Renzi lo ha sostenuto apertamente, gli operai devono tornare al lavoro prima di Pasqua, meglio rischiare il contagio che rischiare di perdere produzione e profitti. Lo avevamo già visto in azione col jobs act, introdusse la libertà di licenziare dando mano libera agli industriali per far fuori tutti gli operai scomodi e conflittuali. Lo avevamo già individuato come l’uomo politico che più di tutti, apertamente e senza remore, rappresentava gli interessi di industriali e banchieri. Il ruffiano, primo della classe che non si vergogna di quello che dice e fa, contro gli altri perché sa di avere le spalle coperte dal professore, dal più forte. In questo caso fa il primo della classe per un personaggio che si chiama Boccia presidente di Confindustria. Un rappresentante degno di una classe, quella degli industriali, che ha resistito in tutti i modi al fermo delle fabbriche pur sapendo che sarebbero diventati centri del contagio. Una classe che, quando il governo di fronte a 50mila contagiati ha iniziato a chiedere di tenere chiuse le fabbriche non essenziali, ha manovrato in tutti i modi per tenerne aperte il maggior numero possibile. Senza curarsi che nelle maggiori concentrazioni industriali del Nord si moriva al punto di non avere più posto dove seppellire i morti. Sono stati gli operai stessi con scioperi e proteste ad imporre la chiusura delle fabbriche, ma tante sono rimaste in attività, non solo perché previste dal decreto colabrodo del 25 marzo ma anche col gioco sporco di permessi prefettizi, accordi sindacali su misura che, con impegni formali a mascherine e sanificazione, hanno aggirato i decreti stessi.
Tutto questo tira e molla per fermare le fabbriche, e nemmeno tutte, per qualche giorno, con la Confindustria che ha pianto dalla mattina alla sera sui miliardi che stanno perdendo. Che bello scoprire che il lavoro di questi operai, malpagati e messi in un angolo dalla moderna tecnologia siano i produttori diretti di tanta ricchezza ai quali i padroni non vogliono rinunciare nemmeno in presenza di una pandemia da 12.000 morti al momento che scriviamo, solo in Italia e solo forse a metà strada del suo sviluppo. È ancora più interessante scoprire che tutta la ricchezza che hanno accumulato fino ad ora è come se non esistesse più, che se non riprendono da subito a pompare profitti dalle fabbriche dicono di essere alla canna del gas: non hanno solo bisogno di ricchezza, ma di ricchezza ravvivata costantemente dal lavoro non pagato degli operai. Con il salario il padrone non ci paga il valore delle merci che produciamo, ma solo il valore delle braccia che producono.
Il 4 aprile è di sabato, e il lunedi successivo è il primo giorno di lavoro della settimana, scade la farsa del fermo delle fabbriche non necessarie, e il signor Boccia è un po’ in difficoltà. Si è già esposto troppo, un suo uomo in Lombardia (presidente di Assolombarda) ha dovuto dichiarare ai giornali “non siamo noi gli untori, non siamo assassini”. Gli industriali probabilmente sanno e sentono che dalle valli della bergamasca e dal bresciano si fa strada fra gli operai un cattivo pensiero, che attribuisce la responsabilità di tanti morti a loro per non aver fermato subito le fabbriche, e vogliono evitare che questa opinione si fissi nella mente dei sopravvissuti. A questo punto c’è bisogno di un esponente politico, parte del governo, della maggioranza di Conte, con la sfrontatezza del primo della classe pronto a dimostrare ai suoi padroni e padrini di esser bravo, sveglio e tempestivo. Un piccolo uomo, che tragga dai pasticci Boccia e soci. Non possono essere ancora loro ad esporsi, a chiedere il ravvio delle fabbriche dopo solo due settimane, con il contagio ancora così alto, non farebbero che sputtanare loro stessi come componenti centrali di una classe che non si ferma per i suoi guadagni davanti a niente. Il piccolo uomo è Renzi, dichiara senza vergogna “le fabbriche devono riaprire prima di Pasqua”, e proprio nel momento in cui stanno aprendo tanti ospedali di emergenza, i nuovi lazzaretti del XXI secolo.
Immaginiamo i suoi scagnozzi seduti al tavolo del governo, impegnati a chiedere la riapertura delle fabbriche prima di Pasqua e lo fanno come componente politica della maggioranza. Conte che ha già ceduto alle pressioni formali delle associazioni padronali, ora per la sua sopravvivenza politica dovrà fare i conti con pressioni interne alla sua maggioranza. Gli operai dovranno tornare al lavoro al più presto, prima di Pasqua ha chiesto Renzi spinto a fare il primo della classe per gli industriali e banchieri.
Non ha ancora vinto, l’enormità della pandemia non permette subito una svolta del genere, ma questa necessità, che gli operai siano i primi a rischiare la pelle per far ripartire l’economia, e con essa gli affari delle classi superiori, è stata enunciata, e sono tutti disposti a sostenerla, nei tempi e nei modi accettabili, sicuramente il prima possibile.
Da questa situazione si traggono due conclusioni. La prima, che gli industriali si sono attrezzati per avere un portavoce politico che li può ben rappresentare nella pubblica opinione con tutti gli strumenti del caso, televisione e giornali. La seconda, in tutto questo assoluto rumore sul coronavirus, che ci propina la tv dalla mattina alla sera, non si è mai sentita una voce forte che abbia denunciato come untori quei padroni che costringono gli operai al lavoro per produzioni che in questa situazione non sono oggettivamente necessarie.
Nessuna voce si è sollevata. Gli operai non hanno nessuno strumento politico che gli sia proprio, così forte che sappia far valere i loro interessi sociali. Non hanno un partito. Nemmeno possono più rimandarne la costituzione in grande. Alla fine a Renzi, che voleva aprire la fabbriche prima di Pasqua, non possiamo che rispondere alla rusticana “a te la mala Pasqua”.
E.A.
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