Il protocollo di intesa firmato stanotte fra sindacati governo e CONFINDUSTRIA è una classica buffonata all’italiana. Sarebbe da riderci sopra se non fosse una tragedia. 13 punti di raccomandazioni, nessun obbligo. I padroni con qualche impegno su mascherine e sanificazione sono liberi di decidere, sulla base dei loro interessi, di tenere aperte o chiudere le fabbriche. I dirigenti sindacali come sempre dichiarano la loro piena soddisfazione, hanno ottenuto la dichiarazione “formale” che la salute dei lavoratori viene prima di ogni cosa e a loro basta. Mentre agli operai toccherebbe tornare a lavorare, nelle stesse condizioni di pericolo di contagio dei giorni passati.
Eppure gli scioperi e le proteste volevano ben altro: fermare le fabbriche, non rischiare la pelle per il profitto.
I sindacalisti di professione hanno voluto dare alle proteste un contenuto particolare. Sciogliere tutto in una contrattazione sindacale, fabbrica per fabbrica, dove c’è il solito teatrino gestito da delegati compromessi e rappresentanti alla sicurezza compiacenti o ricattabili. Chi doveva e poteva chiudere per l’emergenza tutte le fabbriche con l’eccezione di quelle necessarie, con un decreto centrale, il governo, si è sfilato, ha lasciato alla trattativa fra le parti una questione così grave come l’epidemia da coronavirus.
Ma siamo solo agli inizi. Questa volta gli operai non si faranno prendere in giro. Gli scioperi continueranno, e dai singoli contrasti con i singoli padroni si passerà sicuramente alla necessità di imporre al governo, al potere pubblico, una minima misura di salute pubblica: la chiusura delle fabbriche. Per arrivare a questo punto gli operai devono agire come classe sociale, che un’altra classe, quella dei padroni, vuol sacrificare sull’altare del profitto. Intanto nelle zone ad alta intensità industriale il coronavirus non si ferma … e sta aspettando gli operai al lavoro, lunedì.
E.A.
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