per capire
come l’azienda intenda affrontare l’emergenza sanitaria e per
rispondere all’introduzione della cassa integrazione. Arcelor forte
del decreto ministeriale ha fatto sapere che le assemblee si
potranno svolgere solo a partire dal 4 aprile (sempre che tutto sia
finito).
L’autorità di garanzia per gli scioperi ha emesso a
tal proposito un comunicato che stoppa ogni forma di sciopero,
inviando una nota alle organizzazioni sindacali, in cui scrive: «un
fermo invito a tutte le Organizzazioni sindacali affinché non
vengano effettuate astensioni collettive dal 25 febbraio al 31 marzo
2020».
Invito
naturalmente subito accolto dai confederali come cosa sacrosanta ed
indispensabile in nome della sacra unione della nazione davanti al
pericolo, apprestandosi di corsa a fare da scendiletto al governo,
accettando le più obbrobriose richieste padronali. Senza
nemmeno pensare che così, oltre ai “servizi pubblici essenziali”,
si bloccano le
proteste di
categorie, come quella metalmeccanica, che nulla c’entrano, sotto
il profilo formale, con i servizi essenziali, avendo tra l’altro in
corso il nuovo rinnovo contrattuale. Ma per accontentare i padroni si
fa questo ed altro.
Ma mentre il divieto di manifestazione, di
sciopero e di assemblee vieta agli operai di riunirsi e di scioperare
per i loro interessi la mannaia del governo non è così fiscale nei
confronti dei rampolli della media borghesia milanese che, in barba
ai decreti ministeriali, continua a condurre la propria bella vita
intasando e concentrandosi nei luoghi più alla moda della movida
milanese, ammassandosi sulle piste da sci delle località più
famose, oltreché radunandosi sulle spiagge più esclusive della
vicina Liguria. Ma per i padroni del vapore le leggi non
valgono.
D.C.
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