Per operai e lavoratori poveri tutto andrà peggio, il “nuovo” mondo non sarà che quello vecchio, ma più feroce e pesante da sopportare. A meno che … l’ombra della ghigliottina del 1789 non si ripresenti
Come
sarà il mondo una volta passata l’emergenza Coronavirus? È una
domanda che da alcune settimane rimbalza continuamente sulla carta
stampata, sul web e nelle trasmissioni radiofoniche e televisive. Una
domanda che, per l’epocalità della vicenda che stiamo vivendo,
vuole dare una risposta tranquillizzante a un’angoscia collettiva
espressa in interrogativi che la “gente comune” quotidianamente
si pone: come ne usciremo? che accadrà dopo? come vivremo?
Chi
si chiede come sarà il mondo dopo l’emergenza (giornalisti,
sociologi, opinionisti, commentatori vari) risponde invariabilmente
che sarà senza dubbio migliore. Tanto duro è stato l’impatto
dell’epidemia, oltre 20.000 morti in un crescendo inarrestabile di
dolori e sofferenze per giorni e settimane, tanto palesi sono apparse
le mortali conseguenze dello smantellamento della sanità pubblica,
tanto evidente è stata l’inadeguatezza dello stato nel
fronteggiare l’emergenza, da mobilitare schiere di formatori a
vario titolo dell’opinione pubblica, tutti chiamati a raccolta e
messi all’opera per infondere, a un “popolo” disorientato, a
una “collettività” confusa, ottimismo e speranza. Naturalmente i
messaggi pacificatori e rasserenanti sembrano rivolti
indifferentemente a tutti, secondo un ben calcolato spirito
interclassista che individui il “nemico” nel (e solo nel)
Coronavirus, faccia sentire tutti “sulla stessa barca”, smussi i
contrasti, appiani le differenze, zittisca la critica. E che cosa
invocano tali formatori affinché il mondo di domani sia migliore? Un
sistema sanitario rafforzato, un rapporto più vivo con la natura,
una più elevata qualità delle città, scienza e istruzione più in
alto nella scala dei valori sociali… richieste buone per tutti e
per tutte le stagioni, ottime per dare una parvenza di
cambiamento e per nascondere le contraddizioni di classe che proprio
durante questa emergenza sono diventate ancora più aspre e
stridenti.
In
futuro, fra qualche mese, forse che i padroni, grandi, medi e
piccoli, smetteranno di fare i padroni, di arricchirsi sulla pelle
degli operai appropriandosi del loro lavoro non pagato? Forse che le
classi privilegiate non approfitteranno più della fatica degli
operai per continuare a fare la bella vita? Forse che gli operai non
saranno più costretti a vendere la forza delle loro braccia per
sopravvivere? Forse che gli operai non dovranno più sopportare
incidenti, malattie e morti? Forse che una pletora di piccolo
borghesi di varia natura smetterà di dirsi disposta ad attaccare gli
operai in ogni modo e, in virtù di ciò, di sedersi ai piedi dei
potenti per raccattare le briciole cadute dai tavoli dei loro affari?
Niente di tutto questo. Il mondo futuro non sarà che quello vecchio,
ma più feroce e pesante da sopportare, lo è già diventato. I
padroni, con la complicità del governo e di altre istituzioni
borghesi, hanno costretto gli operai ad andare a lavorare nel pieno
del contagio, ora premono e forzano per riaprire le attività,
incuranti degli ammonimenti di virologi e altri scienziati. Ieri
liberisti e antistatalisti, ora lamentano perdite e battono cassa
reclamando l’intervento dello stato. Si apprestano a cassintegrare
e licenziare in massa, pur di salvare se stessi e il proprio futuro.
Le classi intermedie appoggiano i padroni, tanto essi non vanno né a
morire in fabbrica né a finire sul lastrico a morire di fame. Gli
operai e gli altri proletari hanno già visto che cosa li aspetta:
morte, fame, miseria, sono costretti a obbedire, per non morire di
fame, ma non basterà la rassegnazione per salvarsi. I nuovi mondi si
affermano solo demolendo i vecchi, i nuovi mondi li costruiscono
nuove classi sociali superando le vecchie che hanno fallito.
L.R.
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