All’ArcelorMittal di Taranto un operaio è stato accertato positivo al coronavirus. Il prefetto ha ratificato la volontà della multinazionale e le ha consentito prima di produrre, poi anche di vendere l’acciaio. I sindacati hanno preso atto
Il
prefetto di Taranto ha tolto ad ArcelorMittal il divieto di
commercializzare l’acciaio prodotto nello stabilimento siderurgico,
compreso nel decreto emesso il 26 marzo. Il prefetto aveva disposto
la messa al minimo degli impianti
fino al 3 aprile, con la sospensione dell’attività produttiva ai
fini commerciali, garantendone il mantenimento, la salvaguardia e la
sicurezza, e l’impiego fino a 3.500 operai diretti e 2.000
dell’indotto nelle 24 ore, consentendo alla multinazionale di poter
contare su almeno 5.500 operai, costretti a produrre a stretto
contatto fra loro.
Prima
del decreto del 26 marzo, sindacati e azienda si erano accordati per
assestare l’organico a 3.200 operai diretti. Poi Fiom, Fim, Uilm e
Usb, quando un operaio è stato accertato positivo al coronavirus,
piuttosto che organizzare uno sciopero serio che portasse alla
chiusura della fabbrica per evitare agli operai ogni rischio di
contagio, hanno chiesto di ridurre il numero concordato, trovando
l’opposizione della multinazionale. Sicché se ne erano lavate le
mani rimandando ogni decisione al prefetto, il quale aveva di fatto
accontentato le richieste di ArcelorMittal, pronta a ribadire che
nello
stabilimento tutto restava invariato, si continuava a produrre.
Ma
l’acciaio prodotto deve essere venduto per tramutarsi in profitto,
per cui le richieste della multinazionale sono state ascoltate fino
in fondo: gli operai (quelli che realmente le servono, gli altri alla
malora in cassa integrazione) a produrre, fregandosene dei rischi di
contagio, l’acciaio prodotto sul mercato.
Infatti il prefetto,
dopo il 3 aprile, ha emesso un nuovo decreto che non ha prorogato il
precedente: consente invece la commercializzazione dell’acciaio
prodotto ed elimina il limite numerico di impiego di operai prima
fissato, cioè 3.500 diretti di ArcelorMittal e 2.000 di imprese
esterne. Naturalmente ArcelorMittal ha inviato alla prefettura una
nota in cui conferma l’attuale assetto di marcia “come impegno
per il futuro”. Non era l’obiettivo
su cui aveva puntato minacciando di lasciare l’Italia con la scusa
del blocco dello scudo penale, cassintegrare oltre 4.500 operai e
ridurre la produzione alle reali esigenze di mercato?
E
i sindacati? Ancora una volta “pacati” e “disinteressati”!
Hanno preso atto della decisione del prefetto e della conferma di
ArcelorMittal e le hanno pacificamente accettate, pronti a farle
ingoiare agli operai costretti ad andare a lavorare. «Il
provvedimento del prefetto? Non entro nel merito, ma mi sembra un
passo indietro rispetto a quanto stabilito il 26 marzo
– ha dichiarato Antonio Talò, segretario Uilm Taranto -. Non
vorrei che questo fosse stato l’effetto delle continue pressioni
esercitate dall’azienda in questi giorni a tutti i livelli». Che
brutta fine si fa quando si crede e si fa credere agli operai che le
istituzioni sono al di sopra delle parti. La prefettura di Taranto ha
servito gli interessi dell’ArcelorMittal non certo quelli degli
operai che rischiano il contagio, é evidente, ma solo per chi domani
dovrà varcare i cancelli assieme al coronavirus.
L.R.
Comments Closed