Dal disastro di Valencia alla alluvione di Catania, gli unici che hanno dato inizio ad un vero risanamento ambientale sono i manifestanti che hanno riempito di lanci di fango il re Felipe VI, la regina e i suoi ministri.
Il disastro di Valencia ha riproposto la problematica delle calamità naturali. Al solito si è data la colpa delle innumerevoli morti alla natura matrigna che ha rovesciato su quell’area la pioggia di un intero anno in meno di un giorno. Conseguenza dei cambiamenti climatici, forse, sostengono altri, comunque tutti sono concordi che si è trattato di un evento eccezionale, nulla si poteva fare per evitarlo, al massimo si sarebbe potuto limitare i danni e le morti. È una tendenza che si sta ormai consolidando, davanti alle innumerevoli alluvioni che si susseguono, in Italia e nel Mondo, non ultima quella della provincia di Catania del 12/11, si sta avendo un atteggiamento di rassegnazione: è la natura che si scatena non possiamo farci nulla! Nessun servizio, ormai, indaga sul territorio dove si verificano i disastri, di dissesto idrogeologico non se ne parla più. Tra le righe si trasmette il messaggio che l’unico modo per contrastare questi disastri è fare nuove opere ingegneristiche, altro cemento da aggiungere a quello che ha deturpato il territorio. Il capitale vuole spulciare profitti anche approfittando del degrado territoriale! Come stanno realmente le cose? In realtà i fiumi semplicemente si prendono gli spazi a loro tolti, in natura non si hanno alluvioni devastanti, finché il suolo non è coperto. Quello che è avvenuto in Spagna, a Catania e in Emilia Romagna è il frutto di decenni di condoni, cementificazione selvaggia, deviazioni di corsi d’acqua, creazioni di argini artificiali. Tutto per strappare suolo alla natura e costruire, costruire e costruire; è con l’edilizia che si realizzano grandi profitti, allora non bisogna andare troppo per il sottile nello studio del territorio e della sua morfologia, si deve salvaguardare il profitto e LA RENDITA EDILIZIA per arricchire i soliti noti. Chiaramente i cambiamenti climatici hanno avuto il loro ruolo, l’energia termica che si è accumulata e il cambio di circolazione dell’atmosfera hanno determinato precipitazioni eccezionali in molte parti del mondo, ma ciò avrebbe avuto conseguenze meno nefaste in un territorio meno deturpato.
Ci sono degli aspetti, però, delle recenti alluvioni che sarebbe opportuno mettere in risalto; aspetti che nessun cronista ha messo in evidenza, non per negligenza ma per portare avanti la tesi della calamità naturale.
LA VICENDA DI VALENCIA.
Del disastro della Spagna se è parlato molto, ma pochi hanno messo in risalto che in realtà la città spagnola sia una veterana in fatto di inondazioni, spesso con conseguenze drammatiche. Per limitare i danni nel 1957 è stato deviato il fiume che attraversava la città, ma poi si è abbondantemente costruito sul nuovo corso deviato, ed è qui che è avvenuto il disastro e si è avuto il maggior numero di vittime. C’è da chiedersi, che senso ha deviare il corso di un fiume se poi si urbanizza tutto intorno? Inoltre si è visto nei servizi televisivi come molte macchine siano rimaste intrappolate in un parcheggio sotterraneo annesso ad un centro commerciale, ma come è possibile prevedere un centro commerciale e un parcheggio sotterraneo in un’area soggetta ad inondazioni? Ecco che allora la calamità naturale c’entra poco, e le responsabilità sociali sono molte, anche nel ritardo di attuazione di un piano di emergenza. Di chi è la responsabilità di oltre 200 morti, solo della natura matrigna?
LE INONDAZIONI SENZA FINE DELL’EMILIA ROMAGNA.
Le inondazioni emiliane non fanno più notizia, con una periodicità disarmante si sono susseguite senza sosta. È opportuno, però, fare delle considerazioni: tutta la Pianura Padana è di tipo alluvionale, si è formata nel corso di millenni con innumerevoli inondazioni. Per sua natura sarebbe stata, soprattutto in alcune aree, poco idonea all’urbanizzazione perché presenta, spesso, un sottosuolo impermeabile. Invece è una delle regioni geografiche più densamente antropizzate, non solo di abitazioni civili, ma anche e soprattutto di attività produttive, poste spesso a ridosso dei corsi d’acqua. Bisognerebbe disimpegnare il territorio dalla presenza di una urbanizzazione selvaggia, ma la ricerca del profitto non lo permette, è meglio prevedere costose opere idrauliche che possono generare altro profitto e tamponare il problema.
LE RECENTI ALLUVIONI NEL CATANESE.
Paradossalmente la Sicilia è passata, soprattutto in alcuni territori, da una siccità devastante ad episodi alluvionali che hanno interessato particolarmente la Sicilia orientale. In ordine di tempo l’ultimo alluvione si è avuto il 12 novembre scorso, e solo per un caso fortuito non si sono avute delle vittime. Anche qui in rete ci sono video sulle inondazioni dei comuni costieri a nord di Catania davvero impressionanti, con auto trascinate fino al mare e persone salvate in extremis. C’è da dire che qui il sistema di allerta della protezione civile è servito, le scuole sono state chiuse e c’era poca gente in giro, ciò ha evitato la conta delle vittime. Ma anche in questa inondazione non si è indagato sul territorio, si sono forniti i dati delle cospicue precipitazioni, ma nulla è stato detto del perché l’acqua ha avuto una forza così devastante. Non si è messo l’accento sulla cementificazione delle falde dell’Etna con la presenza di innumerevoli centri commerciali sviluppati soprattutto in estensione superficiale; non si è messo l’accento sugli incendi devastanti avvenuti nel catanese due anni fa; non si è considerato che le strade, spesso, sono state costruite su vecchi torrenti dismessi, seguendo spesso la linea di massima pendenza, oppure i torrenti attivi sono stati ristretti per recuperare suolo edificabile. In questo contesto non si comprende la presenza di innumerevoli garage, attività o abitazioni sotto il livello stradale, in un territorio così fragile dal punto di vista idrogeologico non sarebbe stato opportuno permettere ciò. Ne consegue che tutto il territorio catanese è fragile e solo se non piove non ci sono problemi!
CONCLUSIONI.
I disastri naturali (?) degli ultimi tempi sono conseguenti ad un sistema socioeconomico che persegue il profitto come primo obbiettivo. Adesso si dà la colpa ai cambiamenti climatici che determinano eventi meteorologi estremi, ma il riscaldamento globale non è una maledizione divina ed è determinato dalla frenetica attività produttiva, da un commercio sconsiderato, finalizzate alla ricerca del massimo profitto, e dall’eccessivo consumo del suolo e delle materie prime. Non è facile contrastare questa tendenza, ma per attenuare gli effetti degli eventi estremi bisognerebbe risanare il territorio, non obbligare i cittadini a stipulare assicurazioni contro le calamità, come propongono alcuni, oppure effettuare costose opere idrauliche che non risolvono i problemi in modo definitivo. A quanti disastri naturali bisognerà assistere prima che ciò avvenga?
PIETRO DEMARCO
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