A POZZUOLI SI CONTINUA A GIOCARE SULLA VITA DELLA POPOLAZIONE

Bradisismo: per il governo  vale solo “risparmiare”, salva i grandi capitalisti dell'edilizia, ma tanti saluti ai piccoli proprietari di case che la Meloni ha, a chiacchiere, “tanto a cuore”. Il governo di “destra”, con il colpevole assenso dei Sindaci locali di “sinistra”, in pratica non sta facendo niente. Per le popolazioni coinvolte una parola: “arrangiatevi”.
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Bradisismo: per il governo vale solo “risparmiare”, salva i grandi capitalisti dell’edilizia, ma tanti saluti ai piccoli proprietari di case che la Meloni ha, a chiacchiere, “tanto a cuore”. Il governo di “destra”, con il colpevole assenso dei Sindaci locali di “sinistra”, in pratica non sta facendo niente. Per le popolazioni coinvolte una parola: “arrangiatevi”.

In questi giorni due notizie, apparentemente slegate dal problema della crisi bradisismica nei Campi Flegrei, gettano invece su di esso una luce chiarificatrice, permettendo di capire come lo Stato stia affrontando, si fa per dire, l’emergenza in atto.

La prima notizia è quella del pronunciamento della Corte di Appello dell’Aquila che, confermando la sentenza di primo grado, non solo ha respinto le richieste di risarcimento dei familiari di alcuni giovani studenti universitari morti a causa del crollo del fabbricato dove alloggiavano in occasione del sisma del 2009, ma li ha anche condannati al pagamento delle spese processuali, oltre 14.000 € in totale. La colpa delle giovani vittime sarebbe di aver avuto un comportamento incauto, restando in casa malgrado le scosse, comportamento non riconducibile, secondo la Corte, alle rassicurazioni che in merito al fenomeno aveva rilasciato, alcuni giorni prima del sisma, la Commissione Grandi Rischi. In pratica, la vicenda processuale, che ha visto coinvolti membri di questa Commissione, ha pesato in maniera determinante anche su quest’ultima sentenza.

E’ noto che nel 2012 furono condannati in primo grado a sei anni di reclusione i componenti della Commissione Grandi Rischi per le dichiarazioni della riunione del 31 marzo 2009, che avevano rassicurato gli aquilani circa l’improbabilità di una forte scossa nel corso delle sequenze sismiche che interessavano da mesi l’area, scossa che invece si verificò alle 3,32 del 6 aprile 2009. Nel verbale ufficiale della riunione leggiamo: Il prof. Barberi conclude non c’è nessun motivo per cui si possa dire che una sequenza di scosse di bassa magnitudo possa essere considerata precursore di un forte evento. Il giudice di primo grado fa notare come “Tale conclusione, tuttavia, è in irriducibile contrasto con il fatto che la storia della città di L’Aquila è stata caratterizzata dal ripetersi di terremoti distruttivi preceduti da sciami sismici. In particolare sia il terremoto del 27 novembre 1461 che quello del 2 febbraio 1703 furono accompagnati da un’intensa attività sismica e vennero preceduti da sequenze sismiche. Il dato in esame, oltre ad essere contenuto in diverse fonti storiche, era stato espressamente introdotto in sede di riunione”.

La sentenza di condanna scatenò una canea di proteste. Si sarebbe processata la libertà della scienza, questo era l’argomento principale dei detrattori, come se non fosse evidente che quello che veniva sanzionato era, al contrario, proprio l’asservimento, presunto o no, della scienza alle autorità costituite. Altri facevano notare che con questa condanna nessun professionista avrebbe più accettato l’incarico di supportare la Protezione Civile, quando invece era chiaro che la sentenza avrebbe favorito l’indipendenza degli scienziati dalle eventuali pressioni delle autorità. Col covid abbiamo già avuto esempio di questa corsa a minimizzare che scatta non appena lo Stato deve affrontare una emergenza. Chi non ricorda gli aperitivi organizzati a Milano da Zingaretti e Salvini per dimostrare che il covid non poteva fermare la vita sociale, quando pochi giorni dopo scattò il lockdown? Oppure le dichiarazioni di Fontana, presidente della Regione Lombardia, del febbraio 2020, secondo cui il covid era poco più di una normale influenza?

Il pericoloso precedente della condanna rischiava dunque di compromettere il rapporto “collaborativo” fra scienza e autorità statali di prevenzione, rapporto che aveva fatto sì che gli edifici vulnerabili de L’Aquila non fossero stati preventivamente evacuati, col conseguente costo di 309 morti. Abbiamo avuto poi le due successive sentenze, di appello e di cassazione, che hanno ribaltato la decisione di primo grado, assolvendo i sei scienziati e condannando il solo De Bernardinis, ex numero due del Dipartimento nazionale di Protezione civile, a due anni di reclusione. Si badi bene che un perno della sentenza di appello, poi confermata in Cassazione, è che la riunione del 31 marzo, essendo stata irregolarmente convocata, non era da considerare come una riunione ufficiale. In pratica, quello che dovrebbe essere un aggravante, aver fatto una riunione “irregolare” per tranquillizzare la popolazione, viene usato come elemento fondamentale di discolpa.

Sulla portata di queste due sentenze è indicativa la dichiarazione di uno degli assolti, l’ex presidente dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia Enzo Boschi, secondo cui le motivazioni della sentenza potrebbero essere il punto di partenza per far convivere in Italia scienza e metodo scientifico con l’attività della magistratura. Le sette morti impunite e non risarcite dell’ultima sentenza choc da cui siamo partiti sono un limpido esempio di questo tipo di “convivenza”. Infatti, secondo l’interpretazione dei giudici di appello, gli studenti universitari non sarebbero morti perché rassicurati e dunque indotti a rimanere nei loro alloggi dalla Protezione civile attraverso la Commissione Grandi Rischi, ma per una sorta di loro incauta condotta. L’integrazione tra scienza, magistratura e politici è servita per evitare l’emergere di responsabilità dopo che si è invece tentato a tutti i costi di “sdrammatizzare”.

E’ evidente che in questo clima di “collaborazione”, tutelato dalla magistratura, gli scienziati chiamati in causa nella crisi bradisismica saranno molto più facilmente sensibili ad assecondare eventuali pressioni della Protezione Civile contro possibili “allarmismi” che invece, come successe purtroppo a L’Aquila, possono rivelarsi come previdente esposizione dei rischi concreti. Facciamo qualche esempio. La scossa massima finora verificatasi nei Campi Flegrei è stata di magnitudo 4.4 e centinaia di edifici a Pozzuoli sono stati dichiarati inagibili con più di 1.500 sfollati. In più di una occasione i vulcanologi hanno dichiarato che il valore massimo raggiungibile dalle scosse in quest’area può essere di 5.0 di magnitudo. Lo hanno dichiarato, anche se precisando che sarebbe una eventualità molto poco probabile, la stessa Francesca Bianco, direttrice del Dipartimento Vulcani dell’Ingv, e il 27 luglio, dopo una scossa di magnitudo 4.0, Mauro Di Vito, direttore dell’Osservatorio Vesuviano; ma c’è anche un recente studio, molto approfondito (Zollo ed altri) che individua il limite massimo raggiungibile dalle faglie presenti nella caldera, nel valore 5.1 di magnitudo. Nell’eventualità di un sisma di questa potenza, per giunta superficiale, gli effetti sulle abitazioni, soprattutto nell’area epicentrale, sarebbero devastanti. Ebbene, non mi risulta che finora questo rischio sia stato ufficialmente preso in carico dalla Commissione Grandi Rischi, eppure un valore di riferimento del sisma massimo atteso sarebbe essenziale nel mappare la vulnerabilità sismica degli edifici, decidendo quali andrebbero preventivamente evacuati e quali no. Altra questione è l’ipotesi che l’eruzione sia prevedibile, a causa dei molti precursori che l’annuncerebbero. Su questo i pareri dei vulcanologi non sono concordi e la stessa Commissione ha timidamente espresso la necessità di “approfondire” il problema, come ho fatto notare nel mio articolo precedente. Eppure il piano di evacuazione in caso di eruzione continua a presupporre che ci siano almeno 72 ore di tempo per allontanare la popolazione. Una follia, di cui si è talmente consapevoli in zona che nessuno ha accettato di partecipare alla buffonata delle prove di evacuazione.

La seconda notizia, utile per valutare le effettive politiche del governo nella crisi bradisismica, è la firma del protocollo fra Meloni e Manfredi sul processo di riqualificazione dell’area ex Italsider di Bagnoli. Non mi dilungherò in una critica approfondita del progetto, che, come si sa, prevede una spesa di ben 1,2 miliardi di euro di parte pubblica, con l’obiettivo, a mio parere velleitario, di attrarre anche investimenti privati per un importo superiore all’investimento pubblico. Sappiamo che si è scelto per la bonifica non la procedura più sicura, meno costosa e certamente molto più lenta, della piantumazione, che si basa sull’azione della natura per smaltire i contaminanti, preferendo altre metodologie, più rapide, ma molto più costose e la cui efficacia è ancora da verificare, al solo scopo di accorciare i tempi per iniziare gli investimenti. Un’area metropolitana così vasta non può non scatenare gli appetiti dei padroni e quindi per loro di tenere intatta la zona per molti decenni, dopo averci fatto crescere un parco boscoso, non se ne parla nemmeno. Quanto costerà questa scelta in termini di salute pubblica purtroppo sarà valutabile solo in futuro, mentre nell’immediato, già per contenere i costi esorbitanti, si parla di conservare, cementata, la colmata, piena di scarti industriali, una vera bomba ecologica ad orologeria. Inoltre, ci interessa poco qui che Manfredi, approfittando del suo ruolo di Commissario straordinario dell’area, abbia di fatto scavalcato De Luca, stabilendo un asse diretto col governo. Un po’ di più ci interessa che in realtà questi soldi erano già stati stanziati per la Regione, nel quadro del Fondo Nazionale di coesione, per cui il governo di fondi nuovi non ha stanziato nulla. Ci interessa perché lo stesso giochetto Musumeci lo ha fatto nell’ultimo decreto per il bradisismo, in cui una buona parte dei tanto decantati soldi previsti viene da questo Fondo per la coesione e non direttamente dallo Stato centrale. In pratica, i costi dell’emergenza bradisismo vengono fatti gravare soprattutto sui cittadini campani. Quello che balza agli occhi è che, mentre nel decreto bradisismo (art. 6 del decreto-legge 2 luglio 2024, n. 91) viene bloccata la realizzazione di nuove costruzioni con destinazione d’uso residenziale, lo stesso governo approva in pompa magna per Bagnoli, quindi all’interno della caldera flegrea, un massiccio intervento di edificazione, che, come ha dichiarato la stessa Meloni, prevede 1 milione e 600 mila metri cubi complessivi di edificato, di cui almeno un milione di metri cubi totalmente nuovi. La maggior parte di questi edifici avranno un uso residenziale o ricettivo. Ma che senso ha tutto questo? Perché bloccare l’intervento del singolo privato per poi ottenere lo stesso un aumento delle cubature con un intervento pubblico/privato? In pratica, quando si tratta degli interessi dei grandi capitali, che a Bagnoli prevedono ampi margini di guadagno, allora non c’è più nessun discorso di prevenzione del rischio vulcanico che tenga, ed i “nostri” politici non si vergognano neanche di autorizzare una cosa che appena il giorno prima hanno vietato per i singoli privati. Del resto, non possiamo dimenticare che chi a Pozzuoli ha costruito di più è stato proprio lo Stato, si pensi ai rioni popolari Inacasa, Solfatara, Artiaco, Gescal, Toiano, Monteruscello, ecc. con decine di migliaia di abitanti, ma anche l’Accademia Aeronautica, gli ospedali, le scuole, gli edifici pubblici.

Mi sia consentito di fermarmi un attimo su un altro aspetto di questo aumento delle cubature nell’area ex Italsider. La costruzione di nuovi edifici comporterà una massiccia movimentazione dei suoli, anche a profondità significative, con conseguente dispersione dei contaminanti lì presenti ed i primi a farne le spese saranno proprio gli operai occupati in queste lavorazioni e magari assunti mediante la cosiddetta “clausola sociale”, che privilegia i disoccupati residenti nel circondario.

La stessa difesa ad oltranza della piccola proprietà di cui si fregia il governo attuale, difesa che ha impedito finora l’applicazione di misure elementari, come le requisizioni di case ed alberghi, per soddisfare le richieste più importanti degli sfollati, viene del tutto rovesciata nel suo contrario di fronte agli interessi del grande capitale. Per Bagnoli sono previsti espropri di ettari ed ettari di terreni ed è in dubbio anche il destino delle case dello storico borgo di Coroglio, oggetto di un grosso intervento di risanamento, senza che i proprietari abbiano la certezza di poter tornare nelle proprie abitazioni. Da difensori della piccola proprietà quando si ha di fronte gli sfrattati, a spietati espropriatori di essa quando si ha di fronte l’interesse del grande capitale, queste sono le giravolte cui ci stanno abituando i saltimbanchi che sono al governo. Ma stesso discorso potremmo farlo per i sindaci dei comuni flegrei più colpiti dalla crisi bradisismica (Pozzuoli, Napoli, Bacoli). Tutti e tre di “sinistra”, ma tutti e tre proni alle scelte del governo centrale di destra. L’unica, peraltro flebile, critica che hanno fatto è sulla scelta di nominare un Commissario straordinario, che di fatto li esautora nella gestione dei fondi, mentre si sono guardati bene dal criticare su tutto il resto l’operato di Musumeci. “Collaborazione istituzionale” chiamano questo loro asservimento che è lontanissimo da qualsiasi accenno di politica di opposizione. Nel caso di Manfredi la convergenza con le politiche di governo sul territorio è plasticamente sancita dalla firma del protocollo su Bagnoli. Ma, parliamoci chiaro, come potremmo aspettarci un ruolo di critica e controllo sull’operato del governo per il problema bradisismo da uno che, nominato, sotto il governo Berlusconi, membro della commissione di collaudo per le migliaia di case prefabbricate date dal governo agli sfollati de L’Aquila, è finito a processo per il crollo di alcuni balconi di quelle case, costruiti con materiale scadente, per essere poi assolto solo per prescrizione, cioè per il superamento dei termini di tempo del processo?
L’analisi di queste due notizie ci dà allora uno sguardo spietato sull’attuale politica del governo.

“Il governo sta dando più di quanto non abbia il dovere di dare sui Campi Flegrei” ha dichiarato Musumeci. Ma allora vediamo cosa finora ha effettivamente fatto.

Come accennavamo sopra, la prima misura prevista dal decreto è la nomina di un commissario straordinario, “al fine di assicurare la celere realizzazione degli interventi”. Ma la nomina di commissari straordinari serve, in verità, soprattutto a rendere meno trasparenti le procedure e a metterle sotto il controllo del governo centrale, realizzando un carrozzone dai costi elevati. Ad es. già si prevedono (art. 2, comma 9 del decreto) costi per la struttura commissariale fino al 2027 di circa 13 milioni di euro. Vengono poi stanziati oltre 420 milioni di euro per la riqualificazione sismica degli edifici pubblici e per le infrastrutture di trasporto, mentre per la riqualificazione antisismica degli edifici privati non viene praticamente previsto nessun fondo, rimandando il tutto a piani che dovrebbero presentare i Comuni interessati. Intanto il suolo continua a salire, le scosse a farsi sentire ed anche forti, ed allegramente si attende quella 5.0…. Per i privati i fondi ci sono solo per quegli appartamenti che hanno subito danni per la scossa del 20 maggio, ma non per renderli antisismici, bensì per riparare i danni. Ed anche l’importo di questi fondi stanziati (circa 50 milioni in tre anni) non si capisce su che base sia stato calcolato. Per gli sfrattati (circa 1.500 solo a Pozzuoli) viene previsto solo un contributo per autonoma sistemazione, trascurando il fatto che i fitti delle aree limitrofe esterne alla caldera sono letteralmente schizzati. In realtà finora neanche un euro è stato dato agli sfrattati e solo a pochi di loro è stata offerta una sistemazione in albergo ma, spesso, a decine di chilometri da Pozzuoli e per giunta a termine, tanto che già si è dovuto elemosinare agli albergatori una proroga di soli altri 15 giorni.

Se sul piano della sicurezza sismica siamo ancora a zero, lo stesso possiamo dire per la sicurezza vulcanica. Abbiamo certamente un notevole impegno di monitoraggio del fenomeno, ma questo non basta se non si è in grado di conoscere le dinamiche profonde del vulcano, essenziali per fare una corretta valutazione del rischio. Si può certamente rilevare una risalita del magma verso la superficie? Si è sicuri che questa eventuale risalita avvenga con una certa lentezza e non con una rapidità tale da impedire ogni preventiva evacuazione? Sarà eventualmente possibile individuare in anticipo il punto di fuoriuscita del magma? Sono interrogativi su cui i vulcanologi sono in disaccordo, anche se ad es. non ci risulta che qualcuno abbia smentito gli studi dello scienziato Mastrolorenzo sulla velocità di risalita del magma nelle eruzioni flegree (vedi ad es. Mastrolorenzo – Pallalardo, “Magma degassing and crystallization processes during eruptions of high-risk Neapolitan-volcanoes …”).

Insomma, resta confermato il giudizio impietoso formulato nel precedente articolo. Il governo continua a giocare sulla pelle della popolazione. Il paragone con Scampia è evidente. Tutti sapevano del degrado e fatiscenza della Vela, ma nessuno ha fatto nulla e così ci sono scappati i morti. Solo che qui la scala delle vittime rischia di essere enormemente maggiore.

Musumeci, interessato a gestire e controllare i fondi impegnati, mette le mani avanti criticando in più occasioni gli abitanti, in quanto incoscienti del rischio e pronti a minimizzare il problema. Un po’ come dire che, se succede una catastrofe, ve la siete cercata voi, volendo vivere in un luogo così rischioso e senza adottare nessuna precauzione. Insomma, sembra proprio una specie di giustificazione preventiva qualora le cose dovessero andare male. Infatti, non ci risulta che il ministro abbia usato valutazioni simili per gli abitanti di Cogne, eppure l’eventualità dell’alluvione era facilmente prevedibile, ben più di quella di una eruzione di un vulcano che erutta con intervalli anche di migliaia di anni.

Un ultimo punto di riflessione va fatto sul piano di evacuazione. Non solo si fonda su ipotesi meramente probabilistiche (ma probabilistiche di che, se l’unica eruzione storica è quella del Montenuovo del 1538? Come si fa a pensare che necessariamente una nuova eruzione avvenga nello stesso identico modo?), come un intervallo di almeno 72 ore prima dell’evento e l’entità medio/piccola dell’eruzione, ma prevede modalità di sistemazione della popolazione da far rabbrividire. Si badi bene che, in caso di eruzione, buona parte degli evacuati (sempre che abbiano avuto il tempo di mettersi in salvo), risiedendo nell’area più vicina alla bocca eruttiva, non potrà mai più rientrare nelle proprie case, o perché completamente distrutte o perché a ridosso di una zona troppo pericolosa. Ebbene, cosa hanno pensato le istituzioni preposte? Di spalmare questa comunità in tutte le regioni, con l’incarico di ogni regione di spalmare a loro volta la quota parte di sfollati nei singoli comuni. Il governo che difende le comunità locali, tanto da spingersi a legiferare per la cosiddetta autonomia differenziata, decide di annientare così un’intera comunità! Si dirà che però così si rendono più facilmente gestibili i costi per il sostegno agli sfollati. Ci sia consentito di dubitare, essendo in genere il decentramento più oneroso della centralizzazione, ma qui il punto è un altro. La concentrazione di migliaia di sfollati, necessariamente proletarizzati dall’evento che li ha privati di quasi tutte le proprietà, darebbe a questa massa la forza di imporre misure adeguate in loro favore, mentre disperdendoli sul territorio nazionale, li si costringerebbe a elemosinare sostegni alle singole amministrazioni locali cui sono stati affidati. Da notare che ancora una volta nessuno dei politici locali, pronti a gridare che il loro paese deve vivere, quando bisogna tutelare gli interessi di commercianti, ristoratori e albergatori, abbiano su questo punto, micidiale per il permanere della comunità di cui si dicono rappresentanti, fatto anche un minimo di critica.

A.V.

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