Un sistema di pagamento a tariffa oraria, senza contratto, senza diritti. 10 euro per un’ora di lavoro tassate al 25% alla faccia della flat-tax del 15% delle partite IVA. Una copertura legale del lavoro nero che rimane nero, a salario povero, a precariato a ore, che serve a lavare la faccia agli “imprenditori” che vogliono arricchirsi nella legalità
Con la legge di bilancio 2023 il governo Meloni ha solo in apparenza semplicemente riorganizzato e legalizzato il lavoro nero stagionale, occasionale e accessorio, con la reintroduzione, allargata, dei voucher lavoro (o buoni lavoro o buoni pagamento). In realtà ha creato le condizioni per ampliarlo e renderlo ancora più illegale e selvaggio. Lo ha fatto per compiacere la volontà e gli interessi dei capitalisti agrari, dei padroni e padroncini del settore alberghi, ristorazione, caffè e catering, di quelli impegnati nelle attività di cura della persona e di quanti altri borghesi vorranno usufruire di lavoratori domestici, cioè di una parte considerevole della sua base di consenso politico ed elettorale, secondo il principio di “non disturbare chi vuole lavorare e produrre ricchezza”. E lo ha fatto facendo preliminarmente franare sotto i piedi di centinaia di migliaia di operai precari il terreno già fangoso del reddito di cittadinanza.
Infatti sempre con la legge di bilancio il governo Meloni ha limitato per il 2023 la possibilità di presentare domande nuove o di rinnovo del reddito di cittadinanza, riducendo l’assegno a solo otto mensilità per tutti coloro che fanno parte di un nucleo familiare in cui non sono presenti minori, disabili o persone con più di 60 anni, e ha abrogato il reddito di cittadinanza per tutti a partire dal 1° gennaio 2024.
Con il ridimensionamento prima e la scomparsa poi del reddito di cittadinanza sparirà l’elemosina che esso rappresentava per i proletari più poveri: l’importo medio mensile erogato a livello nazionale è stato pari nel 2022 ad appena 582,04 euro, per 1.479.809 nuclei percettori di almeno una mensilità, con 3.386.231 persone coinvolte. Dal 2023 e ancor più dal 2024 questi e altri proletari dovranno guadagnarsi la stessa elemosina sgobbando a ore nei campi, negli alberghi, nei ristoranti, nei caffè, nelle case dei ricchi borghesi. E per ogni ora di lavoro dovrebbero ricevere in teoria un voucher di 10 euro lordi, pari a circa 7,50 euro netti, mentre gli altri 2,50 € verranno trattenuti per garantire un minimo di copertura previdenziale Inps e di copertura assicurativa presso l’Inail, ma non dà diritto alle prestazioni di malattia, maternità, disoccupazione e ad assegni familiari. Una tassazione del 25% alla faccia della Flat-tax del 15% delle partite IVA.
Meloni e con lei l’intero centro-destra stanno così realizzando due dei cavalli di battaglia del loro programma politico ed elettorale: eliminare il reddito di cittadinanza e, secondo un’espressione giornalistica borghese, “rendere dinamico il mercato del lavoro”, cioè mettere a disposizione di padroni e padroncini centinaia di migliaia di operai ricattabili per fame e perciò costretti ad accettare le peggiori condizioni di lavoro e sfruttamento. Perché i capitalisti di ogni grado sono disposti a concedere un’elemosina purché sia salariale, cioè vada, con il lavoro delle braccia, a valorizzare, in altre parole aumentare, il capitale investito in un tendone di uva da tavola o in un albergo di lusso.
I voucher lavoro non sono una novità nell’ordinamento giuridico del lavoro salariato in Italia. Istituiti per la prima volta con il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, la cosiddetta “legge Biagi”, erano diventati lo strumento per nascondere il lavoro nero e pagare ancora di meno gli operai dei previsti 10 euro lordi all’ora. Come afferma l’avvocato giuslavorista Vincenzo Martino “i voucher venivano usati come scorta. Si prendeva un lavoratore in nero e solo in caso di controlli si attivava il voucher”. A marzo 2017 il governo Gentiloni cancellò questa forma di pagamento, per evitare di affrontare un referendum abrogativo indetto dalla Cgil per il 28 maggio sotto la spinta popolare sempre più insofferente verso i voucher, salvo poi reintrodurla, ma con paletti più stretti, attraverso il Libretto di famiglia gestito dall’Inps e il PrestO (contratto di prestazione occasionale).
Dopo essere stati messi da parte per sei anni, il governo Meloni, dopo mesi di attacco mitragliato al reddito di cittadinanza e ai suoi percettori, ha deciso di reintrodurre i voucher dal 1° gennaio 2023. Per il momento per il settore dell’agricoltura, per il comparto Horeca (hotellerie-restaurant-café o catering), per le attività di cura della persona e per il lavoro domestico. Ma è possibile che il loro utilizzo venga allargato, in sede di discussione della legge di bilancio in parlamento, o anche in un secondo tempo, a ogni altra forma di lavoro stagionale o occasionale. Confesercenti ha già chiesto al governo di includere tutto il settore turismo, quindi, fra l’altro, anche la gestione degli stabilimenti balneari, i cui titolari protestavano la scorsa estate la mancanza di manodopera.
Col ripristino dei voucher il governo Meloni ha risolto le attese di tanti padroni e padroncini dei campi e del turismo che nel 2022 hanno lamentato la scarsità di braccianti nei campi, di inservienti negli alberghi e nei ristoranti e altrove. In particolare i capitalisti agrari si dicevano “disperati” per non riuscire a raccogliere tutti i prodotti in campo (fragole, pesche, albicocche, ecc.) per mancanza di operai ed essere costretti ad abbandonarli sulle piante. Certo, sono soggetti particolari questi padroni: quando non raccolgono frutta e ortaggi per crisi di sovrapproduzione non gliene importa nulla dei braccianti che restano disoccupati e fanno la fame (mentre frutta e ortaggi marciscono nei campi) e anzi chiedono ristori economici allo stato; invece quando il mercato tira e manca forza-lavoro bracciantile si accaniscono contro coloro che preferiscono prendersi il reddito di cittadinanza e stare sul divano piuttosto che andare a farsi sfruttare nei campi!
I voucher tornano, quindi, ma diversi da prima, peggiorativi della condizione di lavoro dei lavoratori che verranno pagati con essi. In pratica il governo Meloni allarga le possibilità del loro impiego: passa da 5mila a 10mila euro l’importo delle prestazioni che ogni utilizzatore (impresa o famiglia) potrà pagare ogni anno con i voucher; aumenta il numero di imprese capitalistiche che potranno pagare con i voucher, perché il tetto massimo di dipendenti a tempo indeterminato al loro interno passa da 5 a 10 (e in Italia sono tantissime le piccole imprese capitalistiche con meno di 10 dipendenti), e in più tale tetto non vale per aziende alberghiere e strutture ricettive che operano nel settore del turismo; sparisce ogni limite rispetto alle categorie di “prestatori” a cui i padroni potranno fare ricorso: i voucher non saranno più riservati a pensionati, giovani sotto i 25 anni, cassintegrati e disoccupati, ma potrà riguardare tutte le categorie lavorative. Nei campi, in particolare, i voucher saranno utilizzabili teoricamente per un periodo non superiore a 45 giorni nell’anno solare e per ogni giornata lavorativa verranno corrisposti all’operaio almeno tre buoni lavoro. Ma in pratica si tornerà a lavorare, nei settori stabiliti, in primo luogo agricoltura e turismo, pressoché solo con i voucher. O, peggio ancora, i padroni riutilizzeranno i voucher solo in caso di controlli, com’è accaduto negli anni scorsi, facendo tornare il lavoro nero nella piena illegalità formale e sostanziale. I padroni si fregano le mani e se la ridono quando il nuovo ministro del lavoro, Marina Calderone, per opportunità politica assicura che “il ritorno dei voucher lavoro sarà comunque accompagnato da controlli molto rigidi per evitarne l’uso improprio”. Se mancano i controlli sulla sicurezza sul lavoro, e lo testimonia lo stillicidio di operai che muoiono ogni giorno nelle industrie, sui cantieri e nei campi, chi ci crede che ci saranno controlli capillari sull’utilizzo corretto dei voucher?
Ovviamente i padroni plaudono al ritorno, allargato, dei voucher. Uno per tutti, Ettore Prandini, presidente di Coldiretti ed egli stesso capitalista agrario: “Siamo grati al governo per aver accolto le nostre sollecitazioni sul problema della manodopera agricola. L’arrivo dei buoni lavoro è importante nelle campagne dove occorre lavorare con la semplificazione burocratica per salvare i raccolti e garantire nuove opportunità di reddito in un momento particolarmente difficile per il Paese”. Così come si beano di parole molli come quelle del segretario nazionale della Cgil, Maurizio Landini, il quale, mentre i proletari si apprestano a piegare la schiena, filosofeggia che “contro una manovra sbagliata non escludo il ricorso allo sciopero”.
L. R.
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