EVADERE RENDE LIBERI

Tagliare i sussidi ai poveri e alleggerire la pressione fiscale alle classi superiori, rendendo legale quello che già da sempre praticano in maniera sommersa: pagare meno tasse possibile.
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Tagliare i sussidi ai poveri e alleggerire la pressione fiscale alle classi superiori, rendendo legale quello che già da sempre praticano in maniera sommersa: pagare meno tasse

 Stanno in agguato nell’ombra non si vedono ma ci sono, fanno una bella vita, sporadicamente ma molto sporadicamente qualcuno viene colpito, vittima necessaria del sistema che in questo modo assopisce l’ira di chi sgobba e suda e non può vendere altro che le proprie braccia. Gli evasori fiscali, piccola borghesia e classe media che fa rima con partite Iva come commercianti a qualsiasi livello, bottegai, professionisti e autonomi, ma il fenomeno permea anche la produzione e i servizi e tra i grandi evasori ci sono anche le aziende. In Italia, dati ufficiali, si evadono ogni anno circa 110 miliardi, ma molto è nascosto e sottostimato, è il secondo paese al mondo per evasione dopo la Grecia. Qualsiasi governo si sia avvicendato ha sempre blaterato sull’emersione dell’evasione per finire in un cul-de-sac mostrando tutta l’incapacità o per meglio dire la non volontà di colpire il ceto medio di commercianti, professionisti ed autonomi. È pur vero che in questo marasma c’è chi come i “partiva Iva” stenta nell’attività ed ha poco da evadere, ma il principio non cambia e se c’è da fottere per arraffare soldi usufruendo di servizi gratuiti, aiuti ed incentivi, assicurati dal lavoro di tanti operai e lavoratori dipendenti, non certo si tirano indietro. Il governo Meloni dal primo momento si è qualificato come il paladino delle partite Iva, con quella manciata di voti che gli hanno assicurato la maggioranza e grazie all’inconsistenza dell’opposizione, ha fatto piazza pulita della povera gente, accanendosi sul reddito di cittadinanza, sui “parassiti sociali” che bussano sempre a soldi e lavoro per sopravvivere e degli operai che chiedono il salario minimo e garanzie. La Meloni si schiera nella battaglia a fianco delle oppresse partite Iva, riconoscendo loro lo sforzo sotterraneo occulto di produrre guadagno e reddito, non si è presa gioco di loro, non li ha scacciati come ha fatto con i miseri migranti, da buona psicologa riconosce il loro disturbo istrionico e li sostiene. Nella dichiarazione dei redditi 2024 alle partite Iva che hanno aderito alla tassazione forfettaria sarà applicata una tassa piatta del 15% su redditi fino a 85.000 euro per i redditi del 2023 che ha spazzato la tassazione progressiva a scaglioni con l’ovvio vantaggio che ci si mette in regola risparmiando un bel po’ di euro e non come quei tonti di operai e lavoratori che devono scucire ogni anno fino al 40% del loro reddito lordo e pagare pure le addizionali regionali e comunali.
Per le partite Iva, che non sono in regime di flat tax e che guadagnano tanto, la Meloni non si è dimenticata di loro, invece di fargli cercare tutti i possibili sotterfugi per sfuggire alla tassazione del reddito, ecco una proposta allettante: la “flat tax incrementale”. Si applica sulla differenza tra reddito 2023 e il maggior reddito incrementato, nel limite di € 40.000, che costituisce la quota di reddito assoggettabile all’imposta sostitutiva del 15%. Certo il beneficio è solo per un anno e qualcuno non vi può accedere, non bisogna dare nell’occhio ed eventualmente c’è sempre il caldo abbraccio dei canali del sotterraneo e sommerso. La quota di reddito non soggetta ad imposta sostitutiva confluisce nella tassazione progressiva con relative addizionali mentre la quota di reddito assoggettata alla “flat tax incrementale” è esclusa dalla base di calcolo per l’individuazione delle aliquote progressive.
Facendo un esempio. Consideriamo un professionista con un reddito di 100.000 euro nel 2023 e redditi di 60.000, 70.000 e 75.000 euro rispettivamente negli anni 2020, 2021 e 2022. La quota incrementale, sul reddito più alto del triennio, è di 25.000 euro (100.000 – 75.000). Applicando la franchigia del 5% sul reddito più elevato del triennio (75.000 euro), otteniamo una riduzione di 3.750 euro.
La base imponibile su cui applicare la flat tax diventa quindi 21.250 euro. L’imposta sostitutiva del 15% sarà di 3.187,50 euro. Il reddito restante di 78.750 euro è soggetto alla tassazione progressiva IRPEF, che ammonta a 26.763 euro, oltre alle addizionali. In totale, l’imposta complessiva sarà di 29.950 euro. Senza la flat tax incrementale, l’IRPEF ordinaria sarebbe stata di 35.900 euro, comportando un risparmio di 5.950 euro.
Ma non basta, volendo si può anche rateizzare il versamento. È evidente il risparmio di imposta che cresce al crescere del reddito, una sorta di progressione al contrario, più guadagni meno paghi. Ma voi pensate che possa bastare alla paladina delle partite Iva? No, certamente, ed ecco allora giungere il concordato preventivo biennale, un “accordo” con il Fisco che permette, tra le tante cose, di pagare, udite udite, le tasse non in base agli effettivi guadagni, bensì sulla base di quanto preventivato dall’Agenzia delle Entrate.
Nel concordato, oltre agli indubbi vantaggi, per chi accetta si può prevedere l’introduzione di un regime opzionale di imposizione sostitutiva del reddito incrementale concordato per due anni. Cerchiamo di capirci, si stabilisce un reddito con l’agenzia delle entrate, se si sfora tale reddito l’eccedenza non viene tassata. Se invece il reddito concordato è maggiore del reddito del periodo precedente (a quelli cui si riferisce la proposta), su tale differenza si applica un’imposta sostitutiva con un’aliquota calcolata in base agli indici ISA. L’ISA rappresenta un indice calcolato dall’agenzia delle entrate, una sintesi di indicatori che verificano la normalità e la coerenza della gestione aziendale o professionale, espresse in un punteggio di affidabilità:
– 10% se il livello ISA del periodo di imposta precedente a quello del concordato è non inferiore a 8, grado di affidabilità alto;
-12% se il livello ISA sia compreso tra 6 e 8;
-15% se il livello ISA sia inferiore a 6.
Ad esempio, consideriamo un professionista con punteggio ISA 2023 pari a 10. Il reddito dichiarato per il 2023 è stato pari a 70.000 euro mentre, in base alla proposta del concordato con l’agenzia, viene richiesto, per il 2024, un reddito di 80.000 euro. Il professionista sui 70.000 euro paga in base agli scaglioni Irpef mentre sulla differenza di 10.000 euro il 10% anziché l’aliquota piena IRPEF del 43% ed è tutto guadagno.
Il percorso verso la redenzione è lungo ma il governo è comprensivo e attento, combatte l’evasione rendendola istituzionale, trasformando l’illecito in lecito, l’illegale in legale pur di recuperare le anime perse degli evasori rinuncia a tante possibili entrate mentre con spietata determinazione respinge i migranti, fa la guerra agli indigenti e al salario.
La parola d’ordine per il governo è diventata evadere rende liberi ed è legale.
S. C.

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